Messo a sorpresa spalle al muro da una domanda dal vago retropensiero fallico («Avete raddrizzato la Torre di Pisa?»), Filippo Inzaghi ha optato per un sorriso d’ordinanza e ha lasciato correre. Troppo importante il traguardo raggiunto per rischiare di lanciarsi in una risposta che avrebbe potuto generare esclusivamente grattacapi. Il Pisa che torna in Serie A è una di quelle notizie che non hanno bisogno di alcun giornale, foss’anche solo per il lunghissimo digiuno. L’ultima volta risale a quello che, con ogni probabilità, fu anche l’ultimo scudetto corsaro del calcio italiano, vinto dalla Sampdoria di Vialli e Mancini, Lombardo e Vierchowod, Pagliuca e Toninho Cerezo, Mantovani e Boskov. Ma fu anche il giro conclusivo di giostra del Maradona italiano, fuggito a campionato in corso, travolto dalla positività alla cocaina e da un groviglio inestricabile di litigate e incomprensioni con una società che iniziava a prestare il fianco al tracollo.
Il Pisa, in quel marasma, cercò di salvarsi con i pochi mezzi a disposizione, ultima avventura in Serie A del patron Romeo Anconetani: non fu certamente la delusione più potente dei tre decenni a venire, un lungo periodo nero contraddistinto da figuracce e fallimenti e qualche sporadica alzata di testa. E fu una stagione, quel 1990-91, che contenne in sé tutto il possibile: il germe dell’illusione, qualche meravigliosa promessa di grandezza, il conto durissimo consegnato dal fato, l’inevitabile epilogo tragico.
Nelle mani di Lucescu
La Serie A nell’estate del ’90 riparte con ancora nella testa e negli occhi la capocciata di Claudio Caniggia, che all’improvviso ha riportato l’Italia sulla Terra dopo due settimane di sogno mondiale. Il Pisa è appena tornato nella massima serie dopo un solo anno di purgatorio. In panchina, nella stagione della promozione, il rampante quarantenne Luca Giannini. Ma Anconetani, per il grande palcoscenico, ha altre idee. «Mi aveva cercato per anni, a partire dal 1983, quando sulla panchina della Romania eliminai l’Italia dall’Europeo», ha raccontato lo scorso anno Mircea Lucescu in una lunga intervista concessa al Tirreno. Era l’Italia campione del mondo, che si inabissò in un girone di qualificazione dominato proprio dalla Romania, capace di subire la miseria di tre gol in otto gare.
A Bucarest finì 1-0, gol di Boloni. «Fu un trionfo davanti ai campioni del mondo. Anconetani insistette sempre tantissimo e qualche anno dopo mi convinse: ero in Jugoslavia per una partita di Coppa UEFA tra la mia Dinamo Bucarest e il Partizan: c’era anche Corioni, che mi voleva a Bologna». Il nuovo Pisa è la prima squadra di massima serie a radunarsi. Al fianco di Lucescu, che figura ufficialmente come direttore tecnico, c’è proprio Giannini, rimasto nel ruolo di allenatore ma con libertà d’azione decisamente ridotta rispetto all’anno precedente.
Il mercato, però, ha visto alcune partenze pesanti: Incocciati (Napoli), Cuoghi (Parma) e Nista (Ancona). Quando il gruppo si ritrova, manca ancora il terzo straniero: l’unico già arrivato è il danese Henrik Larsen e l’impressione è che il Pisa possa guardare verso la Romania per chiudere il cerchio, visto che l’olandese Mario Been è ancora in nerazzurro dopo essere approdato in Toscana nel 1988. Alla prima di campionato partiranno entrambi in panchina, mentre la maglia numero 8 è sulle spalle dell’ultimo arrivato. Ha appena compiuto vent’anni ma già da due è nel giro della Nazionale argentina, quando ingaggia un duello a centrocampo sembra sempre alle prese con una questione di vita o di morte. Si chiama Diego Pablo Simeone e ne sentiremo parlare a lungo.
È una squadra intrigante, questo Pisa. Convince soprattutto la coppia d’attacco: Lamberto Piovanelli è l’idolo delle folle, nel giugno del 1987 con un gol a Cremona in tuffo di testa aveva blindato una promozione rocambolesca, arrivata in un campionato che vide al traguardo sei squadre racchiuse tra i 44 punti del Pescara capolista (e del Pisa) e i 42 del Genoa, e si era ripetuto con una stagione da sogno nel 1990. È un talento naturale, Piovanelli, ed è lui a firmare il gol del successo a Bologna alla prima di campionato. Gioca in tandem con un altro giovane promettente, Michele Padovano, e c’è un terzo uomo da non sottovalutare, il velocissimo Maurizio Neri.
