Allenamenti e rivoluzione: lo sviluppo del CLA in NBA

Il CLA in NBA sta rivoluzionando il modo di concepire gli allenamenti sia a livello individuale che di squadra.

In NBA, l’universo circostante alla partita è complesso e talvolta oscuro per i non addetti ai lavori. I ritmi stagionali impongono allenamenti non sempre ad alta intensità, e spesso è necessario prediligere il riposo al carico atletico. Tradotto, a livello personale è ideale lavorare nelle pause estive, e questo sta a discrezione del giocatore che può organizzare o meno la sua tabella preparatoria.  A livello precettistico, le idee dei coaching staff si inseriscono a partire dal training camp, con le partite di preseason che funzionano da banco di prova minimo. Molto viene implementato nell’arco delle 82 partite: tra queste, spesso le sedute sono di gestione in palestra, o di semplice tiro quando il programma è serrato. In certi casi si lavora in modo differenziato per ruolo, sfruttando il numero di assistenti a disposizione che sono deputati a sviluppare la fase offensiva o la fase difensiva, in base ad un ambito di competenza determinato.

Non c’è una scienza esatta, ma poiché l’approccio allo sport da anni ingloba ambiti più cerebrali che pratici, il perimetro di movimento degli allenatori è potenzialmente vasto. A questo proposito tanti – molti più di quel che appare – stanno abbracciando il Constraints-Led Approach (CLA) come base di sviluppo, sia per risolvere criticità dei singoli che a livello di squadra, per prediligere un ambito dell’attuazione in partita che diviene centrale in questa modernità sportiva: la lettura corretta, in tempi immediati.
Questo avviene un po’ ovunque, ma il CLA in NBA – soprattutto in questa epoca dove la ricerca dell’efficienza si fonda su concetti di ritmo e spazio – può apparire determinante nel modificare l’esecuzione di un gruppo; partendo dalla mente per rivoluzionare la pratica, anche senza cambiamenti particolarmente importanti nell’organico.

Cos’è e com’è arrivato il CLA in NBA

Il Constraints-Led Approach è una metodologia di allenamento che affonda le proprie radici nella psicologia e nelle neuroscienze, in opposizione al sistema di training “a blocchi”. Cioè l’apprendimento di uno schema di movimento passo dopo passo, in progressione, ponendo attenzione meccanicamente sui minimi dettagli di attuazione.  Il CLA si sviluppa partendo dal principio che non necessariamente una seduta perfetta, produce risultati perfetti. Anzi, tutt’altro. Perché se il lavoro serve a preparare situazioni che potranno verificarsi in partita, esistono dinamiche esterne che non possono essere calcolate in quanto variabili indipendenti dal singolo.

Sostanzialmente si sottopongono i singoli a scenari con limitazioni differenti, chiamati “vincoli”, per restituire al training l’imprevedibilità che si verifica nel contesto partita. Può trattarsi di un numero definito di passi, di aree di gioco circoscritte in cui potersi muovere, addirittura di palloni dal peso specifico aumentato o comunque differente, definendo un compito da portare a termine e quindi un obiettivo da raggiungere.  E mentre tra le mille difficoltà delle complicanze imposte, i giocatori cercano di non sbagliare o di correggersi, la loro mente si abitua a cercare le soluzioni più vantaggiose per raggiungere il risultato. Imparano a muoversi nel modo più efficiente, in circoscrizioni assurdamente complicate, per obiettivi che sono diversi da quelli tipici della partita.

Ad esempio, per sviluppare una capacità realizzativa non è detto che l’obiettivo sia raggiungere un banale canestro, ma farlo tenendo conto di numerosi vincoli per allenare la capacità di selezionare la via più conveniente secondo complicanze determinate da un posizionamento avversario, dalla determinazione temporale del momento o dalle sollecitazioni imposte dall’ambiente esterno (il pubblico avverso, per dire). Costringendo l’atleta a confrontarsi con variabili impossibili da prevedere, il CLA testa la capacità di leggere al meglio la situazione sotto pressione. Diversamente da quanto accade replicando la perfezione di un gioco o di una movenza in contesti asettici, o prevedibili, allenando una meccanicità che poi deve sottostare necessariamente ad inconvenienti conosciuti ma dagli effetti incalcolabili sul momento. Insomma, si sviluppano comprensione tattica e problem solving del singolo, partendo da un lavoro personalizzato che pone condizionamenti specifici per accrescere aree determinate di competenza.

