La sera del 28 aprile 2022 un popolo intero, quello giallorosso, sta combattendo contro due tabù: la caccia a una finale europea che manca da 31 anni e un’avversaria inglese innanzi a sé, un accoppiamento che rappresenta una ferita aperta. Nei quattro anni precedenti la Roma ha disputato due semifinali, soccombendo contro due vecchi e dolorosi nemici, entrambi provenienti dalla “perfida Albione”. I giallorossi non superano un turno a eliminazione diretta contro club inglesi dal 1999. Stavolta l’avversario è il Leicester: è l’andata delle semifinali di Conference League in Inghilterra e la Roma è avanti per 1-0 ma sta soffrendo, ha arretrato il suo baricentro e gli avversari hanno preso campo e coraggio. A metà del secondo tempo un rimpallo libera Barnes sul fronte sinistro dell’area di rigore, cross al centro e 1-1. A metterla nella propria porta è Gianluca Mancini, nel disperato tentativo di anticipare Lookman.
Per un attimo quel popolo si smarrisce e comincia a temere il peggio. Gli avversari tentano di completare la rimonta, la Roma resiste pur con qualche errore di troppo. Aggrappandosi, tra gli altri, al suo numero 23: dopo una grande stagione, per Mancini i fantasmi di un passato recente riprendono forma. È caduto, non è la prima volta. E non sarà l’ultima, in un saliscendi di momenti di gloria e di buio.
L’arrivo a Roma di Gianluca Mancini e i primi dubbi
Nato a Pontedera il 17 aprile 1996, Mancini cresce calcisticamente nella Fiorentina ma l’arrivo nel calcio che conta è graduale: a 19 anni passa, inizialmente in prestito, al Perugia, che decide di riscattarlo e di dargli una maglia da titolare in Serie B. Quindi ecco l’Atalanta, sempre attenta ai giovani talenti. La sua stagione di gloria è la 2018-19: a Bergamo è titolare, sempre sul pezzo difensivamente e anche insidioso offensivamente, tanto da realizzare cinque gol in 30 partite. A fine anno, la Dea ottiene una storica qualificazione in Champions ma per Mancini cantano le sirene giallorosse e il centrale difensivo decide di partire per la capitale.
I giallorossi versano una somma complessiva di 15 milioni tra prestito oneroso e obbligo di riscatto per portarsi a casa le prestazioni del ragazzo in un anno di rinnovamento del pacchetto arretrato. In una squadra che parte con una linea difensiva a quattro, Mancini fa coppia con Smalling mostrando buone cose. Anche fuori ruolo, dato che tra ottobre e novembre l’emergenza infortuni spinge l’allenatore Fonseca a spostarlo in mediana, con ottimi risultati. Neanche il cambio di schema ne limita l’efficacia: al ritorno dopo la pausa forzata per il Covid, il tecnico imposta una difesa a tre e Mancini non sfigura. Ma la Roma non lotta mai realmente per andare in Champions e chiude al quinto posto, in leggero miglioramento rispetto all’anno precedente per posizione e punti ma non per ambizioni.
Una cosa analoga si verifica la stagione seguente, la 2020-21: Mancini è un punto fermo per l’importanza tattica ma soprattutto per la tendenza a non tirarsi mai indietro – non a caso Mourinho dirà di lui: “giocherebbe anche senza una gamba” – e per il temperamento. Eppure qualcosa non va: la Roma fa buone cose in Europa e ci sarebbero valide scusanti anche per gli insuccessi. La rosa è troppo ridotta per reggere due competizioni, in difesa praticamente i cambi non esistono, tanto da costringere il tecnico lusitano a ripescare gente inizialmente messa fuori rosa. Senza contare che gli infortuni non danno tregua a Fonseca, che a fine anno lascia i giallorossi con un settimo posto e una semifinale europea finita drammaticamente. A Old Trafford, nel match di andata, la Roma scende in campo senza lo squalificato Mancini. E nella ripresa smotta senza appello: 6-2 è il risultato finale.