Piovanelli su punizione buca un non impeccabile Cusin
Dalla partenza bruciante alla lotta per non retrocedere
Alla prima uscita all’Arena Garibaldi il Pisa ne fa quattro al Lecce di Boniek, che una settimana prima aveva fermato sullo 0-0 i campioni d’Italia del Napoli. Doppietta di Piovanelli, firme di Simeone e Padovano. Conta quel che conta, ma il Pisa è primo in classifica insieme a Inter e Milan e lo stato di grazia di Piovanelli è tale da portare Boniek a emettere una sentenza: «Se lo avessi avuto io in formazione, avremmo vinto noi 4-0». I giornali iniziano a parlare della “volpe Lucescu” e tornano strisciando dal patron Anconetani, «Il Pisa è primo e con le tasche piene», titola La Stampa. Il presidente gonfia il petto:
Ho recuperato qualche centinaio di milioni, ci ho guadagnato: una società come il Pisa non riuscirebbe a sopravvivere se non chiudesse in attivo. Been? Se dovessimo cederlo, lo faremmo solo a condizioni molto vantaggiose. Piovanelli mi è costato pochissimo perché è entrato nell’operazione che ha portato Progna all’Atalanta, meno di un miliardo. Adesso vale molto, molto di più.
È il classico padre-padrone, presidente d’altri tempi, che ama curare ogni aspetto del club, anche quelli che non dovrebbero appartenergli: anni addietro, le discussioni con Gigi Simoni sulla formazione da schierare in campo per poco non avevano incrinato il rapporto col tecnico. Il pari col Genoa allunga la striscia positiva, poi arrivano i problemi. Sconfitta bruciante al novantesimo a Napoli firmata da Careca, due rovesci impressionanti con Fiorentina (0-4) e Inter (6-3). Piovanelli continua a segnare, all’ottava giornata è già a quota 7. I risultati iniziano a latitare e Anconetani sfodera un vecchio trucco scaramantico: alla vigilia di Pisa-Cesena annuncia l’intenzione, poi rispettata, di rovesciare sul prato dell’Arena Garibaldi ventisei chili di sale.
Sembra tutto vano, alla mezz’ora gli ospiti sono avanti di due gol, ma una tripletta di Padovano ribalta il discorso. Ancora Padovano e Piovanelli a segno contro il Torino. Per i giornali, con una sigla decisamente infelice, diventano la P2, a metà tra la B2 Baggio-Borgonovo che aveva trascinato la Fiorentina qualche anno prima e l’inevitabile rimando alla loggia massonica. È fine dicembre e la Nazionale azzurra vola a Cipro. Vicini, con Schillaci arruolato ma travolto dalla vicenda che lo ha visto minacciare in campo Fabio Poli, senza Casiraghi e Mancini e con Baggio malandato, decide che il piano d’emergenza si chiama Piovanelli. La convocazione arriva mentre è in ospedale per accompagnare un amico a una visita: aereo privato per raggiungere Ciampino, quindi rotta su Limassol. Mai, nel Dopoguerra, un calciatore del Pisa era stato chiamato in Nazionale. Non gioca, ma sta comunque vivendo il momento migliore della sua carriera.
Un momento che termina di colpo il 30 dicembre 1990. Il Pisa è di scena all’Olimpico, già da qualche settimana Been non è più parte della rosa, ceduto nel mercato di novembre, e al suo posto come terzo straniero, dall’Argentina, è arrivato il giovane centrale difensivo José Antonio Chamot. Dopo otto minuti di Lazio-Pisa, uno scontro accidentale ma durissimo tra Piovanelli e Domini costa all’attaccante nerazzurro la frattura della tibia. Passa in secondo piano persino il punto di platino ottenuto in casa dei biancocelesti. Nella pancia dell’Olimpico, Lucescu parla a testa bassa: «Avrei preferito perdere».
Lo spartiacque della carriera di Piovanelli e della stagione del Pisa in Serie A
La seguente sconfitta con il Bari ha un peso enorme in classifica, se possibile persino superiore all’1-5 con la Juventus. Proprio prima della gara con i bianconeri, Lucescu si lascia andare a uno sfogo relativo agli aggiustamenti tattici effettuati nel corso della stagione, nel tentativo di proteggere la difesa:
All’inizio abbiamo anche vinto, ma dopo aver perso nel recupero a Napoli, i giocatori si sono demoralizzati e mi hanno chiesto di tornare all’antico. Per me è uno choc abituarmi all’idea che prima bisogna non perdere.
Dal tracollo interno con i bianconeri, Anconetani si mette in tasca quasi un miliardo di lire, nuovo record di incassi. Per il resto, è un disastro, con tanto di incidenti fuori dallo stadio. Ma il calcio è strano e una settimana dopo, di nuovo all’Olimpico, il Pisa si rialza, sfruttando una Roma svagata e distratta dalla commozione per la perdita di un uomo simbolo della sua storia, l’Ingegner Dino Viola, il presidente del secondo scudetto. Il Pisa passa con i gol di Larsen e Lucarelli e alla fine del girone d’andata, con una gara ancora da recuperare contro il Milan, sarebbe la quarta retrocessa, ma a una sola lunghezza dal quartetto composto, un po’ a sorpresa, da Roma, Napoli, Atalanta e Lecce.
