Sono trascorsi pochi minuti dall’atterraggio all’aeroporto internazionale intitolato a Nënë Tereza, meglio nota come Madre Teresa di Calcutta (non tutti sanno che, nonostante il nickname con cui è diventata celebre, nacque albanese nel 1910). Ho già sentito pronunciare una dozzina di frasi che, con un code-mixing da equilibristi, mischiano italiano e albanese come fossero acqua e farina nella pasta fillo.
Provo a liberarmi da luoghi comuni e cliché, ma non posso fare a meno di notare come queste due lingue possano passare da un momento all’altro, come un lunghissimo elastico teso tra le due sponde dell’Adriatico, da un’estrema vicinanza a un’estrema lontananza reciproca. Non semantiche, s’intende, ma sentimentali. Poiché il linguaggio, si sa, è una questione molto privata, questa distanza dipende prevalentemente dal momento del rapporto tra Italia e Albania su cui ci si focalizza. Oggi è più piccola che mai.
Persino più piccola di quando, l’8 agosto 1991, la nave mercantile Vlora, carica di 20.000 disperati saliti a Durazzo, sbarcò a Bari, rendendo forse per la prima volta l’immigrazione nel nostro Paese un fenomeno mediatico. (“Sono persone – affermò il sindaco – Non possono essere rispedite indietro, noi siamo la loro ultima speranza”. Chissà quanti primi cittadini reagirebbero in questo modo, nel 2025).
Perché oggi, in quella che era considerata “la Corea del Nord dei Balcani”, un Paese governato fino al 1990 da uno dei sistemi dittatoriali più rigidi del Novecento, passa il Giro d’Italia. Anzi, è partito proprio da qui, con tre tappe molto diverse: prima 160 chilometri quasi pianeggianti da Durazzo a Tirana, poi una cronometro nei dintorni della capitale, e infine altri 160 ben più movimentati con partenza e arrivo a Valona.
Il Giro d’Italia in Albania e il ciclismo come esperienza laica
Il ciclismo su strada è indubbiamente lo sport che ha il maggiore contatto fisico con il mondo. Perché, letteralmente, lo attraversa. Se il tennis, per David Foster Wallace, era un’esperienza religiosa – un campo diviso in modo maniacale, un corpo che si muove con precisione ossessiva, un silenzio irreale prima del servizio – vivere una grande corsa a tappe in sella a una bici dev’essere un’esperienza profondamente laica, se con laicità intendiamo il principio secondo cui le decisioni umane devono essere basate solo su considerazioni che discendono da dati di fatto.
Attraversare questi luoghi dai nomi immaginifici, in grado di evocare tanto sanguinarie battaglie cinquecentesche quanto favolosi racconti mediorientali, significa immergersi completamente, anche se solo per tre giorni, in una realtà contraddittoria, contemporaneamente uguale e diversa, amica e nemica, di quella che i corridori affronteranno tra qualche giorno, a partire dalla quarta tappa con partenza dai trulli di Alberobello.
L’Albania veneta, estremo dominio della Serenissima in terra balcanica, rappresenta dal 1420 al 1797 un baluardo contro le mire espansionistiche dell’Impero ottomano, da cui la doppia toponomastica che tutt’oggi caratterizza diversi centri urbani. Nel 1939, l’esercito italiano invade il Regno d’Albania, con una breve campagna intrapresa dal regime mussoliniano per mettere in mostra il ruolo centrale del Bel Paese nello scacchiere internazionale (come scrive Alberto Basciani “con il fine ultimo di trasformare l’Albania in una sorta di colonia europea del fascismo”).
Nel novembre 2023, Meloni e Rama si stringono la mano, in una sorta di colonialismo 3.0 finalizzato a portare le persone migranti soccorse nel Mediterraneo in appositi CPR (centri di permanenza per il rimpatrio) edificati in terra albanese. Un’esternalizzazione della gestione dei flussi migratori che rappresenta un vero e proprio esperimento per l’Europa, finora con esiti tutt’altro che positivi, e propedeutico – chissà – all’ingresso del Paese delle aquile nell’Unione Europea.
