“La MLS cresce velocemente”, intervista a Vanni Sartini

Quattro chiacchere con Vanni Sartini, allenatore dei Vancouver Whitecaps nella MLS.

Gli anni al fianco di Davide Nicola, poi l’avventura oltreoceano: Vanni Sartini ha costruito il proprio percorso da allenatore partendo dal settore tecnico di Coverciano fino ad arrivare alla MLS, dove ha guidato i Vancouver Whitecaps. Intervistato da Puntero, ha raccontato il suo percorso, le esperienze vissute dentro e fuori dal campo e il suo modo di vedere il calcio di oggi.

Intervista a Vanni Sartini

Come nasce la voglia di esplorare il calcio da un altro punto di vista, dopo una carriera dilettantistica da giocatore? Quali sono le tappe fondamentali prima di arrivare a essere quello che sei oggi come allenatore? 

Il calcio è sempre stata la mia enorme passione. Anche quando giocavo, sapevo che volevo fare l’allenatore. Ho giocato a lungo nei dilettanti, ma già allora mi affascinava la parte collettiva, tattica, la gestione del gruppo. Spinto da questa volontà e questa passione, ho iniziato ad allenare subito dopo aver smesso di giocare. Ho avuto una grandissima fortuna: mentre ero ancora un giocatore, sono stato assunto dal settore tecnico di Coverciano. Essendo di Firenze è stato facile avvicinarmi e una volta entrato ho approfondito la materia con un master in metodologia sportiva. Lavorando a Coverciano ho avuto tantissime opportunità per imparare questo mestiere al meglio. Tutti fanno il corso allenatori una volta nella vita, io lo facevo tutti i giorni con gli allenatori. Questo mi ha permesso di conoscere persone nell’ambiente e fare esperienze che mi hanno formato. Le prime panchine sono state in Italia, ma da tempo avevo il pallino di andare all’estero. Così sono riuscito ad arrivare negli Stati Uniti, e poi qui in Canada

Come sei riuscito ad approdare ai Whitecaps e alla MLS?  

Bisogna fare un altro passo indietro. Dopo il periodo a Coverciano, ho avuto alcune esperienze con il Livorno e il Bari, a livello professionistico. Nel settore tecnico ero responsabile della parte internazionale nella formazione degli allenatori: tenevo corsi per tecnici stranieri, venivo mandato all’estero per incontri UEFA o altri appuntamenti. Grazie a quel lavoro ho costruito tanti contatti. Uno di questi era il direttore tecnico della federazione olandese, che poi divenne direttore tecnico della federazione statunitense. Mi chiamò e mi disse: “Guarda, qui stiamo rivoluzionando la scuola allenatori. Cerchiamo gente che possa fare sia l’allenatore che il docente. Ti interesserebbe?” Così sono arrivato negli Stati Uniti. Ho lavorato tre anni con le nazionali giovanili, ma il cuore del mio lavoro era formare allenatori. Viaggiavo, visitavo tutte le squadre di MLS per dare feedback agli staff, tenere lezioni alle giovanili e via dicendo. In tanti di quei viaggi ho conosciuto allenatori rimasti colpiti dal mio approccio. Uno era Marc Dos Santos, all’epoca secondo allenatore ai Los Angeles FC. Mi disse: “Mi hanno contattato i Whitecaps per fare il capo allenatore. Mi piacerebbe avere una persona come te nello staff. Ti interessa?” L’opportunità mi intrigava molto. Così nel 2019 sono arrivato a Vancouver, inizialmente come suo assistente e allenatore della squadra riserve. Dal 2021 sono diventato il capo allenatore.

Nonostante la separazione dai Whitecaps, tuttora vivi a Vancouver. C’è qualcosa che ti lega particolarmente alla città? 

Sono rimasto qui per due motivi. Il primo è che la vita dell’allenatore è sempre con la valigia pronta: bisogna aspettare di sapere dove andare. La prossima destinazione sarà altrove, quindi ho preferito non traslocare subito per poi dover rifare tutto magari tra un mese. Il secondo è che io e mia moglie abbiamo vissuto sei anni qui. La città ci piace, ci ha accolto bene, abbiamo costruito amicizie anche fuori dal mondo del calcio. Abbiamo deciso di restare finché non sarà il momento di spostarci di nuovo.

Si dice spesso che in MLS si dà più importanza all’intensità fisica rispetto alla tattica. È un mito da sfatare o c’è qualcosa di vero?  

