Hamza Choudhury, il Bangladesh ha il suo profeta del calcio

Il calcio in Bangladesh sta diventando sempre più popolare e Hamza Choudhury è l'anima del movimento.

Una camionetta della polizia apre il fronte di smartphone che si levano al passaggio del possente SUV Toyota dal quale fa capolino l’inconfondibile capigliatura afro. Inseguita da uno sciame di motorini sui quali siedono non meno di due persone alla volta, quando giunge a destinazione l’auto sulla quale viaggia Hamza Choudhury è completamente coperta da petali di tagete, simbolo ben augurante in un Paese dove monta un’insospettabile fame di calcio.

Non solo un matrimonio di interesse

Erano giorni che i cartelloni e i poster disseminati lungo le strade di Habiganj ─ capitale dell’omonimo distretto del Bangladesh orientale ─ annunciavano il ritorno a casa dell’attuale centrocampista dello Sheffield United, atteso come il messia dopo che a inizio 2024 furono resi noti i contatti con la Bangladesh Football Federation (BFF) che per anni aveva tenuto gli occhi puntati sul giocatore nativo di Loughborough. È in questo borgo delle East Midlands che nel 1997 comincia la storia di Hamza Dewan Choudhury. Figlio di una coppia mista, i suoi tratti portano scolpiti l’intreccio tra la storia postcoloniale della Gran Bretagna e quella personale di due immigrati provenienti dagli angoli opposti di ciò che fu l’Impero Britannico.

Del padre non si sa molto, tranne che proviene dall’isola caraibica di Grenada e che ha lasciato molto presto il nucleo familiare, al punto da fare assumere ad Hamza il cognome della madre Rafiath, vero punto di riferimento nella vita del calciatore. Fu lei ad avere l’intuizione di portare quel bambino irrequieto al parco nel giorno in cui l’Università di Loughborough organizzò un open day dedicato al calcio. E fu sempre lei ad iscriverlo all’academy del Leicester una volta constatato l’interesse del figlio. Una scelta insolita per una famiglia asiatica tutto sommato tradizionale e ancora di più per una donna originaria di Snanghat, il villaggio rurale alla periferia di Habiganj dove, tra scuola e pallone, il piccolo Hamza trascorse più di una vacanza.

Del Bangladesh conservo alcuni dei miei ricordi di infanzia. Trovarsi lì, poter fare tutto quello che si vuole. Potevi vedere bambini camminare per strada alle 10 di sera senza preoccupazioni. Liberi e completamente sicuri.

Un legame vero quello che fin da bambino Hamza Choudhury ha coltivato con il Paese di origine della madre, tramandato da figure per lui fondamentali come il patrigno Murshid e lo zio Faruq, tenuto in vita attraverso l’educazione musulmana che insieme alla sorella ricevette alla locale scuola coranica e cementato dall’apprendimento della lingua. Benché sia cresciuto in Inghilterra, Choudhury infatti parla correntemente bengali e sylheti, fattore non secondario e che certamente ha attenuato lo shock culturale nel quale talvolta incorrono i giocatori binazionali nati in Europa al primo impatto con le loro nuove nazionali.

Un’accoglienza trionfale per Hamza Choudhury

Il sogno di Hamza Choudhury e quello del Bangladesh

Harry Kane ha da poco accorciato le distanze quando l’allenatore del Leicester Claude Puel decide che è arrivato il momento di buttare dentro un mediano che garantisca copertura di fronte agli ultimi assalti di un Tottenham alla disperata ricerca del pareggio. In panchina siede Andy King, bandiera delle Foxes con oltre 300 partite all’attivo e campione d’Inghilterra solo un anno e mezzo prima con Claudio Ranieri. Sembra lui l’opzione ideale per gestire una situazione così delicata. Ad alzarsi dal banco e svestire la tuta invece è Hamza Choudhury, 20 anni appena compiuti e una gavetta lunga quanto la trafila delle giovanili del Leicester, che dai 9 anni ha attraversato per intero fino a indossare la fascia di capitano della squadra Under 21.

