Cosa dobbiamo aspettarci dal secondo turno dei playoff NBA

Tutti i segreti delle otto pretendenti arrivate al secondo turno dei playoff NBA.

In Cina, l’otto è considerato un numero fortunato, un presagio di ricchezza, prosperità e successo. Quella “buona fortuna” che le otto squadre rimaste ai Playoff NBA 2025 sperano di raggiungere di qui a qualche settimana, partendo dal secondo turno fino ad arrivare al Larry O’Brien Trophy.

Il tabellone NBA ha accolto sul fronte occidentale i “ritardatari” Denver Nuggets e Golden State Warriors, reduci da due lunghe e logoranti serie, entrambe terminate in Gara 7. Gli avversari saranno rispettivamente Oklahoma City Thunder e Minnesota Timberwolves, che al contrario arrivano belli riposati.

Più tranquillità a Est, dove una semifinale è addirittura già cominciata. E con il botto, visto che gli Indiana Pacers hanno subito strappato il fattore campo alla testa di serie numero uno dei Cleveland Cavaliers – orfani di Darius Garland, fuori per un infortunio all’alluce sinistro che si sta facendo preoccupante. Countdown ancora aperto invece per la serie tra Boston Celtics e New York Knicks, entrambe reduci da due faticose sfide contro difese rognosissime come quelle di Orlando e Detroit, gestite rispettivamente in 5 e 6 gare.

La perfetta simmetria di questo secondo turno di playoff NBA 2025 si presenta così in tutto il suo splendore dall’esterno, celando però mille sfaccettature che meritano un approfondimento.

Western Conference

La serie fra Nuggets e Thunder parte con una chiara favorita. Oklahoma City ha chiuso la stagione regolare con il migliore record in assoluto, concedendo così ai titolari ancora più settimane di riposo. Il primo turno, poi, è stata una formalità, dato che i Memphis Grizzlies sono stati piallati, non tanto per il 4-0 finale, uno sweep come se ne vedono tanti al primo turno, ma per la differenza punti.

I Thunder hanno chiuso con un margine da record di +51 punti in Gara 1, aggiungendo un +19 in Gara 2. Le altre due sono state più ravvicinate, con un +8 totale da parte di OKC, ma fanno 78 punti cumulativi di divario fra le squadre. Niente di inaspettato, visto che i Thunder in stagione hanno superato gli avversari con una discrepanza media di 12,9 punti, la più alta mai fatta registrare in Regular Season.

E quello che fa più paura è che la superstar di squadra e candidato MVP, Shai Gilgeous-Alexander, si è potuto permettere una serie “mediocre”. I soli 23 minuti con 4 su 13 al tiro in una Gara 1 vinta con oltre 50 punti di distacco dovrebbero rendere l’idea di quanto profondi siano i Thunder, che da SGA hanno raccolto i soliti 27,8 punti di media nella serie, ma di puro volume e con efficienza estremamente negativa. Meglio un passaggio a vuoto al primo turno, che in seguito, e si dà per scontato che le prestazioni arriveranno presto.

Anche perché, come dicevamo, di tempo per riposarsi i giocatori di punta dei Thunder ne hanno avuto a bizzeffe nelle ultime settimane:

A stimolare Shai potrebbe pensarci inoltre il matchup con l’altro candidato MVP, Nikola Jokić, che ha affrontato forse la serie playoff più difficile della sua carriera, individualmente parlando. I Los Angeles Clippers hanno infatti offerto diversi spunti a OKC, circondando il lungo serbo di braccia lunghe e aiuti, e caricando sul suo groppone tutto il peso di Ivica Zubac, forse in single coverage il più adatto per questo matchup.

Il vantaggio di Zubac consiste nell’essere enorme, pareggiando quasi i chili di Jokić in modo da non arretrare sul post basso e sugli spintoni fronte a canestro. Il lungo dei Clippers è inoltre bravissimo a tenere la verticalità senza commettere fallo, tutti aspetti che hanno portato il tre volte MVP di Denver a tirare con il 44,4% dal campo nei matchup diretti, perdendo anche un totale di 12 palloni e subendo solo 5 falli su tiro. Per rendere l’idea di cosa significhi, basti sapere che lo scorso anno Jokić ha convertito i tiri difesi da Rudy Gobert (quattro volte Difensore dell’Anno) con il 52,3%, perdendo solo 5 palloni e ricevendo 6 falli su tiro in sei partite – una in meno di quelle di Zubac, e con un volume molto inferiore, dato che spesso era Towns il difensore primario.