Ma se Victor Wembanyama ha passato del tempo quest’estate a prepararsi in sedute ad hoc con Noah LaRoche – vero e proprio luminare di questa filosofia – il CLA può essere adottato anche a livello collettivo determinando principi di gioco che rendono l’applicazione fluida e situazionista. Il francese non è certo il primo che si mette nelle mani di LaRoche, anche perché ha accettato la proposta del compagno Harrison Barnes, cliente già da anni delle sedute singole del coach. che in passato ha lavorato anche con Paul George e altri atleti NBA più o meno di nome. Del resto, improvvisazione e versatilità sono divenuti elementi fondamentali per un singolo, in qualsiasi sport si cimenti. Per aggiungere al proprio bagaglio un livello importante di queste peculiarità, l’idea è fornire al singolo gli strumenti per accrescere le proprie capacità decisionali, determinando così la propria ed unica direzione per raggiungere il goal.

Per quel che riguarda le franchigie della National Basketball Association, è curioso sapere che gli ultimi vincitori del Larry O’Brien Trophy – Thunder e Celtics – hanno abbracciato questa metodologia, che è più un cambio di concetti base che altro. E contemporaneamente le due franchigie che hanno stupito di più per approccio offensivo la scorsa stagione (Cavaliers e Grizzlies), sono partite da lì nel loro processo di trasformazione. Infatti Kenny Atkinson è divenuto da tempo entusiasta apprendista del CLA e il sopracitato LaRoche non era altro che Assistant Coach di Memphis, prima del licenziamento insieme a coach Jenkins. A vantaggio dell’altro assistente, Tuomas Iisalo, formato secondo la stessa filosofia ma con attuazioni differenti, già ai tempi del Paris Basketball. E quindi prima di approdare in NBA.

Ma andiamo per gradi nell’analisi. Anche perché, se il CLA sta avendo un successo evidente nella lega (e non solo, perché è coniugabile ad ogni sport esistente), l’idea che altre squadre stiano lavorando a livello di gruppo in quella direzione è più che un’ipotesi.

Da Parigi a Memphis

Quando il mondo della pallacanestro si è accorto che i Grizzlies di Jenkins giocavano senza utilizzare il pick&roll, sembrava una sorta di risveglio inquieto tipico dell’input che darà il via ad un cambiamento, del quale si percepisce la portata ma non se ne comprende l’origine. Come spesso accade, è stato Ben Taylor con il suo Thinking Basketball ad evidenziare la questione con un video. E i risultati momentanei di Memphis lasciavano intendere che se di rivoluzione tattica si trattava, il riscontro era pure tangibile in materia di risultati.

Poi qualcosa si è rotto: a una manciata di partite dalla fine della stagione e con il rendimento di squadra in calo, la dirigenza ha deciso di sollevare d’improvviso Jenkins insieme al sopracitato assistente LaRoche, promuovendo nel ruolo di head coach, Tuomas Iisalo. Il tecnico di origini finlandesi aveva diretto da “allenatore capo” il Paris Basketball nella stagione 2023-24, con ottimi risultati in materia di record e fluidità di gioco. Uno degli assistenti precedentemente in carica – Will Weaver – era il britannico Alex Sarama, autore del libro Transforming Basketball sulle implementazioni del CLA nella pallacanestro in materia di allenamento. Lui, fortemente voluto al tempo dal proprietario David Khan (ex GM dei Wolves), aveva notevolmente contribuito con il suo approccio alla rapida crescita del club parigino, dalla seconda divisione nazionale all’élite europea.