Direi entrambe le cose. Come principi è un campionato fisico, c’è tantissima intensità, anche per via delle regole della MLS. Faccio un esempio: ci sono i Designated Players, quindi “i grandi giocatori”, ma c’è anche il salary cap che ti impedisce di spendere troppo. Magari le squadre prendono anche qualche giocatore dal draft, quindi nella stessa squadra convivono giocatori del livello di Messi e altri usciti dall’università che magari non sono i migliori del mondo. Non avendo undici campioni in campo, a volte la qualità tecnica scende leggermente, quindi hai più un gioco di transizione. È vero che lo sport in America e in Canada è visto con un’impostazione molto atletica. Gli atleti sono davvero atleti, danno sempre il massimo per novanta minuti e questo rende il campionato molto intenso. Negli ultimi anni però abbiamo assistito a un enorme incremento della diversificazione, della specificità e della raffinatezza tattica, che ha portato il campionato a un altro livello. Io sono arrivato nel 2016 e, se confronto la qualità tattica del campionato del 2016 con quella del 2025, è come il giorno e la notte. Adesso è un campionato molto più tattico.

Durante questi anni c’è qualche giocatore che ti ha impressionato? Pensavi che qualcuno potesse arrivare in Europa?  

Ci sono tanti giocatori. Alcuni ce l’hanno fatta, hanno costruito carriere di rilievo. Penso a Tyler Adams, che adesso è il capitano della nazionale degli Stati Uniti e gioca in Premier League. Giocava con i Red Bulls e si vedeva che aveva il talento per arrivare lontano. Altri ci hanno provato ma non hanno avuto fortuna. Uno di questi è Jordan Morris, un attaccante esplosivo che gioca a Seattle. Io pensavo che potesse fare di più. Altri non hanno avuto l’opportunità o hanno preferito rimanere. Ti porto due esempi di ragazzi che ho allenato io, Brian White e Ryan Gauld, uno americano e uno scozzese. Sono calciatori che giocherebbero in qualsiasi campionato in Europa ma che hanno trovato la loro dimensione in MLS, come Dennis Bouanga dei Los Angeles FC, che giocava in Francia ma ha preferito venire qui. In Usa il rapporto con i giornalisti e i tifosi è meno intenso che in Europa e a volte questi fattori fanno la differenza.

Puoi tenere solo uno dei tre Canadian Championship vinti nel 2022, 2023 e 2024. Quale scegli e perché?  

Allora, per emozione scelgo il primo. Quando ho preso la squadra nel 2021 eravamo ultimi in classifica. Siamo riusciti ad arrivare ai playoff, ma eravamo ancora una squadra in formazione. Siamo migliorati passo dopo passo e nel 2022 eravamo indietro rispetto a Toronto. Nessuno si aspettava che vincessimo, anche perché Toronto aveva appena speso milioni su milioni per prendere i tre italiani: Criscito, Bernardeschi e Insigne. Nessuno pensava che potessimo vincere e in più erano 15 anni che i Whitecaps non vincevano un trofeo. Quindi, emotivamente, scelgo il 2022. Dal punto di vista della qualità del gioco, il migliore è stato il 2023, quando abbiamo dominato il torneo.

La finalissima del Canadian Championship del 2022, il primo successo da head coach di Vanni Sartini

 

Il calcio sta cambiando ed evolvendo. Hai avuto modo di vedere format come la Kings League? Tu che hai vissuto sia il calcio europeo, dove si prende tutto molto sul serio, sia quello oltreoceano dove c’è più intrattenimento, come vedi questo format?  

Divertente! È un modo per fondere il calcio con l’idea dei videogiochi. I due minuti finali con il gol doppio o togliere un giocatore agli avversari… è molto divertente. Io penso che un calcio con le regole della Kings League avrà tantissimo sviluppo, soprattutto nel calcio a 7 o a 8, quello che si gioca tra amici. Il futuro sarà molto simile a quello che vediamo nella Kings League. Secondo me non dovremmo essere troppo conservatori e liquidarlo come qualcosa di ridicolo. Chi si occupa di regole deve guardare come funziona questo format, perché magari su cinquanta idee che sembrano completamente fuori dal mondo ne esce fuori una che può essere trasportata nel calcio professionistico. Quindi perché dire no a priori?

Quindi credi che si possa prendere spunto da un format del genere, magari in futuro?  

Sì, penso che si possa prendere spunto da tutto. Il calcio è cambiato tantissimo nel tempo. Io ho 48 anni e ho iniziato a giocare quando ne avevo 8. Alcune regole sono cambiate e di molto. Se prendiamo uno sport come il basket, quello degli anni ‘90 e quello di oggi sono praticamente due sport diversi. La pallavolo ha tolto il cambio palla. Sono cose che sembravano impossibili da applicare al calcio, come il VAR. Vent’anni fa, se uno diceva: “Mettiamo la tecnologia”, tutti dicevano di no, mentre oggi il VAR sembra una cosa normale. Chissà, magari un giorno vedremo i rigori in movimento, la sfida per avere il VAR a propria disposizione o il tempo effettivo.