I Thunder, proprio come hanno fatto i Clippers, potranno provare ad appiccicare addosso al lungo avversario Isaiah Hartenstein, anche lui molto energico e pesante, lasciando pronto in aiuto l’uomo di Aaron Gordon (battezzabile), quindi Chet Holmgren. Los Angeles ha disturbato moltissimo in questo modo i tiri di Jokić, sfruttando gli aiuti di Kawhi Leonard e soprattutto di Nicolas Batum nei suoi minuti in campo, concentrando inoltre le braccia degli ottimi difensori nel pitturato pronte a fare “stunt” o a sporcare palloni sui tagli.

Cason Wallace, Alex Caruso, Lu Dort e lo stesso Gilgeous-Alexander hanno tutti i mezzi per sporcare le conclusioni di Jokić e allo stesso tempo otturare le linee di passaggio, impedendo che gli altri Nuggets entrino in ritmo. Aspetto, quest’ultimo, che rappresenta la vera e propria chiave contro Denver: è sempre preferibile spingere il tre volte MVP a prestazioni anche da 30, 40 o 50 punti, ma con un numero limitato di assist, anziché permettere exploit ai compagni.

I 43 punti con l’81,3% di True Shooting di Jamal Murray in Gara 5 rappresentano la prestazione sin qui più efficiente di questi playoff, e questo soprattutto perché gli spazi sono molti di più accanto a Nikola Jokić – che in quella partita ha infatti chiuso con soli 13 punti, ma 12 assist, 6 dei quali proprio per Murray. Non a caso, è stata la prima vittoria della serie con doppia cifra di vantaggio per i Nuggets, dopo un +4 totale (con overtime in Gara 1) nelle precedenti.

OKC ha comunque tutti i mezzi necessari anche offensivamente per battere i Nuggets e soprattutto attaccare Jokić a ogni azione, essendo dotata di scorer su tre livelli come Shai e Jalen Williams, lunghi ma anche di stazza – soprattutto quest’ultimo, che ha chiuso il primo turno con il 64,7% da due punti, con il 62% dal “long midrange” e il 77% al ferro. Christian Braun e Aaron Gordon avranno molto lavoro da fare, così come Russell Westbrook quando sarà in campo, pronto a giocarsi il tutto per tutto contro la sua ex storica e galvanizzato dal saluto ai Clippers, altra ex.

E a proposito di ex, i Timberwolves ritrovano Jimmy Butler. Se vi piacciono i punteggi bassi, le difese forti e le sfide epiche tra superstar, quella tra Minnesota e Golden State è certamente la serie che fa per voi. Da una parte Anthony Edwards, Julius Randle e la sesta miglior difesa della Regular Season; dall’altra Stephen Curry, Jimmy Butler e la settima miglior difesa.

I Timberwolves hanno stupito il mondo in una serie in cui quasi tutti li davano per spacciati. Tutti i pronostici degli analisti di ESPN davano per vincenti i Lakers, e l’unica incognita sembrava il numero di gare. Niente di più sbagliato. Minnesota ha dominato in lungo e in largo in appena cinque incontri, togliendosi persino la soddisfazione di chiuderla a Los Angeles.

E lo ha fatto grazie al suo grande punto di forza: la difesa perimetrale. La combinazione di Jaden McDaniels, Anthony Edwards, Donte DiVincenzo e Nickeil Alexander-Walker è l’incubo di ogni palleggiatore e ha soffocato persino Luka Dončić. Nell’altra metà campo la squadra di Finch ha fatto il minimo indispensabile, guidata dal migliorato playmaking di Edwards e dalla sorprendente produzione offensiva di Julius Randle, sia nel pitturato che dalla distanza.

I Warriors, invece, sono reduci da una serie estenuante contro una squadra fisica almeno quanto i Timberwolves. Gli Houston Rockets hanno messo a dura prova i nervi, la tenuta e soprattutto le soluzioni offensive dei Dubs, allungando una serie che sembrava finita dopo Gara 4. Anche Golden State si è aggrappata alla propria difesa, che ha subito solamente 89 punti in Gara 7, un punteggio che profuma di anni ’90.

La chiave principale della serie, dunque, sarà capire quale delle due difese sarà maggiormente in grado di mettere in crisi l’attacco avversario. Per i Timberwolves, si tratta di copiare e incollare quanto fatto dai Rockets: disporre quintetti fisici, tenere pressione costante su Curry e giocare diversi minuti di zona, scommettendo su tiratori inaffidabili come Draymond Green e Gary Payton o altalenanti come Moses Moody e Brandin Podziemski.

I Warriors, invece, non hanno ottenuto grandi spunti dai Lakers. Rispetto ai gialloviola, la difesa dei Dubs sarà chiamata a far pensare maggiormente Anthony Edwards, alternando diverse strategie di aiuto. Sarà inoltre per loro fondamentale negare ogni possibilità di rimbalzo offensivo: i Timberwolves ne hanno catturati ben 36 tra Gara 4 e Gara 5 del primo turno.