Chissà quanto sa, di queste tappe storiche, Alessandro Verre, che già l’8 maggio, alla prima tappa, si lancia in fuga a 156 chilometri dall’arrivo di Tirana. In un Giro orfano dell’ultima maglia rosa, quel Tadej Pogačar capace di vincere quasi tutto, si cercano gli underdog capaci di sparigliare le carte e regalare un po’ di imprevedibilità. E lo scalatore di Marsicovetere, classe 2001, magari vuole già candidarsi a membro di questa élite.
Quando è partito dal porto di Durazzo, insieme ai corridori delle 23 squadre, non pensava sicuramente alle fatiche di Mario Rigoni Stern, giovanissimo caporale che sui monti al confine con la Grecia scrisse taccuini pieni di dolore, per la guerra, e di speranza, per la pace. Del resto, il suo mestiere è un altro.
La prima tappa, con la fuga di Verre
Questione di PIL
È l’11 maggio, una domenica, oggi il Giro passa da Qafa e Llogarasë. Tecnicamente, un Gran Premio della Montagna di seconda categoria, a cui si arriva dopo oltre 10 chilometri di salita con pendenze che vanno dal 7,4 al 12%. È l’11 maggio, una domenica, oggi si vota per rinnovare i 140 seggi del Parlamento della Republika e Shqipërisë (la Repubblica di Albania, un’etimologia che ha a che fare con l’aquila, presente persino nella bandiera nazionale). Una coincidenza degna di uno sceneggiatore hollywoodiano.
I vessilli della corsa rosa si sovrappongono a quelli dell’Unione Europea, e i manifesti elettorali in stile “negozio di articoli sportivi a basso prezzo” ci mettono del loro a illudere che, a fine giornata, il vincitore di tappa sarà eletto automaticamente Primo Ministro. O, più realisticamente, a chiarire che la posta in gioco è molto più alta della maglia di leader della classifica generale.
La bici di chi oggi taglierà per primo il traguardo è come uno stargate capace di proiettare l’intero Paese dalla povertà alla ricchezza, dalla sofferenza al benessere. Le tracce del passato sono quasi invisibili: dopo la morte di Enver Hoxha – che benché comunista si era isolato da tutti: dall’URSS, dalla Jugoslavia, dalla Cina – gli albanesi sono progressivamente entrati nella sfera d’influenza occidentale.
E gli effetti collaterali del Giro non faranno che dare un’ulteriore e forse definitiva verniciata di rosa. Viaggiando da nord verso sud, man mano che ci si avvicina a Valona, le spiagge non si distinguono da quelle di qualsiasi altra meta collocata tra lo stretto di Gibilterra e la Palestina. I cantieri brulicano di attività e sono popolati di operai, gli hotel di lusso si stanno moltiplicando e si ha la netta sensazione che il turismo rappresenterà presto una fetta importante del PIL. Nel 2023, per dare un’idea più concreta, il Prodotto Interno Lordo pro capite era di 8.575 dollari in Albania, di 12.281 in Serbia, di 23.400 in Grecia e di 39.003 in Italia.
Il prosecco sostituirà poco a poco la rakija, lo stesso farà il burger con il byrek. Sono passati i tempi in cui “albanese” era un insulto, usato per additare qualsiasi immigrato bianco, o per lo meno chiaro, proveniente da est. Nel ranking FIFA, la nazionale albanese di calcio è al 66° posto, toccando nell’agosto 2015 addirittura il 22°, un risultato di tutto rispetto. Molti tra coloro che figurano regolarmente tra i convocati della prima squadra militano o hanno militato in Serie A.
