Perché Nausicaa Dell’Orto è una delle sportive più influenti d’Italia

Nausicaa Dell'Orto è ambasciatrice del football NFL nel mondo e, anche grazie a lei, il flag football arriverà alle Olimpiadi di Los Angeles 2028.

Anni e anni di film e serie tv ci hanno fatto pensare alle high school americane come a luoghi popolati da giocatori di football e cheerleaders: gli uomini come giovani adoni in perenne competizione per diventare quarterback, le donne sempre bellissime e pronte a lottare, pompon alla mano, per il ruolo di capitana. Oltre questi stereotipi e luoghi comuni, nel mondo reale capita che a volte le ragazze non si accontentino di sorridere e fare acrobazie durante le partite, ma che vogliano scendere in campo per diventare protagoniste, non solo da comparse. È quello che è successo a Nausicaa Dell’Orto, nome mitologico e storia di successo. Un talento tutto italiano che oggi, a 31 anni, è la capitana della nazionale femminile di football americano, ma rappresenta anche un punto di riferimento nel panorama nazionale e internazionale perché è stata una delle promotrici dell’intero movimento nel nostro Paese.

Nausicaa Dell’Orto, dal cheerleading al campo

Anche lei, come le ragazze delle serie tv, inizia facendo cheerleading: viene dalla ginnastica e quella disciplina le piace, ma quando inizia a guardare le partite di football le si accende dentro il desiderio di giocare. È il 2011 e non solo in Italia non esistono squadre femminili, ma forse ancora a nessuno è venuto in mente che lo sport “macho” per eccellenza possa essere giocato anche dalle donne. Comincia così la sfida di Dell’Orto che raccoglie attorno a sé altre ragazze che vogliono allenarsi e giocare: si scontrano con diversi no, qualche presa in giro da parte di chi è convinto che non potranno mai imparare, ma alla fine trovano un coach disposto ad aiutarle e, un passo alla volta, si fanno conoscere. Il movimento si allarga tanto che anche la federazione, la FIDAF, inizia a supportare la creazione di team femminili, che dal 2013 partecipano al campionato nazionale.

Dal 2024 la FIDAF è riconosciuta dal CONI come federazione sportiva nazionale e regola le due versioni del football: il tackle e il flag. La prima è quella in cui ogni squadra schiera undici giocatori, che giocano con casco, paraspalle e altre protezioni in un campo di 120 yard (109,73 metri): la partita è divisa in quattro tempi di gioco da 15 minuti ma, dato che si conta il tempo effettivo di gioco, ogni match dura circa 3 ore. La seconda, invece, è quella senza contatto: lo scopo dell’attacco è guadagnare terreno e fare touchdown, la difesa deve fermare l’attacco senza placcaggi, ma tirando le bandierine attaccate alla cintura dell’avversario che corre con la palla in mano.

Si gioca cinque contro cinque e la partita dura 40 minuti divisi in due tempi da 20 minuti ciascuno. Se la prima è la versione dell’NFL, la massima lega professionistica americana che termina con il Super Bowl ma che, tuttavia, non è mai stata sport olimpico, la seconda è quella che farà il suo esordio nel programma dei prossimi Giochi: a Los Angeles 2028 ci sarà un torneo maschile e uno femminile di flag football, ma la vera essenza di questo sport sta nella sua versione open, in cui fin da piccoli uomini e donne gareggiano insieme. Come spiega proprio Nausicaa Dell’Orto:

Fino all’Under 15 sia nei club che in Nazionale tutte le squadre sono miste, poi dall’Under 17 c’è la separazione, ma spesso anche a livello senior si continua a giocare insieme. Questa cosa, anche se potrebbe sembrare più difficile per le ragazze, in realtà è positiva perché gareggiare con uomini, che sono più veloci e più alti di noi, è una sfida che vale come un ottimo allenamento e serve a migliorare il livello femminile. I nostri coach ci spingono a metterci alla prova perché così ci abituiamo a ritmi di gioco molto alti: quando vedi che puoi farlo contro i ragazzi capisci che puoi farlo anche nel tuo campionato e serve anche per l’autostima.

La cosa più importante, però, secondo Dell’Orto, è che le squadre miste insegnano ai ragazzi a stimare le compagne e a considerare naturale che pratichino lo stesso sport.