Esonero e retrocessione: il Pisa saluta la Serie A
Il recupero col Milan arriva tre giorni dopo e finisce 1-0: Sacchi è senza numerosi titolari ma gli basta il golletto di Massaro. Dopo un sanguinoso pari interno col Bologna, a Lecce Lucescu si presenta con soli 14 giocatori arruolabili. Anconetani dichiara di aver pregato la Madonna di Pompei dopo il gol di Benedetti e alla fine si materializza un bel punticino firmato da Alessandro Calori. A Genova, sponda rossoblù, Simeone e Padovano portano due volte avanti i nerazzurri, ma la squadra di Bagnoli esonda una volta in superiorità numerica per l’espulsione di Pullo, che fa infuriare Lucescu per il metro arbitrale. Anconetani perde la testa in zona mista: «Una squadra che gioca come il Pisa non può finire in B, abbiamo dominato per tutto il primo tempo e parte della ripresa. Chi si permette di ridere per quello che ho detto è uno scemo, un pagliaccio».
All’Arena Garibaldi arriva il Napoli di un Maradona già travolto dalle voci, il pubblico gli riserva il più classico dei «Fatti una pera, Diego fatti una pera», Anconetani a fine partita lo definisce «un vecchio signore panciuto che passeggiava per il campo». L’1-1 va più che bene a Lucescu, ancora una volta costretto a presentare una distinta incompleta per via delle assenze. La squadra non vince più, ne prende quattro a Firenze e scatta il ritiro punitivo voluto dal patron. Quindi perde di misura in casa con l’Inter e 2-1 a Cagliari, con la formazione di Ranieri che aggancia proprio i nerazzurri dopo un girone d’andata da incubo. Quella del Sant’Elia è l’ultima panchina pisana di Lucescu, che viene esonerato riaffidando la squadra a Giannini. Nella già citata intervista al Tirreno dirà:
Non mi aspettavo l’esonero e sono sicuro che senza Piovanelli ci saremmo salvati. Era il capocannoniere del campionato, un attaccante congeniale al mio gioco molto offensivo. Sarebbe stata tutta un’altra storia.
Il calendario non sorride alla potenziale scossa, perché a Pisa passa il treno scudetto della Sampdoria, che si impone 0-3: Anconetani ha un malore durante il secondo tempo e viene riaccompagnato a casa dopo i soccorsi. Curzio Maltese, sulle pagine de La Stampa, si lascia andare a un giudizio destinato a essere smentito dagli anni a venire: «Giannini ha impiegato su Mancini il più scarso dei suoi, tale Chamot, importato da chissà dove e chissà perché dall’intenditore Anconetani». All’improvviso, al Tardini, un sussulto: Padovano e Neri stendono il Parma di Nevio Scala, riaccendendo la fiamma del presidente:
Sono convinto che possiamo farcela, il calendario parla per noi.
La classifica, in effetti, è cortissima: il Pisa sarebbe ancora la quarta retrocessa, alle spalle ha Cagliari, Cesena e Bologna, il Lecce è distante un solo punto. Sono le cinque partite successive a sancire la retrocessione: il Pisa fa un solo gol, a Cesena, per un pareggio inutile, e perde contro Atalanta, Milan, Torino e Lazio. L’1-0 al Bari, alla 32esima, arriva praticamente fuori tempo massimo: rimarrà l’ultimo successo del Pisa in A per 34 anni. La discesa in B diventa aritmetica alla penultima di campionato, 4-2 in casa di una Juventus che sta colando a picco da settimane.
Ai microfoni dei giornalisti, nel cuore del Delle Alpi, Simeone promette che rimarrà, che proverà a riportare il Pisa in Serie A. Rimarrà davvero, ma la rincorsa pisana nella stagione successiva si fermerà al sesto posto, in una stagione che rappresenterà a lungo un piccolo what if nella mente dei tifosi: se Ilario Castagner avesse preso subito le redini della squadra, e non alla quarta giornata dopo tre sconfitte con Giannini in panchina, forse sarebbe andata diversamente.
Un Pisa in cui brillerà la stella di Marco Ferrante e si inizierà ad ammirare la falcata elegante di un terzino sinistro con l’etichetta di predestinato e un futuro segnato da una mano nera, Andrea Fortunato, mentre la carriera di Lamberto Piovanelli finirà in un tunnel nonostante l’approdo alla Juventus. Pisa diventerà anche il teatro del tentativo di rinascita di un altro grande talento del calcio italiano perseguitato dalla sfortuna, Alvise Zago, vittima di un terribile infortunio anni prima. L’avventura di Anconetani finirà malissimo, ma questa è un’altra storia. Per tanti tifosi del Pisa, la promozione griffata Inzaghi è stata la prima occasione di scoprire il cielo della Serie A. Per chi invece c’era, in quel 1990-91 bello e maledetto, è solo un piacevole ritorno a casa. Altro che torri raddrizzate.