In attacco, Minnesota proverà a sfruttare a proprio favore la limitata taglia di alcuni quintetti di Golden State, attaccando senza pietà Stephen Curry e Brandin Podziemski. Le spaziature saranno un punto chiave e per questo è lecito aspettarsi un minutaggio aumentato rispetto al primo turno per il buon vecchio Mike Conley. Randle è chiamato a replicare la serie giocata contro i Lakers, se non per percentuali (il 40% da 3 non sembra pienamente sostenibile), almeno per aggressività nell’attaccare il pitturato.

Per i Warriors, invece, il punto focale è la filosofia di gioco. Difficilmente la difesa dei Timberwolves andrà in difficoltà con i soliti giochi con Curry senza palla che da anni caratterizzano il “playbook” di Steve Kerr. Se vinceranno la serie sarà per i pick&roll del 30, utili a portare lontani dalla propria area di comfort i lunghi avversari (soprattutto Rudy Gobert). In caso di difesa a zona, tutto dipenderà dalle percentuali di Podziemski e Moody: il 35% da tre del primo turno non sarà sufficiente per passare anche il secondo.

La tavola è apparecchiata per una serie davvero equilibrata. L’unico vero ostacolo, in questo senso, è l’incognita sulla stanchezza. I Warriors di Curry (37 anni), Butler e Green (35 anni), hanno passato il primo turno solamente ieri, e non otterranno più di un giorno di riposo fino alla eventuale Gara 6. Quanta benzina rimarrà?

Eastern Conference

Cleveland Cavaliers e Indiana Pacers hanno già giocato la loro Gara 1, che ha confermato le aspettative della vigilia. Se volete guardare questa serie, mettete via lo smartphone e qualsiasi fonte di distrazione: 10 secondi potrebbero costarvi tre o quattro possessi.

Si tratta di due squadre modernissime, allenate bene, che corrono e si muovono fluidamente in attacco. Cleveland ha chiuso la Regular Season con il miglior Offensive Rating, a 122,5 punti segnati su 100 possessi. Indiana, invece, dopo una prima parte di stagione sottotono è tornata ai livelli dell’anno scorso, sbarazzandosi facilmente dei Milwaukee Bucks al primo turno.

Rick Carlisle, come sempre, ha preparato benissimo la serie e i Pacers hanno già strappato il fattore campo. Certo, lo hanno fatto tirando con il 53% da tre punti, ma è una prestazione nelle corde di una squadra con una batteria di tiratori di alto livello. In primis Andrew Nembhard, che esattamente come un anno fa ha annusato l’atmosfera dei playoff e si è istantaneamente trasformato in un cecchino: 16,3 punti di media (+6,3 rispetto alla stagione regolare) e un irreale 57% da tre punti. In Gara 1 ha segnato 5 dei 6 tentativi dalla lunga distanza e certi exploit ormai non sorprendono più.

Ma non è certo l’unico: due triple anche per Tyrese Haliburton (da aggiungere alle solite sconfinate qualità da playmaker) e Pascal Siakam, tre per Bennedict Mathurin e addirittura quattro per Aaron Nesmith.

La difesa dei Cavaliers ha provato a fermare il flow instancabile dei Pacers cambiando su tutti i blocchi lontano dalla palla e sulla maggior parte dei pick&roll, senza tuttavia riscuotere grande successo. D’altronde un conto è prepararsi ad affrontare i Pacers, un altro è trovarseli di fronte in campo per la prima volta. L’attacco di Indiana è riuscito a esplorare comunque i giusti mismatch senza fermare la palla e nel finale Haliburton ha segnato tre volte in isolamento contro Jarrett Allen, una mini-trama da seguire con grande attenzione nel corso della serie.

Al netto di tutto ciò, è fondamentale non farsi assalire da facili entusiasmi: anche dopo aver perso Gara 1 in casa, Cleveland rimane la (stra)favorita per la vittoria della serie. Il primo seed della Eastern Conference è rimasto in partita fino all’ultimo pur tirando con il 24% da 3 (9 su 38), con un Donovan Mitchell da 1 su 11. La serie cambierà verosimilmente faccia al rientro di Darius Garland. Quest’ultimo è sì un bersaglio in più in difesa, ma un creatore di gioco in più per l’attacco, e il motore per sbloccare del tutto il potenziale offensivo di Evan Mobley.

Non è la serie più indecisa, e nemmeno quella con le superstar più rinomate, ma non ci sarebbe da stupirsi se si rivelasse la serie più divertente da guardare.

Superstar presenti invece a bizzeffe nella serie fra Celtics e Knicks, che al contrario si presenta però piuttosto scontata. I biancoverdi in stagione sono apparsi inarrestabili contro la difesa tradizionale e monotona di New York, girando a 125 punti di media su quattro partite e vincendo con un margine cumulativo di 65 punti, pari a 16,25 punti di media. Si tratta di tre vittorie in doppia cifra, due delle quali con oltre 20 punti di divario.