Sembrerebbe un’attenuante per Mancini ma non lo è: di fatto, assieme a Pellegrini e Cristante, viene preso come paradigma per giustificare i risultati deludenti dei giallorossi in campionato, in contrapposizione al periodo precedente, con la Roma costantemente in Champions League. Per i tifosi, i tre azzurri sono il simbolo della mediocrità della squadra e dei suoi piazzamenti. A cambiare le cose ci penserà Mourinho: grazie al tecnico portoghese, Mancini riesce a trasformare la percezione che l’ambiente ha di lui. Lo farà con le sue qualità in marcatura e impostazione, certo, ma soprattutto con un’attitudine perfetta per lo Special One: da pretoriano di Mou, Mancini diventa un leader indiscusso dello spogliatoio, facendosi amare dai propri tifosi. E odiare da tutti gli altri.
Il più odiato dagli italiani
Quando dietro le spalle di uno sportivo si legge il numero 23, la mente vola inevitabilmente a uno dei più grandi sportivi di sempre, Michael Jordan. Non è il caso di Gianluca Mancini, che sceglie il suo numero per un altro idolo sportivo, Marco Materazzi (che, a sua volta, aveva tratto ispirazione proprio da His Airness). Che Materazzi sia uno degli eroi – se non l’Eroe con la E maiuscola – della notte di Berlino nel 2006 è risaputo. Che non godesse della stima degli avversari è altrettanto evidente.
Si tratta del classico giocatore che i propri tifosi amano alla follia per la grinta che ci mette nel difendere la maglia e che gli altri odiano per una cattiveria agonistica che a volte è capace di andare anche oltre la legittimità del campo. Fino all’approdo di Mourinho nel 2021, l’unico appunto che si poteva muovere a Mancini riguardava l’eccessiva propensione ai cartellini: nei suoi primi due anni in giallorosso – andando oltre le medie tenute prima di sbarcare a Roma – lo score è di 24 gialli e un rosso per doppia ammonizione in Serie A e di quattro gialli e due rossi nelle coppe.
Quello che sembrava un semplice problema disciplinare, in pochi mesi si trasforma. Con Mourinho, la Roma gioca costantemente due partite: una sul campo, l’altra più subliminale, psicologica, cercando di entrare sotto la pelle degli avversari, chiunque essi siano e qualunque sia la posta in palio. Lo si nota già durante un’amichevole estiva contro il Porto: sul risultato di 1-1 – con gol proprio di Mancini – la partita si trasforma in una rissa generale scatenata da un intervento scomposto di Pepe su Mkhitaryan. I giocatori della Roma vanno a muso duro contro gli avversari, con Mourinho che in panchina sorride compiaciuto. Un atteggiamento che si ripete regolarità, indipendentemente dall’avversario, e in cui Mancini è un ineffabile portabandiera. Ad ogni decisione dubbia e in ogni parapiglia, la sua figura spicca.
In tutto questo, non manca occasione per qualche scorrettezza che va oltre il lecito. In breve tempo, da semplice giocatore falloso si trasforma nel giocatore più odiato dagli italiani. I tifosi avversari lo scrutano a ogni contatto, pronti a invocarne l’espulsione ed evidenziarne l’antisportività. Per tutta risposta, Mancini non si scompone e continua a farsi detestare sportivamente. Addirittura Claudio Ranieri, suo futuro allenatore e noto tifoso romanista, dichiarerà che da avversario lo odiava. E probabilmente è per colpa di questo carattere che ha poco spazio in una nazionale in cui avrebbe pienamente diritto di essere una presenza costante, perché il suo rendimento sul campo meriterebbe un posto più o meno fisso in azzurro. Addirittura, durante il regno da ct del suo omonimo Roberto Mancini, si disimpegna anche da terzino destro pur di tornare utile.