È bellissimo vederli allenare insieme, incitarsi a vicenda e fare squadra: questo è il miglior esempio di parità di genere che si può dare ed è un insegnamento che si portano dietro per sempre, perché a 15 anni sono già grandi. Crescendo quei ragazzi diventano uomini che rispettano le donne e, considerando quello che purtroppo succede ancora nel mondo, ogni piccola cosa come questa è necessaria. Tutto è inizialmente maschile nella nostra società, ma se non fai sentire una ragazzina un maschiaccio solo perché fa sport e rendi la cosa normale, allora anche l’approccio dei ragazzi cambia e io lo vedo ogni giorno coi miei occhi. Quando vado nelle scuole a insegnare a giocare a football inizialmente i maschi sono prevaricatori, vedono le compagne come un ostacolo, non le considerano all’altezza. Questo però succede perché le ragazze non sono incluse abbastanza e nelle ore di educazione fisica si annoiano. Bisogna coinvolgerle, fare in modo che credano di più in loro stesse, ma non bastano gli slogan: l’empowerment femminile si sviluppa se c’è consapevolezza e quindi c’è bisogno di insegnare loro come si fanno le cose. Allenare uomini e donne è una cosa diversa. Il mio coach in America mi diceva che la differenza sostanziale è questa: se dici a un uomo di correre attraverso il muro, lui lo fa. Se lo dici a una donna, prima ti chiede il perché, poi lo fa meglio.

La crescita del movimento in Italia

Nausicaa Dell’Orto non vuole essere chiamata pioniera, ma è un dato di fatto che è tra le prime donne ad avere giocato a football americano in Italia e una delle pochissime a essersi cimentata sia nel tackle che nel flag football.

Eravamo pochissime tesserate, anche perché per giocare, nel tackle, servono almeno 35 giocatrici, mentre nel flag ne bastano 10 e formare squadre è più semplice anche perché c’è bisogno di meno attrezzatura non essendoci caschi e paraspalle. Inoltre è uno sport che si gioca tutto l’anno, mentre il tackle richiede uno sforzo fisico notevole e prolungato e per questo ha una stagione di gioco e una di pausa.

Se per i ragazzi il flag football fino a poco tempo fa era un’attività secondaria da fare principalmente nei periodi di stop dal tackle, per le ragazze questa alternativa senza placcaggi, ma con un’intensità atletica molto alta, è diventata una possibilità che ha aperto le porte a molte più atlete e le ha avvicinate a questo sport. Da quando il flag football è diventato disciplina olimpica, però, si sta lavorando per fare crescere un gruppo di atleti specializzati e competitivo sia al maschile che al femminile.

Oggi anche i ragazzi sono fieri di giocare a flag e hanno capito che, anche senza le botte, è uno sport difficile perché non ha momenti di pausa: devi sempre correre. La nazionale maschile azzurra ha avuto risultati importanti qualche anno fa perché ancora non c’erano Paesi come gli Stati Uniti che all’inizio non avevano interesse nel flag football, ma investivano principalmente nel tackle. Anche di recente, però, i nostri portacolori hanno ottenuto la medaglia d’argento ai World Games del 2022, il traguardo più importante della nostra federazione. I ragazzi sono a un buonissimo punto e hanno tutte le carte in regola per essere a Los Angeles 2028.

La nazionale italiana maschile di flag football ha vinto anche due medaglie di bronzo ai Campionati Mondiali del 2010 e del 2014 e quattro medaglie d’argento ai Campionati Europei (2005, 2009, 2013 e 2019). La nazionale femminile, invece, ha ottenuto come migliori piazzamenti tre ottavi posti ai Campionati Mondiali (2014, 2021, 2024), un quinto e due sesti posti ai Campionati Europei (2017, 2019 e 2023) e il sesto posto ai World Games del 2022.

Il settore femminile è migliorato tanto: oggi ci sono più di 30 squadre nel nostro campionato e questo ci fa capire che questo sport sta crescendo in modo capillare su tutto il territorio nazionale. Ci sono tanti team al nord (Lombardia, Trentino, Toscana), ma anche la Sicilia è ben rappresentata. Ovviamente siamo un movimento giovane: le squadre di vertice hanno raggiunto un buon livello, ma sotto c’è ancora molto da costruire. È un processo che ha bisogno di tempo perché abbiamo cominciato a investire nello sport al femminile in generale da poco. In Paesi dove puoi trovare una palla da football anche nei negozi o dove ci sono molte scuole è indiscutibilmente più facile. Per quanto riguarda la nazionale, essere arrivate seste ai World Games, i Giochi Olimpici degli sport non olimpici, è stato un risultato impensabile. Le squadre più competitive sono Messico, Stati Uniti, Giappone, Panama. Noi non eravamo considerate al loro livello. Questo piazzamento è stato importante per farci capire che potevamo fare bene. Poi c’è stato l’ottavo posto ai Mondiali e quest’anno torneranno i World Games, stavolta in Cina: sarà un banco di prova impegnativo perché ci saranno le otto migliori squadre al mondo. Nel 2026 ci saranno gli Europei e poi ancora i Mondiali che daranno i primi pass per i Giochi Olimpici. Sono molto fiduciosa, anche se il livello si è alzato ovunque e sarà una sfida per tutti.

Il flag football sarà alle Olimpiadi grazie a Nausicaa Dell’Orto

Il fatto che il flag football sia approdato ai Giochi Olimpici è una grande conquista che porta anche la firma di Nausicaa Dell’Orto che, insieme a Diana Flores, capitana della nazionale messicana, è andata al CIO a presentare e supportare la candidatura di questa disciplina.

