Di certo l’edizione di gennaio 2025 dell’usuale head coaching carousel della NFL (praticamente la versione statunitense del nostro valzer delle panchine) non ha mancato di offrire ad appassionati e analisti delle grosse sorprese. A partire dalla mossa dei Dallas Cowboys.
Se l’ingaggio dei due coordinatori dei Detroit Lions, l’OC Ben Johnson (da parte dei Chicago Bears) ed il DC Aaron Glenn (New York Jets) non stupisce più di tanto dati gli ottimi risultati ottenuti dai due con la franchigia del Michigan, come considerare se non qualcosa di imprevedibile gli approdi di Pete Carroll ai Las Vegas Raiders (l’ex head coach di Jets, New England Patriots e Seattle Seahawks, a 73 anni d’età, sarà l’anno prossimo il più anziano capo allenatore della lega) o di Liam Coen ai Jacksonville Jaguars (con l’ex OC dei Buccaneers che prima aveva accettato di rinnovare con Tampa Bay, salvo cambiare idea improvvisamente e lasciare la squadra per volare più a nord nello Stato della Florida)?
Tuttavia, in attesa di vedere cosa faranno i New Orleans Saints (l’ultimo team ancora senza HC) la scelta più sorprendente rimane quella dei Cowboys. L’America’s Team, la squadra forse più amata (e più odiata) degli Stati Uniti, la franchigia con un valore di oltre 10 miliardi di dollari (più di ogni altro club sportivo a livello planetario), ha infatti deciso di affidarsi all’offensive coordinator Brian Schottenheimer, che già aveva in casa.
Cowboys announce Brian Schottenheimer as their next head coach. pic.twitter.com/7LaYAWrywa
— NFL (@NFL) January 25, 2025
Il figlio del grande Marty (a sua volta capo allenatore NFL con Cleveland Browns, Kansas City Chiefs, Washington e San Diego Chargers) diventa così il decimo HC nella storia dei Dallas Cowboys. Come detto, una scelta sorprendete e per vari motivi, a partire dal fatto che, disponibili, c’erano allenatori con una più vasta esperienza rispetto a quella di Shotty jr. Dallas aveva formalmente intervistato l’offensive coordinator dei Filadelfia Eagles, Kellen Moore; l’ex coach dei Minnesota Vikings, Leslie Frazier; l’ex coach dei New York Jets, Robert Saleh.
La scelta di Brian Schottenheimer per i Dallas Cowboys
La decisione finale di andare su Schottenheimer ha destato non poche perplessità fra i media americani.
The Dallas Cowboys aren’t serious about winning.
— Robert Griffin III (@RGIII) January 25, 2025
Escludendo Jason Garrett, diventato HC dopo essere stato allenatore ad interim la stagione precedente, l’unico coach ingaggiato dalla proprietà dei Cowboys per guidare la squadra senza prima un’esperienza da capo allenatore sulle spalle era stato Dave Campo nel 2000. Non finì bene, con Campo licenziato dopo aver postato un record di 15-33 fra il 2000 e il 2002. Le precedenti avventure di Schottenheimer nella NFL lo hanno visto offensive coordinator con St. Louis Rams, Jets e Seahawks prima di diventare passing game coordinator con i Jaguars nel 2021 e, successivamente, approdare come OC ai Cowboys. A Dallas il suo compito era quello di coadiuvare nella gestione dell’attacco il capo allenatore Mike McCarthy (l’uomo che Schottenheimer andrà a sostituire), che era responsabile di chiamare i giochi offensivi.
La gestione Jerry Jones
Fatte salve queste considerazioni, se andiamo ad analizzare in maniera più approfondita la decisione presa da Jerry Jones, il proprietario dei Dallas Cowboys, questa sembra in linea con quello che ci si poteva aspettare dal tycoon. Nato 82 anni fa a Los Angeles e diventato proprietario della franchigia texana nel lontano 1989, Jones rappresenta pienamente l’idea che tutti abbiamo di un owner NFL: un anziano, ricchissimo signore (patrimonio stimato in 17 miliardi di dollari) che vanta la disponibilità economica necessaria per comprare un giocattolo costosissimo come una squadra NFL, che pochi uomini sulla Terra possono permettersi.
Mentre, fuori dalle 100 yard del terreno di gioco, i ricchi proprietari dei club di football americano risultano essere assennati businessman, quando si comincia a parlare dello sport più amato negli Stati Uniti ecco che questi miliardari diventano come alcuni dei presidenti delle nostre squadre di calcio dello scorso secolo, vale a dire dei ragazzi alle prese con un hobby particolarmente costoso. La differenza è che le compagini NFL fatturano e anche bene.