Ma nonostante ciò che ha da perdere, Gianluca Mancini non si scompone e continua per la sua strada. Fatta di faccia a faccia con gli avversari, di proteste, di provocazioni – come il saluto ironico a Paixão a seguito dell’eliminazione inflitta al Feyenoord in Europa League nel 2023 o l’invito ad andare a dormire a Buonanotte del Brighton la stagione seguente – e anche di avversari che perdono la pazienza fino a farsi cacciare, proprio come accaduto con Materazzi nella notte di Berlino. Ma soprattutto fatta di momenti decisivi, di sliding doors in cui il numero 23 giallorosso è riuscito a rendersi protagonista. Nel bene e nel male.
Comunque mi sono fatta la gif di Gianluca Mancini e la uso per salutare nelle chat.
L’occhiolino mi sfonda pic.twitter.com/azLQvUsbv3— Valentina Tiddi (@Tiddiv) April 22, 2023
Dalla Conference alla notte di Budapest
Torniamo a quel 28 aprile 2022, alla notte della semifinale di Conference. Un percorso iniziato ad agosto nei preliminari, quando Mancini ha colpito il palo nell’azione che ha portato al gol vittoria di Shomurodov al Trabzonspor, e che è continuato ai gironi, in cui all’esordio contro il CSKA Sofia Mancini segna esattamente allo stesso modo, raccogliendo la respinta del palo sul tiro del compagno di reparto Smalling per ribadire in gol.
Un cammino, quello della Roma, costruito su una strana miscela di autorità e sofferenza, dove il valore e il merito della squadra, pur mai davvero in discussione, hanno prestato il fianco a momenti capaci di far barcollare la tifoseria fino ai confini dello psicodramma: dal sorpasso all’ultima curva nel girone ai danni del Bodø/Glimt dopo aver perso 6-1 in Norvegia al gol al 90’ per scongiurare i supplementari col Vitesse agli ottavi, fino al nuovo rendez-vous contro i norvegesi, la sconfitta in rimonta all’andata e l’apoteosi al ritorno in un Olimpico caldo come raramente si è visto. Il tutto seguendo i dettami mourinhani fatti di blocco basso ai limiti del catenaccio, con percentuali di possesso risibili anche nelle giornate migliori, costruendo i propri successi sulla compattezza di un pacchetto arretrato composto dall’autorevolezza di Smalling, l’energia di Ibañez e la grinta inscalfibile di Mancini.
A Leicester la Roma resiste, tiene l’1-1 fino alla fine e al ritorno, di misura, mette fine al tabù inglese, ironicamente grazie a un gol di Tammy Abraham, anche lui proveniente dal Paese britannico. La finale di Tirana del 25 maggio è un traguardo atteso da decenni dalla tifoseria giallorossa e, al tempo stesso, un’occasione di riscatto per Mancini. Che al 32’ della finale giocata in terra albanese, dalla trequarti, disegna un arcobaleno astuto e velenoso, abbastanza basso da far credere a Trauner di poterci arrivare ma alto al punto di coglierlo in fallo: il difensore del Feyenoord la sfiora soltanto, Zaniolo alle sue spalle la controlla e con uno scavetto beffa il portiere. È l’1-0, sarà il gol decisivo. Mancini si è ripreso tutto quello che aveva rischiato di lasciare a Leicester.
A fine partita i giocatori festeggiano assieme ai tifosi giunti all’Arena Kombëtare e il difensore va a prendere di peso Mourinho, portandolo in braccio fino alla sua gente. Il legame con i tifosi e con l’allenatore non è mai stato così perfetto. Un’unione di intenti dimostrata in ogni singolo minuto di ogni partita e che si sarebbe ulteriormente consolidata nel cammino europeo della stagione seguente. Se nella vittoria in Conference la difesa, con quattro gol subiti in sette partite a eliminazione diretta, è stata una protagonista evidente, figurarsi l’anno dopo in Europa League, quando la Roma deve affrontare un turno in più e subisce appena tre reti in otto partite, peraltro con picchi di assoluto stoicismo, come la strenua resistenza all’assedio del Bayer Leverkusen, con 78 attacchi portati dai tedeschi tra andata e ritorno mantenendo la porta illibata.