Per Iisalo, già formato sul CLA grazie alla collaborazione con LaRoche e chiamato a gestire un sistema costruito su quella filosofia, il salto a Memphis è la naturale conseguenza, sbarcando così in NBA. L’accoppiata di assistenti a supporto di Jenkins genera un immediato ribaltamento dei sistemi di training, come ampiamente previsto, ma non incontra il favore di tutti. Soprattutto dei giocatori e in particolare della superstar Ja Morant, atleta stratosferico dotato di esplosiva rapidità di gambe, che fonda la sua pericolosità realizzativa sullo sfruttamento dei blocchi nei giochi a due puntando direttamente il ferro, non essendo dotato di un tiro fluido e affidabilissimo. Tra i due assistenti, Noah LaRoche diviene direttore dello sviluppo dei singoli interpreti dei Grizzlies e decide in accordo con il tecnico di eliminare il gioco a due dalle prime fasi di possesso, ritenendo che l’attesa del posizionamento del bloccante fermi il ritmo dell’azione offensiva. E sull’idea di ritmo e improvvisazione si fondano i principi di Iisalo, già messi in atto proprio a Parigi.

Alla pausa per l’All-Star Game – nonostante infortuni, assenze e defezioni – Memphis è il quinto miglior attacco della lega e il quarto per net rating, ma Morant non è contento e manifesta disappunto con la dirigenza, quasi in coincidenza con il calo dei risultati che trascina la squadra nel bel mezzo della lotta per l’accesso alla postseason via Play-in. A quel punto il direttore generale Zach Kleiman è costretto a prendere una decisione: scaricare la sua stella – pessima idea, visto che è la principale attrazione del pubblico – oppure cambiare coaching staff.  Una scelta inevitabile, perché promuovere Iisalo non significa abbandonare il CLA, ma semplicemente proseguire il sistema già in atto andando incontro a Morant, partendo dal fatto che tra i vincoli di attuazione può serenamente tornare il pick&roll come accesso ai giochi.

Anzi, Tuomas Iisalo – come già detto – pone come aspetto primario della sua murderball un “pace” elevato, pur basandosi sull’attacco prediletto da Morant anche nell’anno passato in Francia. Lui, è perfetto quindi. Taylor Jenkins viene sollevato dalla panchina e Noah LaRoche lo segue tornando così ad preparare privatamente i giocatori NBA volenterosi nella sua accademia angelena (come Wembanyama, citato in precedenza). Anche l’assistente Joe Boylan se ne va dimettendosi, essendo stato chiamato direttamente da LaRoche per continuare a lavorare sul suo attacco ispirato al CLA. Memphis ha confermato Iisalo in panchina dopo alcune settimane da interim, almeno in avvio. Segnale chiaro: la franchigia non ha intenzione di abbandonare la metodologia del Constraints-Led Approach.

Un video di Thinking Basketball che mostra l’attacco senza pick&roll

La rivoluzione di Kenny a Cleveland

Più o meno contemporaneamente all’approdo di Iisalo e LaRoche a Memphis, nell’Ohio si cercano soluzioni per implementare il potenziale del roster dei Cleveland Cavaliers, pieno di talento ma atipico per struttura. La lineup principale prevede un backcourt sottodimensionato formato da due stelle come Garland e Mitchell, con un frontcourt sovradimensionato con i lunghi Mobley e Allen a condividere il campo. Servono chiavi tattiche diverse per far funzionare la compresenza in campo di questi quattro, dopo il sollevamento di coach Bickerstaff, e si pensa a Kenny Atkinson.