Ma questo non significa che non buttino anche via tanti soldi, nella speranza di conquistare il titolo. D’altra parte è stato lo stesso Jones, come riportato da The Athletic, a dichiarare che “non c’è niente che non farei economicamente per ottenere un Super Bowl”. C’è da dire che Jones in effetti ha fatto di tutto per vincere. Appena comprata la squadra decise di separarsi dal mitico coach Tom Landry, che guidava i Cowboys dal 1960. La scelta si rivelò azzeccata: affidata a Jimmy Johnson prima e a Barry Switzer dopo, Dallas vinse tre SB in quattro stagioni. Dall’ultima vittoria, datata 28 gennaio 1996, sono però passati quasi trent’anni, durante i quali i Cowboys si sono segnalati per essere una delle società più disfunzionali della lega.
I Dallas Cowboys puntano su un allenatore che conoscono
Ancora una volta Jones, che dei Cowboys è anche il general manager, ha scelto di puntare su un allenatore che conosce. Questa è la linea di condotta di Dallas: affidare la squadra a qualcuno con cui Jones abbia confidenza, che sappia come funzionano le cose in una franchigia che, appunto, vede il proprietario ricoprire anche la carica di GM, con tutto ciò che questo comporta a livello di scelte al draft e nella free agency. Una condizione che non tutti gli allenatori accetterebbero ma che è conditio sine qua non per andare a lavorare ai Cowboys.
Le male lingue sostengono inoltre che Jones preferisca allenatori che non gli facciano ombra. Che non diventino l’emblema di una franchigia vincente qualora arrivi il tanto agognato quarto Super Bowl della sua gestione. Questo spiega come mai, nonostante venisse descritto da più parti come il favorito per succedere a McCarthy e pur essendo un ex giocatore della squadra, in realtà Deion Sanders non sia mai stato preso seriamente in considerazione come candidato.
L’attuale capo allenatore della University of Colorado ha fatto mirabilie a livello universitario con i Buffaloes, aiutato in campo dal figlio Shedeur, quarterback e futura scelta (forse già al primo giro) nel prossimo draft NFL. Troppo grande la personalità di Sanders per non rischiare di offuscare l’ego di Jones. Via libera allora a Schottenheimer jr. La speranza è che il background offensivo del tecnico, ormai praticamente un must per quasi tutti coloro che sperano di ottenere uno dei soli 32 posti disponibili come capo allenatore di una franchigia NFL, riesca risollevare le sorti di un attacco che, vistosi privare del running back Tony Pollard (passato ai Tennessee Titans nella scorsa off-season) ha registrato un vistoso calo in questo 2024.
La priorità
Prima e fondamentale mossa in questo senso sarà per Brian quella di migliorare la produzione del suo quarterback, quel Dak Prescott con cui il nuovo head coach ha già stabilito un buon rapporto lavorando da coordinatore dell’attacco. Ristabilire un buon gioco di corsa e dotare il proprio QB di una linea offensiva migliore di quella di quest’anno sono i due step che Schottenheimer dovrà compiere per rendere più produttivo il quasi trentaduenne Prescott. Con Schottenheimer a gestire l’attacco e a chiamare i giochi, sarà importante vedere chi verrà ingaggiato per essere il defensive coordinator. Fra i nomi che circolano c’è quello di Matt Eberflus, uscito ridimensionato dalla sua negativa esperienza come head coach dei Chicago Bears ma che ha i Dallas Cowboys nel curriculum, essendo stato coach dei linebackers fra il 2011 e il 2017.
Di certo Schottenheimer è atteso da un grande lavoro, con tutte le pressioni che comporta l’essere un head coach nella NFL, per giunta a Dallas. Come finirà? Impossibile prevederlo con certezza. Ingaggiare il tecnico giusto, così come scegliere al draft il quarterback del futuro, è il compito più difficile da svolgere per una franchigia NFL e, probabilmente, per un club professionistico di qualsiasi sport a livello mondiale.
Chi è chiamato a decidere in questo senso si può basare su quanto accaduto nella lega nelle ultime stagioni, anche se poi ogni situazione è diversa dalle altre per grandezza della città, pressione mediatica, situazione di partenza, roster. Ad esempio, è difficile passare dall’essere un grande allenatore di college ad uno altrettanto grande nella NFL. A riprova ci sono i fallimenti dei vari Nick Saban, Chip Kelly e Urban Meyer. Anche qui però ci sono delle eccezioni (Carroll o Jim Harbaugh). Come detto, non c’è un indicatore sicuro al quale poter fare riferimento. Ogni scelta rappresenta un rischio. Almeno, a Dallas Jones sta rischiando ma in prima persona, non avendo un altro GM se non se stesso. E i soldi ce li mette lui.