Nessun pugile è stato scorretto e odiato quanto Tony Galento

Tony Galento è stato un pugili dai metodi poco ortodossi.

Prima ancora di essere un pugile, Tony Galento si è contraddistinto come un precursore, capace di fondare buona parte del proprio successo grazie al personaggio, anziché all’atleta. Ha saputo lavorare sulla propria immagine decenni prima che ciò diventasse la normalità. Un’immagine non sempre positiva, che lo ha reso un prodotto tipico della cultura americana, quello dell’emigrato che fa di tutto per adattarsi, del personaggio che ama giocare sporco. Con la voce roca e un’ossessione per la birra e le polpette, nei suoi incontri Galento ha reso la boxe uno sport surreale, più simile a un western mal recitato che a uno sport regolamentato. Non era elegante, né ortodosso. Insomma, non era presentabile. E per questo era perfetto.

Tony Galento, il fuorilegge del ring cresciuto a uova e cipolle

Dominic Anthony Galento nasce il 12 marzo 1910 a Orange, New Jersey, da una famiglia di origini napoletane. Fin dall’infanzia, Tony viene visto come una macchina da combattimento. D’altronde, se la violenza e la fame non mancheranno mai nella sua vita, le difficoltà dei primi anni di vita lo spingono a fare di necessità virtù: i Galento sono tanti e i soldi a disposizione pochi. Tony cresce a uova e cipolle come i suoi fratelli, così mette le sue qualità al servizio degli altri in cambio di benefici per sé stesso: non è alto ma fisicamente sa farsi rispettare, soprattutto perché è violento. Tanto che, come lui stesso dichiarerà, i compagni gli offrono frutta e soldi per picchiare altri bambini, generalmente con le proprie mani, ma senza disdegnare l’utilizzo di vari oggetti contundenti in caso di difficoltà.

Un approccio alla vita che prelude a una carriera sul ring, intrapresa da Tony sin dall’adolescenza. Parliamo, ovviamente, di una boxe radicalmente diversa da quella che conosciamo oggi, meno professionale e decisamente più istintiva. Allenarsi e mantenere un fisico atletico non sono requisiti strettamente necessari. Tant’è che, nonostante i soli 173 centimetri d’altezza, Galento si cimenta sin da subito con la categoria dei pesi massimi. Il suo soprannome principale, Two Ton, non gli viene affibbiato per il peso ma per un episodio emblematico: arriva in ritardo a un match perché doveva finire di consegnare due tonnellate di ghiaccio, all’epoca il suo lavoro principale prima di salire sul ring.

Da quel momento diventa una figura mitologica. La sua boxe è scorbutica e, soprattutto, molto scorretta. A Tony non interessa il rispetto delle regole: si affida a gomitate, testate, graffi, dita negli occhi e anche morsi pur di sconfiggere i suoi avversari. Atteggiamenti che, stavolta sì, gli valgono alcuni soprannomi non sempre lusinghieri: The Orange Orangutan, One-Man Riot (“Sommossa di un solo uomo”), Jersey Nightstick (“Il Manganello del Jersey”), Human Butcher Block (“Ceppo umano da macellaio” per la sua tendenza a prendere colpi) ma, soprattutto, Beer Barrel that walks like a Man (“Il Barile di Birra che cammina”). Una volta, viene accusato addirittura di aver sputato in faccia all’avversario tra un round e l’altro.

Il suo stile è totalmente fuori dai canoni: guardia inesistente e postura sgraziata vengono compensati con un jab pesante come un tir e una resistenza fuori dal comune. Il suo modo di combattere è talmente peculiare e irregolare da fare scuola. E fa paura. Nelle palestre si dice che affrontarlo è come combattere contro un frigorifero in corsa con dentro una cassa di dinamite. Come avrebbe raccontato un suo sparring partner:

Sapevi che non avrebbe mai mollato. Ma soprattutto, non sapevi come avrebbe cercato di vincere.