Tuttavia, non siamo in una terra di grandi ciclisti. L’unico ad aver partecipato al Giro d’Italia, per esempio, è Eugert Zhupa: quattro edizioni all’attivo, dal 2015 al 2018, zero vittorie. Adesso fa l’operaio in un’azienda di ceramica. Anche la partecipazione del pubblico non è paragonabile alle nostre abitudini radiotelevisive. Non si sentono, non si vedono, le ali di folla che accompagnano ogni metro di salita delle tappe sugli Appennini o sulle Alpi. Alla cronometro di Tirana la maggior parte degli appassionati sembra venuta da fuori.
Per il resto, si notano distintamente i rider furiosi per le deviazioni del traffico, i turisti giapponesi storditi da una città addobbata a festa, i muezzin salmodianti a pochi metri dal rettilineo d’arrivo. Panta rei, tutto scorre: i campioni dello sport in una bolla, i cittadini comuni in un’altra.
Qafa e Llogarasë centro del mondo
Chi conosce Carlo Ginzburg lo sa: per conoscere lo Zeitgeist di una determinata epoca, di qualsiasi epoca, non è necessario vivere al centro del mondo. Anzi, è proprio dalla periferia che si vedono le cose in modo più chiaro e immediato. Torniamo a Qafa e Llogarasë, dunque. Il punto più alto toccato dai corridori nell’ultima delle tre frazioni albanesi: un valico montano situato nei Monti Acrocerauni lungo la riviera. Un luogo isolato, apparentemente anonimo, ma equidistante da due altri luoghi che, messi vicini, acquistano subito importanza, poiché sembrano tastare il polso alla nostra epoca.
Da un lato, verso l’entroterra, il punto in cui la Shushica confluisce nel Vjosa, considerato l’ultimo fiume selvaggio in tutto il continente europeo. Negli ultimi anni era finito al centro di alcuni progetti per la costruzione di centrali idroelettriche che ne avrebbero compromesso la biodiversità, danneggiando anche la vita delle comunità locali che da sempre dipendono dalle sue acque per vivere. Besjana Guri e Olsi Nika, insieme a un gruppo di associazioni locali e internazionali – fra cui l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo – sono riusciti a impedirlo, e dialogando con le autorità hanno contribuito alla nascita del Parco nazionale del fiume selvaggio Vjosa. La loro battaglia ha vinto il Goldman Environmental Prize 2025.
Dall’altro, poco distante dalla costa, l’isola di Saseno. Una specie di paradiso terrestre, casualmente scoperto da Jared Kushner durante un passaggio in yacht nel golfo di Valona e che nelle mani del genero di Donald Trump rischia di diventare un resort per turisti VIP da 1,4 miliardi di euro.
Il saluto del Giro d’Italia e l’Albania di domani
Ormai sapete com’è andata. La fuga di Alessandro Verre, a cui si sono aggiunti Manuele Tarozzi, Alessandro Tonelli, Sylvain Moniquet e Taco van der Hoorn, non è andata a buon fine. Dopo aver toccato un vantaggio massimo di due minuti, a poche decine di chilometri dall’arrivo i cinque sono stati raggiunti e riassorbiti dal gruppo. La tappa è stata vinta dal danese Mads Pedersen, che ha poi trionfato anche alla terza, lasciando l’Albania con la maglia rossa sulle sue larghe spalle. Fa impressione vederlo volare, col suo corpo scultoreo, su queste strade un po’ dissestate, dove si fatica persino a guidare un’auto, ma in cui si muovono mezzi di trasporto assurdi, delle chimere ibride, in parte meccaniche, in parte umane.
Dopo il giorno di pausa, dall’altra parte dell’Adriatico inizierà una storia tutta nuova. Gli uomini di classifica cominceranno a spingere, per accumulare preziosi secondi e minuti di vantaggio. Anche la partecipazione del pubblico sarà più calorosa. Nel frattempo, qui, le cose andranno avanti come al solito. Del resto, alle elezioni ha vinto il partito del Premier uscente, che sarà sicuramente riconfermato. Portando avanti, presumibilmente, un processo di integrazione nell’UE che renderà le fughe (quelle non ciclistiche, si intende) sempre meno frequenti.
Pedersen vince anche la terza tappa, consolidando la maglia rosa