In mezzo due stagioni in prestito al Burton Albion che hanno reso familiare sui campi delle serie inferiori quel cespuglio di capelli ricci da sempre oggetto delle attenzioni degli amici e dei parenti rimasti in Bangladesh. Manca una manciata di minuti e la sagoma di Choudhury sfreccia davanti a Danny Rose, prima che il terzino del Tottenham cada alla ricerca di un generoso rigore che non arriverà. Comincia così la parabola del primo giocatore di origine bangladese della Premier League.

Era il novembre 2017 e sono passati quasi otto anni da quel pomeriggio al King Power Stadium. Sebbene spesso relegato a seconda linea, le oltre cento apparizioni accumulate ne hanno fatto uno dei volti più riconoscibili in questi anni di alti e bassi per le Foxes, che nel gennaio scorso hanno deciso di privarsene per qualche mese cedendolo in prestito allo Sheffield United, in Championship, dove si sta rapidamente imponendo come efficace interdittore in una delle candidate alla promozione tramite playoff.

Nel frattempo Choudhury ha inevitabilmente ridimensionato le sue ambizioni, che in gioventù lo convinsero più volte a declinare le avances prima di Grenada e poi della Federazione del Bangladesh, a lungo spettatrice interessata del percorso che il centrocampista del Leicester aveva intrapreso nelle fila delle Nazionali giovanili inglesi. Vertice basso di un centrocampo che comprendeva James Maddison e Phil Foden, nel 2019 fu un suo intervento oltremodo avventato a lasciare in dieci l’Inghilterra quando si trovava in vantaggio sulla Francia di Aouar e Marcus Thuram agli Europei Under 21 disputati in Italia. Risultato finale: 2-1 per la Francia ed eliminazione al primo turno per una Nazionale che comprendeva tra gli altri Tomori, Solanke e Tammy Abraham.

Giocare per l’Inghilterra è sempre stato il mio sogno.

Hamza Choudhury non vestirà più la maglia dei Tre Leoni ma il tramonto del suo sogno alimenta quello della BFF che all’inizio del 2024 annuncia la trattativa in corso con il calciatore che, come da prassi, è chiamato a inoltrare personalmente la richiesta di cambio di nazionalità alla FIFA. L’estate scorsa Choudhury che da parte sua era già cittadino bangladese riceve anche il passaporto, divenendo a tutti gli effetti selezionabile.

Inghilterra-Francia a Cesena nel 2019: il match che ha sancito la fine della carriera di Hamza Choudhury con la nazionale inglese

Il “Messi” del Bangladesh

Eliminato senza appello dai prossimi Mondiali e reduce da oltre un anno senza risultati utili in partite ufficiali, il Bangladesh si è affacciato a questo 2025 con rinnovata fiducia dopo l’annuncio del cambio di nazionalità di Hamza Choudhury. L’occasione per la sua prima apparizione con la maglia rossa delle Tigri del Bengala non è stata affatto banale. Il 25 marzo scorso infatti è cominciato il turno di ripescaggio per la qualificazione alla Coppa d’Asia in programma nel 2027 e il primo avversario è stato l’India, vicino ingombrante e rivale storico per una nazionale il cui orizzonte è ormai da decenni confinato al subcontinente indiano.

È come se fosse arrivato il nostro Messi.

Alla vigilia della partita le parole spese per il nuovo compagno dal capitano bangladese Jamal Bhuyan hanno lasciato poco spazio all’interpretazione circa le aspettative che tutto il paese nutre per l’ingresso nel gruppo di Choudhury. Il suo curriculum in Premier League appare fuori scala anche in confronto a quello dello stesso Bhuyan che, nato in Danimarca, è cresciuto nei settori giovanili di Brøndby e Copenaghen prima che i quattro colpi di arma da fuoco ricevuti durante una sparatoria gli facessero perdere la sensibilità alla mano destra, costringendolo a un lungo stop e segnando inevitabilmente la sua carriera ad alti livelli, pur contraddistinta da uno storico quanto inusuale passaggio in Argentina.

