Paolo Sollier, il calciatore col pugno chiuso

Paolo Sollier - Puntero

Gli anni Settanta in Italia furono un periodo estremamente travagliato e turbolento. Una fase storica senza precedenti, che oggi viene anche riduttivamente sintetizzata con l’espressione “Anni di piombo”. Un’epoca figlia dell’importante sviluppo economico del dopoguerra, che aveva portato crescita e modernizzazione nel Paese, ma al tempo stesso aveva generato disuguaglianze e tensioni sociali.

Il periodo degli “Anni di piombo” viene collocato tra la fine dei Sessanta e l’inizio degli Ottanta. A circoscriverne simbolicamente l’inizio e la fine sono due delle pagine più buie della recente storia italiana: la strage di Piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969 e l’attentato alla stazione ferroviaria di Bologna del 2 agosto 1980. Impresso nella memoria collettiva è anche il caso Moro, ossia l’episodio del rapimento e uccisione del segretario della Democrazia Cristiana Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Una delle pagine più buie della storia recente del nostro Paese.

Anni irrequieti, imbevuti di idee radicali, in cui si generò un clima di aperte tensioni politiche e sociali, a cui i governi non sembravano riuscire a trovare soluzione. Negli anni Settanta, il dibattito politico è affare di tutti, a qualsiasi livello della scala sociale. La politica entra nei discorsi dei bar, in famiglia, sui luoghi di lavoro.

C’è però una categoria che se ne tiene a distanza: i calciatori. La maggior parte dei calciatori non si esprime su argomenti politici, sovente per disinteresse, altre volte invece perché preferisce non schierarsi troppo. Alcuni li additano perfino come “depensanti”, individui non in grado di ragionare con la loro testa e che quindi spesso si conformano al pensiero della massa. In questo contesto, nel panorama calcistico italiano degli anni Settanta ci sarà una voce che deciderà di uscire dal coro e prendere spesso posizione: quella di Paolo Sollier.

 

Paolo Sollier, un calciatore diverso

Sollier nasce il 13 gennaio 1948 in Val di Susa, più precisamente a Chiomonte, ma cresce a Torino, dove si forma culturalmente avvicinandosi all’impegno sociale in associazioni cattoliche “del dissenso” come Mani Tese e Emmaus, per poi approdare all’organizzazione politica di sinistra radicale Avanguardia Operaia, nata nel 1968. Nello stesso anno Sollier si iscrive alla facoltà di scienze politiche, ma la abbandona solo un anno dopo per lavorare allo stabilimento Mirafiori della FIAT.

All’impiego come operaio, Sollier accompagna la passione per il calcio. Passione che si allaccia a un discreto talento, al punto da riuscire a smettere la tuta da operaio per indossare a tempo pieno la divisa da calciatore. Dopo gli inizi nel Cinzano, nel 1973 viene tesserato dalla Pro Vercelli in serie C, e l’anno successivo viene acquistato dal Perugia. Ed è proprio nella piazza umbra che scrive una pagina memorabile della storia del club: sotto la guida di Ilario Castagner, nella stagione 1974-75 il Perugia vince il campionato di Serie B e per la prima volta nella sua storia approda nella massima divisione.

Nella squadra capace di conquistare la Serie A, Sollier è un importante tassello del centrocampo. Pur non essendo un nome tra i più in vista del panorama del calcio italiano, la sua tenacia e instancabilità gli permettono di fare breccia nel cuore dei tifosi del capoluogo umbro. A livello nazionale, tuttavia, più che per l’impegno sportivo, ciò per cui verrà ricordato maggiormente sarà l’impegno politico e l’attenzione alle questioni sociali.

 

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Un’immagine del Perugia 1974-75 che conquistò la prima storica promozione in A. Sollier è il terzo in piedi da sinistra

 

Paolo Sollier, l’antidivo

In un’intervista rilasciata nel 1976 alla Domenica Sportiva, Sollier si dichiara consapevole di essere diventato un personaggio in vista pur non avendone mai avuto la brama. Le sue parole e anche la sua estetica lo rendono un vero e proprio antidivo. Al microfono del giornalista riconduce la sua notorietà e la sua immagine pubblica al fatto di non aver cambiato di una virgola il proprio stile di vita:

Io direi che sono diventato un personaggio continuando a fare la stessa vita che facevo quando stavo a Torino. Cioè frequentando gli ambienti della sinistra extraparlamentare, vivendo in una comune e facendo politica. Faccio le stesse cose adesso che non gioco più in Serie C e sono diventato di colpo un personaggio. Questo non mi sembra il caso e non mi sembra un motivo sufficiente.

Queste parole rispecchiano a pieno il carattere di Sollier, un calciatore che non firmava autografi e preferiva restare lontano dai salotti borghesi. Si dimostra a tutti gli effetti un calciatore anticonformista: nelle interviste si distingue per le parole mai banali, in un mondo in cui tanti colleghi calciatori sembrano recitare un copione ogni domenica.