Allenatore apprezzato ai tempi dei Nets, reduce dalle esperienze da assistente a Golden State e, prima ancora, ai Clippers. Ed è proprio nel suo periodo passato nella Città degli Angeli che Atkinson si imbatte nel CLA, quasi casualmente, trovandosi ad assistere ad una seduta privata di un suo giocatore, Paul George, proprio con Noah LaRoche, nella sua Academy. Rimane folgorato nel vedere come uno dei migliori attaccanti della lega venisse sfidato da vincoli inusuali: lui, con la palla in mano e un obiettivo, a scontrarsi con cinque difensori impugnanti protezioni e aste per limitarne mobilità e visuale, costringendolo a letture estreme e improvvisate. Cominciò così a riflettere sull’esistenza di metodi alternativi al training tradizionale, orientati allo sviluppo cognitivo. E nel triennio passato ad osservare i processi di efficientamento neurocognitivo di Stephen Curry ai Warriors, ne ottiene conferma.

I pezzi del puzzle si incastrano definitivamente proprio nel periodo in cui Atkinson riceve l’interessamento dei Cavs verso di lui, scontrandosi con il sopracitato Alex Sarama ed il suo testo Transforming Basketball. Finalmente un testo capace di mettere nero su bianco un processo complesso come il CLA. Kenny contatta subito Sarama per una serie di colloqui: i due legano, e il secondo convince rapidamente il primo sull’efficacia di questo metodo. Che diviene la base del lavoro di Atkinson una volta accettato l’incarico di Cleveland, partendo dall’urgenza di sviluppare le letture dei singoli a disposizione, e avvalendosi di Sarama che assume subito nel suo staff.

Il giocatore su cui appare primario lavorare è il talento Evan Mobley, che deve migliorare la sua sicurezza e la sua fluidità di tiro, per il quale è opportuno sperimentare scenari che simulino in maniera efficace le pressioni tipiche di una partita. Da quel momento, l’utilizzo di questo metodo diventa la base del lavoro della squadra, nell’acquisizione di posizionamenti offensivi e consequenziali letture dell’imprevisto. Ad esempio, Atkinson in allenamento chiede a Jarrett Allen di tagliare esattamente dove Donovan Mitchell sceglie di penetrare verso l’area, generando naturali intasamenti di spazi e proverbiale confusione offensiva, per sviluppare la capacità di risoluzione di entrambi, vincolando i tempi di conclusione. Le simulazioni dei giochi in cinque contro zero vengono eliminate, favorendo sessioni d’attacco in cui la difesa veniva preparata in modo mirato sul gioco analizzato, istruita su condizionamenti determinati da inserire per rendere fallace l’esecuzione.

Si crea così un vero e proprio “clima partita”, combinando elementi studiati per favorire il caos e stimolare letture immediate per uscirne. Mentre i Cavs cercano di risolvere rebus simili con apparente improvvisazione, in partita tutto funziona a meraviglia. Chiudono la regular season vincendo 64 partite su 82. Kenny Atkinson viene premiato come Coach of the Year, Mobley e Garland disputano le loro migliori stagioni in carriera, ben affiancati da Allen e Mitchell oltre che da un contorno che sboccia per efficacia (basti pensare a Ty Jerome).

Insomma, un successo sistemico, che si fonda sull’utilizzo del CLA sia nel lavoro di sviluppo dei singoli che nell’inserimento degli stessi in un contesto collettivo: vincoli su vincoli, letture individuali che si riflettono sul movimento collettivo. Sembra incredibile, ma i Cavaliers giocano come una squadra completamente rinnovata rispetto all’anno passato, pur non avendo strutturalmente cambiato nulla negli interpreti.

L’approccio olistico di Mazzulla

Poiché il sistema allena mente e corpo a ricercare la soluzione ottimale in base all’imprevedibilità del contesto, è difficile determinare o intuire dove il CLA si applichi e funzioni. Ed ha senso parlare di approccio “olistico”, sia nell’attuazione sul singolo che a livello di squadra, che appare un plus nuovo ma – come detto – in via di diffusione dopo i successi evidenti nella messa in campo di chi lo ha abbracciato. Prima ancora di Cleveland e Memphis però, c’è stata Boston. O meglio, c’è stato Joe Mazzulla, che della filosofia non convenzionale ha fatto un marchio distintivo nell’anno del dominio dei suoi Celtics.