Non vince sempre, anzi. Ma questo cambia poco nella percezione del pugile e nella creazione del personaggio. Anche perdendo, Tony Galento diventa una leggenda.

Nut Club, birra e amore per la vita sregolata

Con i primi guadagni ottenuti grazie agli incontri, il pugile di origine italiana lascia il lavoro di corriere del ghiaccio per aprire un locale. Lontano dalle luci dell’arena, Galento diventa il re del Nut Club, un locale nel cuore del New Jersey che sembra uscito da un film dei Coen. Se qualcuno cerca un locale cool e alla moda, è bene che rivolga la propria attenzione altrove: al Nut Club si va per bere e mangiare carne fino a scoppiare. E quando l’alcol scorre, le risse diventano una conseguenza scontata. Tutte attività in cui Tony Galento non fa solo da padrone di casa ma anche da esempio vivente e da Cicerone per gli avventori.

Non c’è sera che non venga spesa a gozzovigliare o a bere birra fino a ubriacarsi, senza alcun tipo di riguardo per un corpo non propriamente trattato come un tempio. Nel 1938 il giornalista sportivo John Lardner ironizzerà sulla precaria forma fisica del pugile:

Gli allenamenti hanno garantito a Tony una nuova forma, sconosciuta alla scienza. I matematici stanno pensando di chiamarla Galentoide. È a metà tra una sfera e un’ellissi, con sfumature di parabola. È coperta di peli e contiene due galloni di Budweiser. La differenza tra Tony in piedi e Tony sdraiato sul lato destro è difficile da rilevare a occhio nudo ma, quando ha un sigaro in bocca, si può dire qual è il nord ed è facile intuire il resto.

Ciò non gli impedisce di continuare la propria carriera di pugile e di cimentarsi anche in esibizioni tutt’altro che ordinarie all’interno del Nut Club, che nel tempo si trasformerà nel teatro dell’assurdo. D’altronde, anche durante l’attività pugilistica, Galento ama mangiare più di ogni altra cosa. La sua dieta è un vero e proprio guanto di sfida alla morte: cinque pasti al giorno, spaghetti a colazione, sei birre prima di ogni match – otto se l’avversario è particolarmente grosso – e whisky prima di dormire, per conciliare il sonno. Tanto da dichiarare alla stampa:

 Se bevo meno di sei birre prima di un incontro mi sento debole.

Ma non c’è solo il folklore: il Nut Club è anche il suo quartier generale, il centro gravitazionale della sua identità. Da lì gestisce la sua immagine pubblica come un proto-influencer dell’assurdo, un uomo che ha capito decenni prima dell’epoca dei social che ciò che conta non è vincere, ma essere ricordati. E Galento sa come farsi ricordare e come creare un personaggio da tramandare ai posteri, che sappia far parlare di sé: decisamente non è accogliente né affabile, è capace di accogliere i giornalisti con un rutto in faccia o di recapitare un pugno a un cliente ubriaco. È un villain da fumetto, un personaggio più grande della boxe. E forse, in fondo, un artista concettuale inconsapevole.

Quando Tony Galento mise al tappeto Joe Louis

La carriera di Tony Galento procede spedita. Il suo fisico non esattamente slanciato fa il paio con gambe che verranno accostate a piccole colonne di marmo per potenza e stabilità, che gli permettono di tenere sempre il massimo equilibrio. Il suo stile di combattimento, rissoso e non ortodosso, gli schiude le porte del Paradiso quando, col passare del tempo, Galento migliora in alcuni aspetti fondamentali. In primo luogo, diventa un incassatore eccezionale: il giornalista sportivo Henry Grantland Rice dirà che Galento “assorbe i pugni come i boccioli aperti assorbono la rugiada”. Essendo molto resistente e altrettanto potente, a Two Ton bastano pochi colpi per stendere l’avversario. Per questo viene considerato uno dei migliori one-punch hitters al mondo, ossia uno di quei pugili capaci di vincere gli incontri con un solo colpo.