All’epoca, soprattutto negli ambienti di sinistra, il calcio era visto con malcelato snobismo: se non proprio una perdita di tempo, al più veniva derubricato come un’occasione di disimpegno, oltre che di privilegio quando praticato a livelli professionali. Sollier, invece, applicava la sua visione apertamente marxista della società e del mondo del lavoro anche all’universo del calcio. Per lui i calciatori, in quanto lavoratori a tutti gli effetti, avevano il dovere di intervenire nella società, al pari di chi era impiegato nelle fabbriche o negli uffici. E avevano un obbligo nei confronti di tutti: quello di comportarsi da cittadini e rendersi utili per tutta la comunità, «non intervenendo corporativamente solo all’interno della propria categoria». In breve tempo Sollier divenne un punto di riferimento per molti studenti e lavoratori. Era l’idolo di chi, proprio come lui, auspicava un mondo diverso.

 

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Paolo Sollier al tiro durante un match giocato al Santa Giuliana, all’epoca stadio del Perugia

 

Dal pugno chiuso alla letteratura

Sollier è anche ricordato per la sua celebre esultanza. Quando metteva la palla in rete, correva energicamente verso i suoi tifosi e li salutava con il pugno chiuso. Il pugno alzato, simbolo della lotta proletaria, era un chiaro segno della sua appartenenza comunista. Due anni fa, in un’intervista rilasciata al Manifesto ha chiarito ulteriormente il significato di quell’esultanza:

C’era un po’ di tutto. Chi mi salutava con il pugno e chi mi mandava a quel paese. Non era un gesto di sfida ma solo un modo per essere coerente con quello che pensavo.

Questo tipo di esultanza non gli ha ovviamente risparmiato contrasti con alcune frange di tifoserie storicamente di destra. Su tutti ricordiamo un Lazio-Perugia del 1976, durante la quale ad accogliere il calciatore piemontese compare un eloquente striscione che recita “Sollier boia”.

Oltre che un calciatore, Paolo Sollier è stato anche uno scrittore. Nel 1976, ancora nel pieno della carriera, pubblica il libro Calci e sputi e colpi di testa. Si tratta di un’autobiografia in cui racconta se stesso a 360 gradi, dalla vita alla carriera fino ai suoi impegni politici. Con penna ironica e pungente, Sollier dipinge il proprio quadro dell’Italia degli anni Settanta: Calci e sputi e colpi di testa è un interessante spaccato dello Stivale di quegli anni, secondo il racconto in prima persona di un calciatore professionista schierato a sinistra.

Attraverso la sua opera, Sollier è la prova di come uno sportivo possa utilizzare la sua posizione privilegiata per affrontare tematiche sentite e importanti. In questo caso lo ha fatto attraverso un libro, dato che di libri è sempre stato appassionato. È stato lui stesso a raccontare che, in occasione di un Natale ai tempi del Perugia, regalò a ciascun compagno un libro con dedica. In quella al mister Castagner scrisse che non si vive soltanto di calcio: fortunatamente l’allenatore la prese bene.

Nel 2022, quarantasei anni dopo la prima uscita, Calci e sputi e colpi di testa è tornato nelle librerie grazie alla casa editrice Mimesis. La nuova edizione, che mantiene i contenuti originali, è un’ottima idea per chi ha voglia di approfondire una storia di sport chiusa da molti nel cassetto della memoria.

 

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La prima copertina del libro dell’ex centrocampista

 

Il lascito

Dopo l’esperienza a Perugia, Sollier prosegue la carriera tra la serie B e la serie C con le maglie di Rimini, di nuovo Pro Vercelli e Biellese. Appesi gli scarpini al chiodo, ha provato a intraprendere la carriera da allenatore. Ha iniziato nel Sant’Orso Aosta nel 1985, terminando nel 2009 alla Castellettese. Ha allenato anche l’Osvaldo Soriano Football Club, rappresentativa di calcio degli scrittori italiani.

In panchina ha raccolto scarsi risultati. In una recente intervista, con la franchezza di sempre, ha ammesso di non essere riuscito a imparare come gestire uno spogliatoio. Sempre nella già citata intervista rilasciata al Manifesto, però, Sollier non risparmia una frecciata a chi non vive il calcio con lo spirito di sacrificio che lui cercava:

Un errore è stato quello di pensare che qualsiasi calciatore giocasse con la mia testa, cioè con l’idea di dare sempre il massimo.

Paolo Sollier è ormai un personaggio nascosto nella storia del pallone, protagonista di un percorso curioso e a suo modo unico, ormai vecchio di mezzo secolo ma che è ancora in grado di insegnare qualcosa agli appassionati. Un calciatore capace di distinguersi per impegno, onestà e visione del mondo. Nonostante gli Anni di piombo siano ormai (e per fortuna) lontani, fare un balzo nel passato grazie alla vita di questo personaggio così raro può essere utile per conoscere un pezzo di storia sociale dell’Italia e dello sport.

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Un’immagine di Sollier oggi, ormai da anni lontano dal calcio

 


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