Ci sono mai stati episodi in MLS che ti hanno ricordato il clima degli stadi italiani, magari con tensioni o rivalità particolarmente accese? Credi che il tifo debba essere viscerale o al contrario vada inteso più all’americana?

Alcune rivalità e alcuni ambienti sono molto belli da vivere, il mio preferito è Portland. Se vai in America e decidi di vedere una partita, devi andare a Portland, è uno spettacolo. I tifosi sono scatenati, per loro la squadra è tutto. Ma anche Los Angeles, Cincinnati, Nashville o Austin offrono ambienti coinvolgenti. È meraviglioso andare in questi stadi e vivere l’ambiente. Negli anni ai Whitecaps eravamo penalizzati, perché lo stadio è enorme, è uno stadio multi-purpose, non un vero stadio da calcio. Anche quando i nostri tifosi davano il massimo, era difficile sentirli al 100%. Non ho mai assistito a episodi di violenza né tifoserie politicizzate oppure che vanno verso l’estremismo. Io sono per il tifo viscerale, mi piace il tifo come quello che abbiamo in Italia. Quello che mi piace qui in MLS è il modo in cui si vive la partita: se si vince siamo contenti, se si perde siamo delusi, ma non c’è mai un episodio di violenza.

Pensi che la MLS possa andare verso un modello più europeo, magari introducendo retrocessioni ed eliminando i playoff? Avrebbe senso un cambiamento del genere?  

Per tanti versi la spinta è verso il modello europeo. Poche settimane fa c’è stata una votazione per uniformare il calendario a quello europeo, facendo disputare la stagione da agosto a maggio. Non è passato per pochissimi voti, quindi lo discuteranno di nuovo il prossimo anno. Ci sono molte voci che vorrebbero l’abolizione del salary cap, anche in questo caso per andare verso un modello europeo dove i club possano comprare e vendere giocatori liberamente. Tutti, specialmente i top club, vogliono una lega più competitiva e di alto livello. Allo stesso tempo, però, non so se le retrocessioni possano essere una qualcosa di realizzabile a breve. Per entrare in MLS si paga una entrance fee enorme: devi investire 500-700 milioni in stadio e infrastrutture per poter far parte della lega. Quindi chiedere a qualcuno di investire questa cifra e poi farlo partire dalla seconda o terza divisione non avrebbe senso. Secondo me si potrà cominciare a parlare di retrocessioni e promozioni solo se si verificheranno due condizioni. La prima è che il calcio arrivi a un livello globale, nel senso di ascolti televisivi nell’ordine dei 20-25 milioni a partita, così da generare un flusso economico significativo per la lega. La seconda è che il numero di squadre aumenti, magari arrivando a 48 invece delle attuali 30. A quel punto si potrebbe pensare a una MLS divisa in due livelli, con 24 squadre ciascuno. Ma la strada è ancora lunga.

La scorsa estate si è parlato molto della scelta di Spalletti di imporre regole rigide sui giocatori riguardo videogiochi e svago. Qual è il pensiero del Vanni Sartini allenatore?   

Io non sono per disciplinare tutto nei dettagli. Non vieterei l’uso delle console ai giocatori e non sono uno che va a controllare se giocano o meno. Io credo che non ci debbano essere trecento regole, perché diventerebbero facili da infrangere. Le regole devono essere poche, ma chiare e non negoziabili. Per me il discorso è che i calciatori, specialmente oggi, devono essere professionisti 24 ore su 24. Se non dormi abbastanza, se non mangi bene, se non ti comporti da vero atleta, il giorno dopo si vede in allenamento o in partita.  Il campo è la prova regina. I calciatori sono esseri umani, quindi ognuno deve avere il tempo per lo svago. Per un ragazzo di vent’anni, può essere giocare alla PlayStation .L’importante è che tutto rimanga sempre nei limiti della professionalità. Oggi i calciatori sono talmente monitorati che se qualcuno sgarra, in due giorni il dipartimento medico lo nota e me lo fa presente. L’importante è responsabilizzare il giocatore, piuttosto che imporgli regole rigide

Nell’agosto 2022, Riqui Puig, talento del Barcellona, si è trasferito ai L.A. Galaxy per giocare con continuità e, secondo lui, lontano da ogni tipo di pressione. Oggi consiglieresti a una giovane promessa di fare lo stesso o credi che la MLS non sia un campionato adatto a questo tipo di scelte?  