Il resto della selezione è composto da giocatori nati e cresciuti in Bangladesh, che vantano poca o nessuna esperienza all’estero, in un campionato che vede una crescente presenza di giocatori stranieri che da anni monopolizza la classifica marcatori a scapito degli attaccanti locali. Un fenomeno ormai strutturale che ha indotto la BFF a spingere per la naturalizzazione di alcuni giocatori, com’è stato qualche anno fa per il nigeriano Eleta Kingsley.

Affidata da ormai quasi un decennio a soli tecnici europei, da tre anni la Nazionale sembra aver trovato una certa stabilità tra le mani dello spagnolo Javier Cabrera. Arrivato nel 2022 con un passato prevalentemente da analista e allenatore a livello giovanile, cominciò la sua carriera professionistica in India, come assistente di Óscar Bruzón, altro tecnico spagnolo che negli ultimi anni ha lasciato la sua impronta sul calcio bangladese vincendo quattro campionati consecutivi alla guida del Bashundhara Kings, il club che oggi fornisce la maggior parte dei giocatori alla Nazionale.

Il debutto contro l’India

Assolta l’irrinunciabile preghiera prima del calcio di inizio, Choudhury ha già i piedi ben saldi sulle zolle di sua competenza davanti alla difesa. La fiducia è tale che è lui il primo compagno a cui la punta Sahariar Emon consegna il pallone dopo il fischio dell’arbitro. Il risultato è un lancio fuori misura che si spegne tra i piedi del portiere indiano, che a sua volta regala palla a un avversario che spara a lato: testimonianza del livello generale di gioco ma anche della tensione che si respira a Shillong. È in questa città dell’India orientale – a meno di 50 chilometri dal confine – che va in scena una sorta di derby per il Bangladesh, chiamato a misurarsi per l’ennesima volta con l’avversario che più di ogni altro ha affrontato nel corso della sua storia ma sul quale ha avuto la meglio solo tre volte, l’ultima oltre vent’anni fa.

In una partita ricca di errori da entrambe le parti, il Bangladesh non demerita, andando più vicino al vantaggio di quanto faccia l’India. Choudhury, investito d’ufficio dell’inconsueta responsabilità dei calci piazzati, non fa troppo per distinguersi se non, come toccato con mano dagli attaccanti indiani, per la palpabile differenza di intensità mostrata nei recuperi e nei contrasti.

Più che le sue qualità di calciatore, sono quelle di uomo-squadra a infondere sicurezza al resto dei compagni.

Lo 0-0 finale ha galvanizzato Cabrera, il quale ha sottolineato come l’innesto di Choudhury abbia già prodotto i primi risultati facendo del Bangladesh una seria candidata alla qualificazione. Affermazione velleitaria che, calendario alla mano, suona meno assurda di quanto sembri. Sebbene occupino posizioni più alte nel ranking FIFA, Singapore e Hong Kong non sembrano infatti avversarie irresistibili e superato indenne lo scoglio della trasferta indiana – con un giocatore di Premier League in rosa – tutto è possibile.

Gli highlights di India-Bangladesh

Un presente incerto ma con radici profonde

In un Paese dove oltre 170 milioni di persone convivono su una superficie di poco superiore a quella del nord Italia non può essere altrimenti. Un ritorno in Coppa d’Asia dopo 47 anni avrebbe dell’incredibile ma sarebbe solo un primo passo nel processo di crescita di un movimento che, come Cina e India insegnano, non può essere trainato dalla sola demografia.

Sorta in seguito alla guerra di secessione dal Pakistan nel 1971, la neonata Repubblica Popolare del Bangladesh si trovò tra le mani una tradizione calcistica piuttosto consolidata. Al 1937 risale il primo grande exploit del calcio bangladese, quando una selezione di giocatori del campionato locale sconfisse il leggendario Islington Corinthians, la squadra inglese che negli anni ‘30 portò in tournée lo spettacolo del calcio su quattro continenti allo scopo di raccogliere fondi per cause caritative. Le radici del football in questa terra però affondano ancora più in profondità, quasi agli albori del gioco stesso, quando i soldati britannici di stanza in India diedero vita alle prime competizioni al di fuori della Gran Bretagna. Epicentro di questo fenomeno fu Calcutta e tutta la regione del Bengala, fin nelle sue propaggini più orientali e dunque in quello che diventerà prima il Pakistan Orientale e poi il Bangladesh.