La cosiddetta Mazzulla Ball – tanto vituperata da esser spesso ridotta ad un dispregiativo “ciapa e tira” – è un qualcosa di più complicato di quel che appare, perché si plasma sulle caratteristiche degli interpreti in campo e mira alla costruzione per il migliore wide open in caso le difese, coprendo a rotta di collo, non lascino vuote le corsie di penetrazione.  E visto il movimento, la circolazione di palla ed il basico penetra e scarica (in una situazione idealmente di 5 fuori), è complesso che la difesa avversaria non conceda un tiro ideale per spazio ed efficienza potenziale. Del resto, tre vale più di due.

A livello di gruppo, l’ambizioso Mazzulla – da quando è divenuto allenatore capo dei Celtics – ha sempre guardato oltre all’applicazione di campo per schemi a blocchi, prediligendo un’attenzione incentrata sull’individuo come parte di un ampio insieme. Destinato poi a muoversi all’unisono, anche davanti alle variabili impreviste che si presentano all’interno di una stagione. Siano infortuni o assenze, oppure scelte tattiche pensate per disinnescare il suo piano di gioco o, meglio ancora, il sistema che ha costruito. Per fare questo, la priorità va sull’interesse personale del singolo, prestando attenzione al suo coinvolgimento come ingranaggio di una macchina più grande, che prima o poi avrà bisogno di lui nel ruolo che gli spetta in spazi determinati.

Il primo obiettivo è creare atleti completi sia fisicamente che mentalmente ed emotivamente, lavorando ad una cultura della fiducia verso il coach e di riflesso rispetto al gruppo. Insomma, lavora all’amalgama nella sua forma più autentica, partendo dall’appartenenza convinta del singolo. Poi, risolto il primo livello (che resta attenzionato in primis), si passa al percorso in campo della squadra, ponendo limitazioni sia in allenamento che durante l’arco stagionale, che restituiscano coinvolgimento e creino unione nel superamento dell’ostacolo verso il raggiungimento dell’obiettivo.

Se attacco e difesa si fondano su concetti anziché schemi, è opportuno consolidare l’idea di fondo e tramutare ogni successo in un obiettivo il cui raggiungimento dipende da come si riescono a dribblare gli ostacoli casuali, nel rispetto dei suddetti principi. E ottenendo il risultato sperato, che va a braccetto con l’efficienza.  Il tutto accompagnato da uno studio matematico sul “chi rende meglio dove”, che si tratti di posizione difensiva in rotazione, occupazione di una zona di campo offensiva o tempi di taglio in parallelo con lo svolgimento del gioco. Tutto questo viene implementato seguendo la filosofia del CLA in allenamenti che non prevedono la costruzione dell’ideale attraverso blocchi, ma simulando l’imprevedibilità di partita. Il processo si consolida quando, d’accordo con staff e giocatori, Mazzulla affida loro maggiori responsabilità. Può trattarsi di Tatum o Brown – le due superstar che mediamente hanno un minutaggio determinato per risparmio – che in partite di cartello vengono informati di dover fare gli “straordinari” in campo, pur trattandosi di una gara di metà stagione.

O alternativamente di Hauser e Pritchard, che inizialmente venivano gestiti come armi da second unit, ma hanno visto aumentare la loro importanza d’improvviso, facendosi trovare pronti. Vale lo stesso per Neemias Queta, che lo scorso anno ha avuto un suo momento di grande utilizzo in regular season e quest’anno è chiamato a replicarlo (forse in aumento) per tutta la stagione, viste le partenze estive nel suo reparto. Saprà farsi trovare pronto, così come lo scorso anno si è fatto trovare pronto quel Pritchard che ha vinto il premio di Sixth Man of the Year?

L’auspicio di Mazzulla è che accada: il suo sistema prevede esiti positivi proprio in questi termini, proporzionale alle aspettative stagionali. Inevitabilmente ridimensionate dal lungo infortunio ancora in corso di Tatum, ma comunque parte di un processo che mira – senza ombra di discussione – al ritorno dei Celtics tra le contender per il Larry O’Brien Trophy nel più breve tempo possibile. Dovesse andar tutto bene, incluso il recupero lampo della loro superstar, senza precludersi nulla, già nel 2026.

Who’s next?

In conclusione, la pallacanestro sta mutando sotto i nostri occhi. I corpi che la giocano si sono evoluti ed evolveranno secondo una sorta di “evoluzione della specie”, e questo andrà di pari passo con le competenze e le capacità.  Le capacità innate hanno un valore, soprattutto a livello atletico e fisico, ma da quelle si può partire per lavorare a fondo e non si può aspettare che l’esperienza sul campo aiuti.

Per questo il CLA è importante nello sviluppare le capacità di lettura del singolo, oltre che quelle del collettivo. Questo approccio, già ampiamente sperimentato sui singoli, è destinato a diffondersi ulteriormente, più di quanto non lo sia già a livello di coaching staff e franchigie NBA. Ma non si tratta solo di questo, visto che il CLA sta alla base di programmi di recupero da infortuni gravi, o nei progetti di lavoro riguardanti giocatori e squadre anche di altri sport (come dimostra anche il caso del Liverpool nel calcio).

Con LaRoche, Victor Wembanyama ha lavorato su varie componenti del suo gioco offensivo, affrontando scenari simulati a livello partita, per quel che concerne il tasso di complicazione imprevista. Concentrandosi soprattutto su come sfruttare la gravità che genera, il suo obiettivo era quello di creare spazi per i compagni anziché occuparli in attacco, togliendo eventuali riferimenti alle difese avversarie per limitarlo laddove prevedibile. Il senso del tutto stava nel fatto che, pur essendo cosciente di poter tirare da qualsiasi posizione in ogni azione in cui riceve la palla, rendere le cose più facili per i compagni con la sua presenza era il modo migliore per ottenere vita più facile, a sua volta.

Ha preparato la mente – ed il corpo, di conseguenza – nella costante ricerca della soluzione ottimale in base all’obiettivo, tanto da automatizzare il processo sentendolo come “naturale”. E disimparando a ricorrere a mosse pre-programmate, figlie delle ripetizioni da quanto fatto nelle passate preparazioni, che sono molto più facili da prevedere dalle difese. Questo gli donerà una sicurezza maggiore? Lo renderà ancor più immarcabile?

Oppure sarà sufficiente “solo” a fargli opzionare la scelta giusta, aumentando la sua efficienza in letture? Dipende tanto da quanto i sistemi in allenamento avranno liberato la sua mente dalla prevedibilità, in aggiunta ai suoi mezzi fisici eccezionali e al talento tecnico fuori scala. Il discorso vale per i “nuovi” Cleveland Cavaliers o Memphis Grizzlies: due squadre che hanno ottenuto risultati diversi, ma hanno acquisito una nuova fluidità di manovra rispetto a prima, da quando hanno abbracciato il CLA come fondamento della preparazione del gruppo.

Chi sarà il prossimo a beneficiare di questa “rivoluzione ideologica” nella preparazione? Può essere un cambio di filosofia a rendere i Knicks o i Lakers due contender legittime? Difficile, viste le differenze di equilibri e peculiarità a roster. Ma allo stesso modo, si possono cambiare vincoli di allenamento per ottenere risultati confacenti alle proprie strutture. Si può lavorare sulla lettura di un gruppo che ruota attorno a Dončić, già dotato di un’elevata capacità di interpretare e manipolare le difese avversarie. Si può provare a sviluppare dinamiche offensive diverse dal Brunson con la palla in mano, se hai una panchina più profonda e un quintetto con atipicità importanti come nel caso dei Knicks.

E poi non per forza l’obiettivo deve essere la vittoria finale, a maggior ragione se il processo di costruzione (o ricostruzione) è iniziato da poco.

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