E così, per il secondo anno di fila, la Roma si gioca una finale europea. Stavolta in Europa League, a Budapest, dove si trova di fronte il Siviglia, specialista e maggior detentore del trofeo. Lo scenario sembra proseguire in tutto e per tutto il filo romantico con cui è stato cucito il successo dell’anno precedente: in un momento della gara simile, per la precisione al 35’, Mancini raccoglie palla nel cerchio di centrocampo e verticalizza per Dybala, che di sinistro trafigge Bono per il gol del vantaggio. Ancora un assist di Mancini, ancora l’1-0. Ma il copione, stavolta, cambia. Al 55’ Jesús Navas cerca En-Nesyri con un cross dalla destra. Il marocchino è marcato da Mancini che, nel tentativo di anticiparlo, devia il pallone nella propria porta con il ginocchio. Ancora un autogol, ancora un 1-1 che spinge alla sofferenza, acuita dalle polemiche arbitrali per le decisioni dell’arbitro Anthony Taylor.
Il match si protrae fino ai rigori: i cambi hanno tolto alla Roma molti potenziali tiratori e altri non sembrano così carichi per calciare. Mancini lo è, non si tira mai indietro, come dice Mourinho. È il secondo a tirare per la Roma ma anche il primo a sbagliare. La Roma non segna più, il Siviglia non sbaglia mai e la coppa va in Andalusia. Anche stavolta Mancini è chiamato a dare fondo alle proprie energie per rialzarsi.
Il 2024 di Gianluca Mancini sulle montagne russe
I suoi tifosi lo sanno, Mancini non ha alcuna responsabilità nell’esito della finale di Budapest. Ma, se è vero che il tempo porta via la memoria, quello che rimane negli almanacchi non svanisce. E negli almanacchi figurano quell’autogol e quel rigore sbagliato. Ma soprattutto una sconfitta che sembra aver rotto il giocattolo, quello di una Roma che da anni in Europa sta funzionando. Sebbene già con Fonseca si fosse avvicinata alla grandezza, è con Mourinho che è arrivato lo step decisivo. Eppure il risveglio dopo quei calci di rigore è traumatico, la Roma vive metà stagione da dimenticare e, per voltare pagina, taglia i ponti col suo condottiero per affidarsi a chi lo era stato in campo: Daniele De Rossi.
Inizialmente c’è scetticismo sulle possibilità dei giallorossi di bissare il cammino europeo degli anni precedenti, ma con il passare dei turni aumenta la consapevolezza. Ai playoff viene eliminato ai rigori il miglior nemico della Roma recente, quel Feyenoord sconfitto a Tirana e anche l’anno seguente, sulla strada per Budapest, ai supplementari dopo aver ripreso la partita per i capelli. Quindi sale in cattedra chi ha a cuore i colori giallorossi: l’allenatore e i leader in campo, sospinti da un tifo appassionato. Una squadra che cerca di compensare qualità caratteriali i limiti numerici dell’organico. E Mancini ne è il simbolo, l’anima testarda che tenta di spingersi sempre oltre.
Agli ottavi arriva il Brighton di De Zerbi, noto per la propria autorevolezza offensiva che mette costantemente in pericolo gli avversari. Ma la difesa giallorossa è a dir poco perfetta: 4-0 nel match di andata, senza possibilità di repliche, con Mancini che guida la retroguardia e trova anche il terzo gol giallorosso. Tuttavia è ad aprile che iniziano le montagne russe emotive. Il 6 aprile a Roma non è un giorno come un altro: si gioca il derby, il primo sotto la guida di De Rossi dopo una serie di quattro stracittadine senza vittorie né gol per i giallorossi. A suonare la carica è ovviamente Mancini: spegne le velleità laziali e al 42’ sigla di testa il gol che riporta la Roma al successo, con tanto di post-partita ad arringare la Curva Sud sventolando un bandierone anti-Lazio capace di suscitare non poche polemiche.