La partizione che nel 1947 sancì la divisione dei possedimenti britannici e la nascita di India e Pakistan comportò la dispersione dei praticanti concentrati nella regione. La maggior parte dei calciatori di fede indù emigrò in India mentre i musulmani rimasti nel Bengala orientale finirono relegati ai margini delle selezioni pakistane. Una situazione di sudditanza rotta solo durante i mesi di guerra che oppose i ribelli del Pakistan Orientale al governo di Islamabad, quando – in modo simile a quanto fece l’Algeria durante la guerra di indipendenza dalla Francia – il governo bangladese in esilio a Calcutta patrocinò la nascita del Shadhin Bangla Football Team, la Squadra del Bangladesh Indipendente. Con gli stessi intenti propagandistici che animarono la squadra del Fronte di Liberazione Nazionale algerino, questa selezione di giocatori originari del Pakistan Orientale inaugurò una tournée che toccò varie località dell’India alla caccia di finanziamenti a sostegno della causa indipendentista.

A lungo spaccata dai clan formati dai componenti di Mohammedan e Abahani, i due principali club della capitale Dacca, la neonata Nazionale bangladese nel 1980 colse un’inaspettata qualificazione alla Coppa d’Asia. Dopo due onorevoli sconfitte contro Corea del Nord e Siria, il 7-0 e il 6-0 subiti rispettivamente da Iran e Cina rappresentano tuttora le ultime apparizioni sul massimo palcoscenico continentale. Un secondo sussulto arrivò a metà anni ‘90, quando sulla panchina delle Tigri del Bengala arrivò il tedesco Otto Pfister.

Reduce dai successi con il Ghana, con cui raggiunse la finale di Coppa d’Africa nel 1992 e addirittura vinse i Mondiali Under 17 dell’anno precedente, i motivi che spinsero uno dei più rinomati cacciatori di contratti ad accettare l’offerta del Bangladesh sono facilmente intuibili ma tuttavia forieri di successo. Invitato in Myanmar per disputare un torneo amichevole dall’altisonante nome di Four Nations Tiger Trophy, il Bangladesh ebbe la meglio su Singapore e Sri Lanka raggiungendo la finale dove superò i padroni di casa. Fu il primo trofeo per la Nazionale bangladese che a fine 1996 raggiunse la posizione 110 nel ranking FIFA, traguardo mai più eguagliato.

Quella che tuttora è ricordata come la vera pietra miliare nella storia del calcio bangladese arrivò però qualche anno più tardi. Nel 2003 lo Stadio Nazionale di Dacca fu scelto come sede per la SAFF (South Asian Football Federation) Gold Cup, un torneo regionale riconosciuto dalla confederazione asiatica che riunisce le Nazionali dell’Asia meridionale. Sostenute dal pubblico di casa, le Tigri del Bengala vinsero in scioltezza il girone qualificandosi per la semifinale dove ad attenderle ci fu anche in quell’occasione l’India. Al termine di un match drammatico dove il pareggio indiano a pochi minuti dalla fine fece presagire il peggio, il golden gol di Matiur Munna a conti fatti rimane probabilmente la rete più importante della storia del calcio bangladese.

In finale il Bangladesh trovò le Maldive, già battute nel girone e pertanto considerate un avversario più che abbordabile. Le preoccupazioni riguardarono perlopiù la squalifica del capitano Rajani Barman e l’infortunio che costrinse il portiere Aminul Haque a ricorrere ad infiltrazioni. La partita seguì il copione della semifinale, con le Tigri in vantaggio ma raggiunte nella ripresa. Giunto ai rigori, il Bangladesh arrivò in vantaggio all’ultima serie, dove Mohammed Sujan spiazzò il portiere maldiviano per la gioia dei 46.000 presenti allo stadio, degli oltre 160 milioni di bangladesi nel resto del paese e per l’orgoglio dei molti altri venuti al mondo da allora e ai quali ancora oggi viene tramandata l’impresa di quella sera.