A fine carriera, il suo record sarà di 79 vittorie (di cui 57 per KO) su 112 incontri disputati, con 26 sconfitte, 6 pareggi e un no-contest. Ma il momento più importante della carriera di Galento arriva nel momento in cui affronta una leggenda della boxe, in un incontro valevole per il titolo mondiale dei pesi massimi.

28 giugno 1939, Yankee Stadium. Sul ring, con Galento, uno dei pugili più tecnici e dominanti della storia, Joe Louis detto The Brown Bomber. Un incontro motivato proprio dalla già menzionata tendenza da influencer del pugile italo-americano: è lì più per la capacità di far parlare di sé che per la sua effettiva bravura sul ring. Sulla carta è un mismatch. Ma si rivelerà un incontro capace di entrare nella leggenda del pugilato.

Louis è il campione del popolo, amato dalla gente per la sua eleganza e il suo stile. Galento è ciò che il popolo ripudia: è brutto e sporco. Solo i reietti tifano per lui, perché si rivedono nel pugile di origine italiana, l’uomo che fa sognare loro una rivincita. E anche nell’avvicinamento al match non fa niente per farsi ben volere, dall’avversario come dall’opinione pubblica. Louis detesta Galento.

Lo odia davvero, lo considera una macchia sulla nobiltà del ring, un pagliaccio. Per questo, quando Tony lo invita a cena a casa sua prima dell’incontro, Louis rifiuta sdegnato. Anche perché l’invito è accompagnato da varie minacce. A cui puntualmente seguono i fatti: Galento inizia a telefonare ogni notte a Joe Louis. Non sono telefonate romantiche, tutt’altro: vengono infarcite di contenuti razzisti, con il pugile di Orange che schernisce il rivale per il colore della sua pelle e fa illazioni sulla moglie Marva, a suo dire insoddisfatta della mancanza di virilità del campione del mondo.

Anche sul ring, prima del via, Galento non si fa scoraggiare e continua a far correre la lingua. Seppur fortemente sfavorito, non gli manca il coraggio di promettere al più quotato rivale che lo avrebbe preso a calci nel sedere e sarebbe andato a mostrare un po’ di “carne bianca” a sua moglie. Con fare provocatorio, inoltre, Galento finge di avere riguardo per il suo rivale pulendo la vaselina dal volto di Louis con asciugamano e guantoni: un gesto di sfida ma anche una dichiarazione di disprezzo verso ogni protocollo.

Quello che sembra incredibile a un certo punto accade: al terzo round, Tony colpisce Louis con un gancio sinistro e lo manda al tappeto. Lo Yankee Stadium esplode: The Brown Bomber è a terra. Per tre secondi il mondo si ferma. Galento si gira verso il pubblico, mani al cielo, con il fare trionfale che di solito contraddistingue il vincitore di un incontro ma anche con la condotta poco elegante di chi ha appena scolato una birra in un solo sorso. È un fuoco di paglia, Louis si rialza e lo distrugge, vincendo per KO al quarto round. Ma quel momento, quel singolo gancio, rimarrà nella storia. Louis stesso dichiarò anni dopo:

Galento era l’uomo più sporco che abbia mai affrontato. Ma non gli mancava il coraggio.

E forse è proprio in quel contrasto tra goffaggine e ardore che si annida il fascino imperituro di Galento. È l’uomo sbagliato nel posto sbagliato. Eppure, per un attimo, ha fatto tremare l’uomo giusto.

Gli highlights del match contro Joe Louis

Il giorno della caraffa e del tonno marcio

Max Baer è un pugile elegante e tecnico. Dopo un inizio di carriera controverso, contraddistinto dal tragico match contro Frankie Campbell, colpito con appena due colpi ma sufficienti a ucciderlo, diventa campione del mondo nel 1934, quando soffia la cintura a Primo Carnera. Un campione apprezzato e bello da vedere, i cui risultati sono di prim’ordine. In sostanza, l’esatto opposto di Galento. Quando i due si affrontano il 2 luglio 1940 lo scenario è paradossale, quasi come mettere su un ring uno squalo e un frigorifero pieno di birra. Non solo per il dislivello tra i due, quanto piuttosto per l’avvicinamento all’incontro.

