Il calcio secondo Pier Paolo Pasolini

Per Pier Paolo Pasolini il calcio è sempre stato una cosa sacra, sia da giocatore che da tifoso.

Scrittore, poeta, intellettuale, giornalista, regista, viaggiatore. Ma non di meno calciatore, precisamente ala veloce di corsa e fantasia. Pier Paolo Pasolini ha dato calci al pallone dal borgo di Casarsa della Delizia, nel Friuli della sua gioventù, alle amate borgate romane degli ultimi anni. L’ha fatto con la passione amatoriale del giocatore del popolo, anche in giacca, maglione, camicia e cravatta: forse perché proprio non resisteva. L’ha fatto fino a quando non è stato ucciso il 2 novembre 1975, cinquant’anni fa. Il suo corpo è stato ritrovato non troppo distante da una porta di calcio, visto che i “ragazzi di vita” di Ostia avevano trasformato quella parte di litorale in un campo.

Nella vita di Pier Paolo Pasolini il calcio c’è sempre stato

Nato a Bologna, Pier Paolo Pasolini era un tifoso rossoblù. Ha definito come i più belli della sua vita i pomeriggi trascorsi con il pallone sui Prati di Caprara, nei quali giocava anche sei o sette ore senza interruzione da ala destra, guadagnandosi il soprannome di Stukas – come l’aereo da guerra – da parte dei suoi amici. Una delle fonti principali che può raccontarci tutto questo è il Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa. Le geografie di Pasolini, invece, è il titolo di un podcast e un libro, uscito di recente per Prospero Editore: Claudio Agostoni ha girato per tre mesi nei luoghi pasoliniani, dal Nord Est al Mezzogiorno, ripercorrendo anche gli aspetti calcistici della sua vita tra fotografie dell’epoca e interviste.

Nel periodo in cui ha insegnato nella scuola media di Valvasone (Pordenone), tra il 1947 e il 1949, Pasolini ha inventato un giornale di classe per coinvolgere i ragazzi. Non mancavano gli articoli sullo sport, naturalmente: al giovane Walter, lo sportivo del gruppo, toccava il compito di scrivere le cronache delle partite locali e della Nazionale. E appena arrivava la bella stagione, li portava immediatamente a fare lezione al campo sportivo. Si può dire che in sostanza il gioco del calcio fosse una delle materie che insegnava, subito dopo le lettere, il latino, il teatro e la pittura.

Un’intervista di Pasolini ai calciatori del Bologna sui Prati di Caprara, teatro delle sue partite in gioventù

Calcio e arte, insieme

Nel libro e nel podcast Agostoni, tra le testimonianze, ha raccolto quella di Silvio Parrello, detto Er Pecetto perché il padre faceva il calzolaio e utilizzava la pece per sistemare le suole delle scarpe, anche quelle di Pier Paolo. Questi ha raccontato che a Pasolini, oltre che nelle periferie, capitasse di giocare anche davanti a platee più importanti, soprattutto grazie alla squadra nata nel 1971 di cui era il capitano. Tra le sue fila figuravano Ninetto Davoli, Giorgio Bracardi, Maurizio Merli, i fratelli Citti e alcune maestranze del cinema italiano di allora. Pallone e grande schermo uniti, quindi. Occasionalmente sono scesi in campo anche Franco Nero, Ugo Tognazzi, Enrico Montesano, senza dimenticare le incursioni occasionali di volti popolari della musica leggera, Little Tony, Toni Santagata e Gianni Nazzaro. Il club si chiamava Attori e Cantanti ma, di fatto, rappresentava un esperimento precursore della nota Nazionale Attori di oggi.

Pasolini ha inoltre giocato nella S.A.S. (Società Artistico Sportiva) Casarsa. Da poco, tra l’altro, si è svolta la partita di calcio tra squadre “artistiche”, organizzata all’insegna del ricordo di “Pasolini calciatore”. I friulani della S.A.S. Casarsa hanno vinto per 3-2 sull’A.S. Velasca, club militante in terza categoria fondato a Milano nel 2015 da Wolfgang Natlacen. Come ha raccontato la squadra ospite:

Contro la squadra di Pasolini, il Velasca ha perso ‘dando tutto’, come voleva Vendrame, e con stile, come scriveva Bukowski. Sugli spalti, i ‘Riducibili’ del Velasca resistevano al caldo anomalo. A Casarsa hanno vinto il calcio, l’arte (e anche l’alcool). Ora tocca a noi organizzare il ritorno, sempre in ottica pasoliniana.

La sacralità del calcio secondo Pasolini

In un’intervista realizzata da Guido Gerosa pubblicata sull’Europeo il 31 dicembre 1970, Pasolini ha raccontato cosa fosse per lui il calcio, conferendogli un’aura potente e addirittura solenne, tanto da definirlo “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo” e l’unica che non stava conoscendo un declino. Nel rapporto tra il calcio e la propria attività culturale, Pasolini evidenziava anche come il calcio fosse l’unico spettacolo capace di sostituire il teatro, lì dove perfino il cinema aveva fallito, in quanto tenuto nel mondo reale, con persone in carne e ossa che si muovono e comportano secondo un loro preciso rituale. Probabilmente lo sport faceva parte del suo modo poetico di entrare a piedi uniti nella cultura popolare. Come scrive Valerio Curcio, autore del libro Il calcio secondo Pasolini:

Prima ancora che uno sport, il pallone è per Pasolini un linguaggio umano, che si esplica ogni qualvolta un piede tocca un pallone. E se il calcio è un linguaggio, gli atleti possono usare stili espressivi differenti: così il gioco corale delle squadre mitteleuropee è prosa realista, mentre il dribbling dei sudamericani è poesia lirica.

Essere un intellettuale impegnato che ama uno sport così “terreno”, nonostante la sua fama di oppio dei popoli: a Pasolini piaceva molto vivere questa contraddizione, secondo il parere di Curcio. In effetti la passione per il pallone si sposava bene con l’occhio attento del giornalista-scrittore e anche con lo sguardo dell’osservatore sociale. Dal Bologna ai campetti di periferia, il pallone era una componente significativa della sua vita e allo stadio diventava una sorta di rito sacro contemporaneo. Nel 1957, L’Unità ha scelto proprio Pier Paolo Pasolini come inviato speciale allo stadio Olimpico di Roma per “coprire” il derby con la Lazio, vinto con un sonoro 3-0 dai giallorossi. Il poeta non è andato a sedersi comodamente nei posti riservati ai giornalisti in tribuna stampa, ma ha preferito stare nella curva assieme al popolo, accompagnato dall’amico romanista Sergio Citti.

Il derby tra Pasolini e Bertolucci, con Ancelotti in campo

E, a proposito di derby, nel marzo del 1975 la città di Parma è stata il teatro sia delle riprese di due film, sia di un match particolare. Pasolini stava girando Salò o le centoventi giornate di Sodoma proprio mentre a pochi chilometri di distanza Bernardo Bertolucci era alle prese con il suo celebre Novecento. Così le due troupe si sono affrontate in un’amichevole sul campo di gioco del Parco della Cittadella e, per vincere, Bertolucci ha tentato qualche colpo da maestro. Per esempio ha schierato un Carlo Ancelotti, allora sedicenne, spacciato per attrezzista ma in realtà calciatore già molto promettente.

L’attuale ct della nazionale brasiliana si è riconosciuto in una fotografia che ritrae le due formazioni insieme davanti all’obiettivo. Quella domenica mattina, il 16 marzo del 1975, c’era anche un suo compagno delle giovanili del Parma. Grazie a questi innesti clandestini, Bertolucci ha vinto per 5-2, con tanto di gol di Ancelotti. “Non la bevve”, ha detto Carlo in un’intervista a La Gazzetta dello Sport, “Si accorse subito che non tutto era regolare, ma aveva talmente tanta voglia di giocare che passò sopra a quella bugia. Loro, la squadra di Pasolini intendo, erano bellissimi nelle divise rossoblù fiammanti. Lui aveva la faccia scura, anche perché si era fatto male. Mi pare che gli avessero fatto un brutto fallo e che zoppicasse”.

Un’omaggio per ricordare Pier Paolo Pasolini

Nell’intervista di Enzo Biagi apparsa su La Stampa il 4 gennaio 1973, Pasolini disse che senza cinema e senza scrivere avrebbe voluto diventare un giocatore professionista, in quanto “dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei grandi piaceri”. Tra le iniziative che celebreranno i cinquant’anni dalla sua morte, davvero tragica, ce ne sarà una che il regista avrebbe particolarmente gradito, il quadrangolare PPP50: Pasolini segna ancora, in programma oggi allo Stadio dei Marmi. Lui di certo l’amerebbe tantissimo.

Pier Paolo Pasolini era un uomo molto complesso, capace di vivere questo magnifico gioco come linguaggio, rito, piacere e pedagogia. Oggi, mezzo secolo dopo quella fatidica notte di novembre, il calcio continua ancora a essere quel tipo di spettacolo, ma forse ha smarrito parte della sua sacralità, inghiottito da algoritmi metodici e cronache urlate. Eppure, ogni volta che un ragazzo tira un pallone per la strada su un campo di periferia, Pasolini è lì. Ala destra, con la fascia di capitano al braccio, a inseguire quel gesto semplice e poetico. Ad amare questo sport come evasione e come forma di espressione popolare, una grammatica del corpo e dell’anima.

Ricordarlo ai giorni nostri, con una partita o una lettura, significa restituire dignità a quel pallone che rotola tra le borgate e le idee. Perché Pasolini non ha mai smesso di giocare: lo fa ancora ogni volta che il calcio torna a essere racconto di passione e verità.

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