Da quel momento, che avrebbe dovuto rappresentare un punto di svolta, il Bangladesh si direbbe precipitato in un buco nero che ha progressivamente eroso la credibilità del calcio locale, proiettando all’esterno un sentimento mai sopito che oggi sopravvive nella popolarità dei club europei e delle Nazionali di Brasile e soprattutto Argentina. Tre anni fa fecero il giro del mondo le immagini delle migliaia di persone scese per le strade di Dacca vestite dei colori dell’Albiceleste per celebrare il terzo titolo mondiale dell’Argentina. Una passione popolare che anche in questo caso è più antica di quanto si pensi e risale almeno ai Mondiali del Messico, alle gesta di Maradona e che si innesta su un latente sentimento anti-britannico dato dalla comunanza tra la Guerra delle Falklands persa dall’Argentina e dall’esperienza coloniale patita dal Bangladesh.

Una strana affinità tra due paesi così lontani e diversi tra loro che si concretizzò nell’esibizione che la Selección concesse al pubblico di Dacca durante l’amichevole contro la Nigeria nel 2011 o che assunse i contorni tragicomici della discussione sulla mano de Diós da cui scaturirono gli scontri tra opposte fazioni di tifosi durante i Mondiali del 2014.

L’apice del calcio bangladese

Il futuro del calcio in Bangladesh passa anche dall’Italia

Su questo sfondo, a ridosso dei Mondiali del 2018, la Nazionale bangladese giunse a quello che forse è stato il suo punto più basso, quando le umilianti sconfitte contro Afghanistan, Maldive e Bhutan estromisero le Tigri del Bengala da qualsiasi competizione ufficiale, lasciandole alla posizione 197 del ranking e prive di incontri per l’anno 2018. Un vuoto colmato malamente dalla sola amichevole con il Laos.

Una situazione di degrado denunciata anche dal tecnico italiano Fabio Lopez, alla guida del Bangladesh proprio durante quella campagna di qualificazione ai Mondiali. Fu in quel momento che la BFF elaborò un piano nel quale individuò nella carenza di strutture, di preparazione di tecnici e arbitri locali e di organizzazione alla base della piramide del calcio nazionale i punti su cui agire per dare impulso a un movimento da troppo tempo ripiegato su se stesso. Temi sui quali è tornato recentemente il presidente della BFF Tabith Awal, sottolineando la necessità di ampliare il bacino dei praticanti, di riportare in vita la capillare rete di tornei distrettuali un tempo esistente e di monitorare i ragazzi fin dalla più giovane età. Attività di scouting che nel calcio globale di oggi non può prescindere dallo screening dei profili provenienti dalla diaspora.

Con così tanti bangladesi residenti all’estero abbiamo a disposizione un vasto bacino di talento. Questi giocatori possono apportare non solo la loro abilità ma anche la loro esperienza per aiutare i calciatori locali. Credo che Hamza giocherà un ruolo fondamentale in questo senso e che ci saranno tanti calciatori con radici bangladesi che potranno contribuire. Con la giusta organizzazione potremo convincerli a giocare per il Bangladesh.

Un fenomeno che ci riguarda da vicino. Con un numero che a seconda delle fonti oscilla tra i 5 e i 7 milioni, quella bangladese è la quarta comunità più presente tra la popolazione migrante nel mondo e benché la maggior parte di essa sia concentrata nei paesi del Medio Oriente, si stima che siano circa 900.000 i cittadini del Bangladesh residenti in Europa. Di questi oltre 150.000 vivono nel nostro Paese, seconda meta prediletta dopo il Regno Unito.

Non è un caso quindi che oltre alla lettera di convocazione per Hamza Choudhury, la BFF abbia provveduto a spedirne una anche all’indirizzo dell’Olbia. È nel club sardo che da qualche mese infatti milita Fahamedul Islam. 18 anni, cresciuto nelle giovanili dello Spezia e transitato da quelle della Sampdoria, non sono sfuggite le sue apparizioni sui campi della nostra Serie D, da cui è già stata tratta più di una compilation di traversoni e disimpegni. Nonostante alla fine il commissario tecnico Cabrera abbia depennato il suo nome dalla lista per la trasferta indiana, c’è da scommettere che non sarà l’ultima lettera che una società italiana riceverà dal Bangladesh.

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