Posso dire con orgoglio che se oggi il flag football è sport a cinque cerchi è anche grazie a noi. Già questa per me è una vittoria perché significa che nessuno potrà più dire, come hanno fatto i miei genitori, che le donne non devono giocare o che questo sport non vale. Questo è un traguardo. Io ho il sogno di andare ai Giochi Olimpici, ma la maglia della nazionale viene molto prima di me. A Los Angeles avrò 34 anni e se non sarò all’altezza e ci dovesse essere qualcuna più forte di me sono pronta a farmi da parte. Il mio obiettivo più grande è quello di ispirare le ragazze affinché in futuro ci siano sempre più donne giocatrici di football. In quel caso saprei di avere fatto bene il mio lavoro. Il mio nome svanirà, ma l’eredità che lascerò sarà la cosa più importante.

L’impegno di Nausicaa Dell’Orto, infatti, non si limita al campo di gioco: è producer di contenuti NFL per Dazn, ambasciatrice globale del flag football e consigliera federale della FIDAF in quota atleti.

Lavoro perché il football americano in Italia sia ai massimi livelli. Con la FIDAF, in collaborazione con CONI e Sport e Salute, andiamo nelle scuole per insegnare il nostro sport, facciamo tornei regionali delle scuole e camp gratuiti per intercettare giovani talenti. I ragazzi di oggi hanno bisogno di essere coinvolti. Sono molto legati al telefono e ai social, quindi c’è anche un importante lavoro di comunicazione per trasmettere l’idea che il nostro sport è divertente e cool. In quest’ottica, anche Taylor Swift ha dato una mano alla causa (è fidanzata con Travis Kelce, star del football americano, ndr) perché porta dentro un’audience che prima non avevamo, così come il fatto che alcune atlete stanno diventando testimonial di vari brand.

Dell’Orto ha già assistito a sette Super Bowl dal vivo, ha studiato negli Stati Uniti, prima al Menlo College di Palo Alto, poi alla Boston University e ribadisce fiera di avere fatto della sua passione il suo lavoro. Il football americano è la sua vita e lo racconta come chi sente di avere il privilegio di vivere questo mondo da dentro, ma volendo invitare quante più persone possibili a entrarci e a guardarlo coi suoi stessi occhi. Per farlo usa tutti i suoi canali e tutte le sue energie. Il cambiamento più radicale, però, è quello che parte dalla governance, dalla scuola, da dove lo sport si fa, come dimostra il modello statunitense.

Quest’anno al termine dell’halftime show del Super Bowl sul megaschermo è stato mandato uno spot per il flag football ambientato negli anni ’80 in cui una squadra femminile sfida quella maschile. I ragazzi dicono: “Le ragazze non giocano a football” e loro rispondono: “Lo fanno da dove veniamo noi”. Alla fine compare un messaggio forte e chiaro: rendiamo il flag football varsity in tutte le high school dei 50 Stati americani. Negli Usa, infatti, esistono i varsity team, cioè squadre che rappresentano ogni college. Da quest’anno il flag football è stato inserito come obbligatorio in tanti Stati, ma non ancora su scala nazionale. La strada che si vuole percorrere, però, è tracciata.

In America il flag football è staccato dall’NFL, ma la lega si sta comunque spendendo molto per promuoverlo mettendo a disposizione tutti i suoi canali e i suoi partner commerciali. La spiegazione è semplice: la NFL è la lega numero uno in America per distacco, ma non è ancora il riferimento globale assoluto. Il suo obiettivo è quello di diventare un brand globale e per farlo da una parte spinge le sue squadre a venire in Europa, dall’altra vuole entrare nelle case delle persone e il primo approccio è proprio il flag football. Un bambino che inizia a conoscere il flag nel giro di poco tempo vorrà seguire l’NFL, comprare la maglia dei suoi giocatori preferiti, vedere dal vivo una partita. È business, ma c’è anche la volontà di lasciare una legacy. I Giochi Olimpici restano la più grande vetrina sportiva al mondo e, per questo, gli organizzatori non vogliono che Los Angeles 2028 sia un unicum, stanno già pensando a Brisbane 2032, tanto che hanno organizzato di giocare una partita a Melbourne l’anno prossimo.

Se negli USA c’è quindi tutta la volontà di puntare sullo sviluppo del flag football nonostante l’enorme successo dell’NFL e della versione tackle, in Italia l’inclusione nel programma olimpico può davvero fare la differenza per conquistare una platea più ampia.

Siamo una comunità compatta e coesa perché da noi è uno sport recente: proprio questo, però, permette ai ragazzi di trovare il loro spazio, c’è collaborazione, supporto e diventiamo parte l’uno della vita dell’altro. Siamo di nicchia, ma questo aiuta le relazioni umane. Questo sport ha cambiato la mia vita e anche quella di tante altre persone e continuerò a fare tutto il possibile per contribuire alla sua crescita.

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