Il problema della squadra di coach Thibodeau consiste… nell’essere appunto una squadra di coach Thibodeau. L’allenatore, vecchia scuola, è ancorato a principi vetusti, che prevedono una difesa profonda del pitturato sui pick&roll o su qualunque tipo di blocco avversario per i tiratori. Non il massimo contro una squadra che in stagione ha prodotto 25,0 punti di media solo in pull-up, dal palleggio, 3° dato migliore in NBA.

Karl-Anthony Towns è inoltre uno dei peggiori difensori della Lega sulla cosiddetta “drop coverage”, la strategia difensiva più profonda verso il ferro, e questo ha procurato diversi problemi già contro Cade Cunningham di Detroit. Mikal Bridges e OG Anunoby sono lunghi e dotati di stazza, abili a passare sui blocchi, ma qui si parla dell’élite offensiva della Lega, dotata di leve lunghissime e un tocco fatato anche su tiri contestati. Con Jayson Tatum e Jaylen Brown rischia di essere ancora peggio.

Una soluzione, esplorata contro i Pistons, potrebbe essere quella di far salire il lungo al livello del blocco, lasciando in aiuto al ferro – anche se in inferiorità – le altre ali. Il problema è che Boston non ha tiratori battezzabili e procurare il sovrannumero a centro area rischia di lasciare numerose conclusioni sugli scarichi alla migliore attacco della Lega in catch&shoot – 37,1 punti di media prodotti in stagione dai Celtics, con il 39,1% da tre punti.

La migliore soluzione per i Knicks sembra quella di una “drop” più alta del solito e soprattutto di fronteggiare sempre i tanti tiratori dei Celtics, concedendo loro la penetrazione verso gli aiuti nel pitturato anziché la conclusione da fuori. A livello statistico generale, e contro Boston, la conclusione migliore da concedere sembra quella dal mid-range, nonostante specialisti come i sopracitati Brown e Tatum. Orlando è uscita in cinque gare per carenze offensive, ma ha fatto penare i biancoverdi nell’altra metà campo.

Va da sé, comunque, che la serie nemmeno comincerà se New York sarà passiva e statica in attacco come nei lunghi tratti di gara contro i Pistons. Jalen Brunson sin qui ha prodotto 31,5 punti di media a bassa efficienza, ma avrà a che fare sempre con ottimi difensori perimetrali, ancora migliori di Ausar Thompson o Dennis Schröder, perciò gli isolamenti morti sono da scartare.

L’ago della bilancia potrebbe essere Karl-Anthony Towns, che ha deciso praticamente da solo tre gare contro Detroit, per poi apparire passivo nelle altre tre. Una dualità che lo accompagna per tutta la carriera, ma che non potrà esistere contro i Celtics, dove gli sarà richiesta – oltre alla maggiore attività difensiva – assertività e rapidità di scelta.

Boston potrebbe scegliere di approcciarlo addirittura con Jrue Holiday sul post, una guardia ma molto abile in queste situazioni, lasciando in aiuto l’uomo di Josh Hart (tiratore esitante), quindi Kristaps Porzingis o Al Horford. KAT dovrà punire questo accoppiamento, attirando i raddoppi e aprendo il campo.

Nelle ultime due contro i Celtics lo ha fatto molto bene a tratti, come nel secondo tempo dell’incontro di fine febbraio, dove ha messo a referto 19 dei suoi 24 punti totali con 7 su 11 al tiro, ricucendo lo strappo per la squadra prima di uscire per infortunio. O come nella recente sfida di aprile, dove ha segnato 22 punti con 9 su 13 al tiro nel primo tempo, chiudendo con 34 totali – non è un caso che ci sia voluto un miracolo di Tatum perché Boston la vincesse all’overtime.

Sarà importante che Towns resti attivo e ottenga tanti tocchi, anche forzando da fuori al bisogno – sta convertendo le sue triple con il 48% ai playoff, ma 4,2 tentativi da fuori sono un volume troppo basso per uno dei migliori tiratori della Lega. Anche perché verrà cercato costantemente in difesa, sia con il pick&roll di Tatum da portatore, sia sul pick&pop di Porzingis.

Ogni premessa, però, ha poco senso quando si parla di playoff. Non esistono favoriti e non esistono pronostici su serie al meglio delle sette gare, dove un singolo episodio è sufficiente a cambiare l’inerzia di un’intera annata. Proprio per questo, è meglio preparare il caffè e aggiustare la sveglia: siamo al secondo turno dei playoff, la corsa verso le NBA Finals è appena cominciata.

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