Cinque giorni dopo è il momento dell’andata dei quarti di finale. Davanti ai giallorossi si presenta un altro tabù, un ritorno al punto di partenza: l’avversario è il Milan, ultima squadra affrontata nell’era Mourinho. Nei sei precedenti con lo Special One, la Roma ha raccolto la miseria di due pareggi e quattro sconfitte, spesso piuttosto nette. In generale, non batte i rossoneri dall’ottobre 2019, primo anno di Fonseca. Senza contare che la Roma arriva all’incontro come una delle due squadre – insieme alla Sampdoria, tra Supercoppa Europea e Intertoto – ad aver disputato più di un derby italiano in Europa senza mai uscirne vincitrice. Il canovaccio è simile a quanto visto pochi giorni prima: al 17’ un corner, ancora lui di testa. È il successo che mancava e che dà coraggio per lo sprint finale.
Alla settimana magica di Mancini ne segue un’altra, carica di emozioni diverse, non tutte positive. Il 14 aprile la Roma gioca a Udine quando, sull’1-1, il compagno di reparto di Mancini, Evan N’Dicka si accascia a terra toccandosi il petto. I giocatori giallorossi sono spaventati, fortunatamente sarà solo un trauma toracico con uno pneumotorace. Sembrerebbe una liberazione ma purtroppo il destino ha in serbo altro: nello stesso giorno arriva la notizia della scomparsa di un ragazzo di 26 anni, Mattia Giani, stroncato su un campo della provincia toscana da una patologia cardiaca, la stessa che ha portato via Davide Astori. Giani era il cognato di Mancini: la paura sul campo e il successivo sollievo lasciano immediatamente spazio al dolore personale e familiare.
Pur nell’angoscia, Mancini si allena per prepararsi alla partita successiva. L’ha sempre fatto, ha spesso giocato sul dolore e sulla sofferenza, sia fisica che interiore. Era già accaduto nel 2020, con la nascita della sua prima figlia, prematura e costretta a mese di cure in ospedale. Senza dire nulla, convivendo con un peso che ha fatto di tutto per non trasmettere agli altri. E quattro giorni dopo, al ritorno con il Milan, guida la retroguardia giallorossa con autorità, vista anche l’assenza di N’Dicka. E segna ancora, questa volta al 12’, baciando il cielo e mostrando una maglia con dedica al povero Mattia. Sul 2-0 e con un’ora ancora da giocare, la Roma rimane in dieci. E Mancini sfodera la sua miglior prestazione guerriera, permettendo ai suoi di lasciare ai rossoneri solo le briciole, un gol all’85’ ininfluente per il risultato finale.
Per il quarto anno di fila la Roma accede a una semifinale europea. Un cammino che pare perfetto per il riscatto dei giallorossi e per quello personale del numero 23. Ma il destino ha nuovamente altri piani. All’Olimpico, nella semifinale di andata, la Roma cade 2-0 contro un Bayer Leverkusen ancora imbattuto. Sembra la fine di tutto. E invece non è finita, perché alla BayArena la Roma risponde colpo su colpo, ristabilendo l’equilibrio e accarezzando il sogno di una rimonta incredibile. Fino all’82’.
Un minuto prima De Rossi ha effettuato due cambi per provare a resistere all’assalto finale delle Aspirine: un esausto Pellegrini rimpiazzato da Abraham per addomesticare qualche lancio dalle retrovie, Smalling al posto di Angeliño per aumentare centimetri ed esperienza del pacchetto arretrato giallorosso. Ironia della sorte, alla prima azione arriva subito un corner per i padroni di casa, una situazione in cui i due inglesi appena entrati possono dare una grossa mano in termini di statura. Sul cross dalla destra Smalling prende in consegna Schick. I due sono nell’area piccola e finiscono per mettersi davanti a uno Svilar sin lì monumentale: ne ostacolano l’uscita, Svilar cade e la palla passa. Carambola su Mancini e si insacca. Un altro autogol, una botta difficile da assorbire, anche per il più tenace dei calciatori.
Il numero 23 che allarga le braccia e si accascia, con la fascia al braccio, come svuotato, come se non potesse più alzarsi è l’immagine di una squadra e di un popolo intero. La Roma non ha più la forza di reagire, la partita finisce 2-2 e il sogno appena cullato di rimontare una squadra sin lì invincibile si spegne. Gianluca Mancini è caduto. Ancora una volta.
Il ritorno dei quarti di Europa League contro il Milan. Gol, dedica e tenace resistenza, un compendio delle caratteristiche di Gianluca Mancini
Una rimonta per riprendersi tutto
La stagione 2024-25 inizia malissimo per la Roma. Si susseguono le delusioni, le sconfitte e persino i cambi in panchina. De Rossi viene esonerato dopo appena quattro partite, l’esperimento Jurić si rivela un disastro, così la società decide di richiamare dalla meritata pensione un vecchio aggiustatore come Claudio Ranieri. E dopo un iniziale rodaggio, durante il quale la classifica langue e le ambizioni sembrano pressoché inesistenti, Ranieri aggiusta di nuovo la Roma, come già fatto in passato. Lo fa dopo qualche tentativo, tornando però ai punti fermi. E quando è chiaro che Hummels non ne ha più per una carriera ad alto livello, Sir Claudio decide di puntare tutto su Mancini, spostandolo dal centro-destra al cuore della difesa, a guidare i compagni e far sentire la propria voce anche ai rivali.
Nelle coppe le cose non vanno: nei quarti di Coppa Italia, a San Siro contro il Milan, Mancini è squalificato. Al centro della difesa c’è Hummels e la Roma affonda. In Europa League la corsa si ferma agli ottavi quando, dopo una notte piena di passione all’Olimpico risolta all’ultimo respiro, in quel di Bilbao i giallorossi fanno harakiri. Stavolta Mancini c’è ma manca Celik, quindi il numero 23 riprende posto sul centro-destra, lasciando ad Hummels il compito di dirigere la linea. E proprio Mancini sarebbe destinatario di un passaggio che non gli arriverà mai: una palla in orizzontale che il tedesco indirizza verso di lui, ma finisce per servire un avversario, che stende nel tentativo di rimediare e che porta a un cartellino rosso con ancora 79’ da giocare.
La Roma va fuori ma in campionato le cose sono ormai cambiate definitivamente: una difesa inizialmente fragile, sotto la guida energica di Mancini e grazie alle mani provvidenziali di Svilar diventa quasi imperforabile. Dopo nove mesi senza vittorie in trasferta, da Udine in poi, arriva la svolta: la Roma disputa sette partite lontano dall’Olimpico, mettendo insieme sei vittorie e una sconfitta con appena tre gol presi, due dei quali nella sconfitta di Bergamo. Numeri significativi che si aggiungono al rendimento fatto registrare anche tra le mura amiche, dove le partite giocate sono nove, con sei vittorie, tre pareggi e soli cinque gol subiti.
Alla solidità difensiva, Mancini aggiunge anche il suo contributo in zona gol: alla penultima giornata contro il Milan è ancora lui a sbloccare il risultato di testa da corner dopo pochi minuti. Con la sua solita garra, inoltre, inscena sul prato l’ennesimo duello rusticano, stavolta contro Santiago Giménez. Nonostante i precedenti – vedasi cartellino rosso durante i supplementari di Roma-Feyenoord della stagione 2022-23 per un’entrataccia sul ginocchio del difensore giallorosso – tutt’altro che facili, il messicano è caduto nuovamente nella rete di Gianluca Mancini che, con i suoi soliti mind games, ha finito per ammaliare il centravanti rossonero e causarne un’altra espulsione, stavolta al 21’. Utile a permettere alla Roma di portare a casa la vittoria valsa matematicamente una qualificazione alle coppe europee che, per lunghi mesi, sembrava un miraggio.
Ad agosto la Roma ripartirà con un nuovo progetto tecnico, con un allenatore scelto da Ranieri nella sua nuova veste di consulente della proprietà, finalmente lontano dalla panchina e libero di girare il mondo per vedere “cosa c’è oltre il calcio”. Con una certezza: Gianluca Mancini. E la sua voglia di riprendersi tutto.
Ancora il Milan, ancora una giornata di gloria targata Gianluca Mancini