Io consiglierei a chiunque non sia titolare in una squadra di altissimo livello di considerare l’opzione MLS.  Può essere un progetto, uno step di crescita per poi tornare a giocare in Europa. L’esempio è un giocatore che ho già citato, Ryan Gauld, il nostro capitano ai Vancouver Whitecaps e il miglior giocatore che io abbia mai allenato. A 17 anni era chiamato il “Messi scozzese”, aveva tantissima pressione e firmò con lo Sporting Lisbona. Non riuscì a imporsi, finì in una squadra di seconda divisione portoghese, poi venne da noi. Qui è rinato. In MLS ha giocato in un campionato di buon livello, ma con meno pressioni e meno riflettori puntati su di lui. Questo gli ha permesso di fare le due o tre stagioni migliori della sua carriera, ritrovare la nazionale e giocare gli Europei. La stessa cosa è successa con Riqui Puig, che per sfortuna sua ora è infortunato ed è fuori da diversi mesi. Per fare bene qui, però, serve la mentalità giusta:in Europa esistono ancora molti pregiudizi verso la MLS e chi viene qui senza la mentalità giusta ne paga le conseguenze. La lista di giocatori arrivati con un grande nome e che hanno fatto male è lunghissima.

Quindi hanno fallito perché hanno sottovalutato il campionato?

Sì. Principalmente, se sei un grande giocatore e vieni in MLS devi metterti in testa che sei tu a dover aiutare gli altri, non il contrario. Non sei più in un top club europeo, dove tutti sono al tuo livello. Un esempio positivo è stato Chiellini,  he si è comportato in maniera esemplare nei suoi diciotto a Los Angeles. Altri, invece, hanno fatto fatica. Bernardeschi, ad esempio, ci ha messo un anno e mezzo ad adattarsi, ma ora sta facendo molto bene a Toronto. Altri hanno avuto più problemi, come Giroud, Insigne, Lampard e Gerrard. Se arrivi in MLS a 33-34 anni e pensi che il tuo nome sia sufficiente per vincere le partite, allora non sei pronto per questo campionato.

Tu sei di Firenze: tra tutti gli allenatori toscani qual è quello che ti piace di più a livello di proposta?  

A livello di calcio, Sarri.

Quindi preferisci un gioco più offensivo?  

A me in realtà piace tantissimo come lui difende. Gioca con una difesa di reparto, una zona pura, perfetta. Mi piace il fatto che sia un calcio posizionale e moderno. Non è statico, c’è tanta rotazione all’interno del suo gioco. Allo stesso tempo, i giocatori hanno una posizione ben definita. Poi, se parliamo di allenatori toscani, anche Spalletti è di altissimo livello. Ma, se devo sceglierne uno, Sarri è il mio preferito.

Dopo questa esperienza da head coach, in un futuro valuteresti un ritorno come vice o collaboratore tecnico, qualora ci fossero offerte interessanti? Oppure ci tieni a continuare come primo allenatore?  

Mi piacerebbe continuare a fare l’allenatore per un po’. Devo essere sincero: prima di tornare a fare il secondo o l’assistente, valuterei altre opzioni. Ad esempio, direttore tecnico di un settore giovanile, cosa che ho fatto anche negli anni qui a Vancouver. Oppure mi piacerebbe avere la possibilità di allenare una nazionale e contribuire allo sviluppo del calcio in un Paese. Mi sono divertito tantissimo in questi ultimi tre anni e mezzo. È un lavoro faticoso, a volte sei sotto pressione e quando sei allenatore tutti vengono da te, ti trovi spesso al centro di ogni dinamica. Capita di sentirsi un po’ solo, perché devi gestire tantissime cose, ma le soddisfazioni che ti dà questo lavoro sono impagabili, quindi spero di continuare ad allenare ancora a lungo.

Ora sei in attesa di offerte. Quale sarà il futuro di Vanni Sartini? Hai avuto contatti con l’Italia? Preferiresti un’opportunità in Europa o restare in MLS?  

Ho avuto qualche offerta, ma non dall’Italia. Secondo me, per uno come me che ha fatto carriera solo in MLS, è difficile rientrare subito nel giro in un campionato di prima fascia in Europa. Quando dico prima fascia, intendo Italia, Germania, Spagna, Inghilterra, Francia. Questi cinque campionati, secondo me, sono un po’ fuori dalla mia portata, magari non per capacità ma per dinamiche di mercato. Se arrivasse un’offerta dalla Serie A, sarebbe in cima alla lista ovviamente. Se avessi la bacchetta magica e potessi scegliere la mia prossima squadra da allenare, mi piacerebbe rimanere in MLS. Negli ultimi anni ho avuto la possibilità di confrontarmi con squadre del campionato svedese, norvegese, belga, ungherese e penso che la MLS sia migliore, escludendo una o due squadre che dominano quelle leghe. Quindi mi piacerebbe tanto rimanere da questa parte del mondo. Ma ormai il calcio è talmente globale che magari fra un mese finisco in Australia o in Polonia. Non si sa mai.

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