La rissa, per Tony Galento, è iniziata prima. Poche ore prima del match, Tony viene colpito al volto da una caraffa di vetro lanciata dal fratello in un litigio al Nut Club. Il labbro esplode in una ferita sanguinante e i medici gli applicano una decina di punti. Nulla che possa turbare Two Ton che, come se niente fosse, sale sul ring. Anche questa non è una novità, Galento è abituato alle ferite, non solo in quanto grande incassatore ma anche perché spesso scende sul ring senza paradenti: in un vecchio incontro, un duro colpo da parte di un avversario gli è costato 25 punti di sutura alla lingua. Noncurante, Galento ha deciso di banchettare al Nut Club ed è stato costretto a farsi ricucire una seconda volta.

Quando il suo avversario sale sul ring, Baer è incredulo. Galento puzza di alcol e sudore, quasi di carne lasciata troppo tempo fuori dal frigo. “Sembrava di affrontare un tonno marcio in una vasca piena di liquori” avrebbe detto dopo il match. Un tanfo non casuale: Galento evita scientemente di lavarsi prima degli incontri, convinto che l’odore possa distrarre gli avversari.

Per otto round Galento fa resistenza. Incassa i colpi dell’avversario come fossero popcorn, sputa sangue e insulti, fino a cadere solo quando l’arbitro dice basta. Ma anche lì, nel dolore della sconfitta, lascia un segno. Baer, dopo averlo colpito con un gancio perfetto, si blocca: Galento lo guarda e ride. Non in modo provocatorio: è felice. Una risata che racconta tutto: per Tony il dolore è parte dello spettacolo. Ogni pugno preso è un gesto d’amore verso la sua stessa mitologia.

Tony Galento dopo la boxe, tra cinema, wrestling e polpi

Arriva un momento in cui Two Ton deve lasciare l’agonismo. Ma quando la boxe smette di offrirgli gloria e incassi, lui non si arrende. E si reinventa. L’uomo che aveva combattuto Louis e Baer sfrutta il Nut Club per inventare un business totalmente surreale e, per questo, perfettamente adeguato al personaggio: Tony organizza incontri con animali di varia portata e aggressività, quali canguri e orsi. Ma soprattutto organizza un leggendario duello con un polpo gigante, nel quale lui stesso finisce stritolato dai tentacoli prima di uscirne a pugni nudi, accusando il polpo di averlo “guardato male”. Passa, quindi, al wrestling, un mondo fatto su misura per lui, dove la teatralità conta più della tecnica.

Si regala persino un’apparizione cinematografica in Fronte del Porto, al fianco di Marlon Brando, nel ruolo – nemmeno troppo lontano da sé – di un gangster da marciapiede. Prova a monetizzare la fama con ogni mezzo: incontri “farsa”, pubblicità della birra, comparsate televisive. Ma, dietro la maschera dell’orco da bar, c’è un uomo migliore di quello che lui stesso ha venduto alla stampa. Quello capace di tendere la mano a un vecchio rivale.

Quando Joe Louis, vittima della dipendenza da eroina che lo ha portato in comunità a Denver, cade in disgrazia, prova a ripulirsi e a darsi una nuova chance nella boxe entrando anche nello staff di Sonny Liston, senza riuscirci. The Brown Bomber si ritrova in difficoltà economiche e psicologiche che paiono insormontabili. Ed è proprio Galento a intervenire. Lo aiuta economicamente e non solo, senza clamore, come si aiuta un nemico che in fondo si è amato.

Tony Galento è morto nel 1979. Ma nell’immaginario comune continua a fluttuare la sua leggenda tra il ring e il bancone del bar, tra un gancio e una risata. E sebbene non sia mai diventato campione del mondo, ha conquistato l’immortalità nel folklore dello sport.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *