Allegri al Milan è la prima scelta affidabile della nuova dirigenza

La scelta di Allegri come nuovo allenatore del Milan porta stabilità a un ambiente troppo provato.

La stagione 2024-25 del Milan è impossibile da riassumere in un singolo episodio, ma piuttosto è stata caratterizzata da una lunga serie di passi falsi e silenzi. La classifica invece ha parlato chiaro, con un laconico ottavo posto. Troppo poco per una squadra con l’ambizione dichiarata di tornare protagonista in Italia e in Europa. Ma dietro ai numeri c’è un fallimento più profondo, organico. Un’intera stagione costruita sull’incertezza, animata da figure che hanno promesso tanto ma hanno finito per smarrirsi prima ancora di intraprendere davvero il cammino.

Fonseca prima, Conceição poi. Due tecnici differenti per approccio e curriculum, ma accomunati da una stessa incapacità di incidere. Non sono bastate le variazioni tattiche (poche in realtà) o le parole di rito: il Milan è apparso fin da subito disorientato e privo di identità, incapace di reagire nei momenti chiave. Le responsabilità dei due tecnici sono evidenti, ma il problema vero è a monte.

La dirigenza rossonera – o meglio, la sua assenza – è il nodo centrale di questa crisi. Dopo l’addio di Maldini, il club ha intrapreso un percorso manageriale freddo, improntato su equilibri aziendali più che sportivi. Maldini era un dirigente, certo, ma soprattutto un simbolo, un garante dell’identità rossonera. Toglierlo ha significato tagliare il filo che teneva unito un ambiente già fragile.

Furlani, amministratore delegato del club, ha spesso parlato di numeri e bilanci, lasciando da parte qualsiasi ambizione sportiva e alternando dichiarazioni goffe a decisioni che hanno minato la fiducia di tifosi e addetti ai lavori. Scaroni, presidente quasi simbolico, è ormai soprannominato “Stadioni” per la sua ossessione verso il nuovo impianto, unico tema su cui pare mantenere coerenza e costanza. Ibrahimović, invece, chiamato a rianimare il milanismo dall’interno, si è dissolto dietro frasi di circostanza, scelte ambigue e un ruolo mai chiaramente definito. Una situazione drammatica, perché drammatica è stata l’assenza di una personalità in grado di prendere in mano il timone, fin dalle prime crepe stagionali.

Una tifoseria sempre più lontana dalla società

Il punto di rottura con la tifoseria è arrivato nella maniera più spettacolare possibile, nella cornice di San Siro, durante l’ultima giornata contro il Monza. Il Milan ha provato in tutti modi a soffocare la contestazione, vietando l’ingresso di bandiere e striscioni in Curva Sud, ma il tifo rossonero ha risposto con un gesto tanto silenzioso quanto dirompente. Una coreografia umana, con i corpi dei tifosi disposti a formare la scritta “GO HOME” nel secondo anello blu. Una sentenza. La Curva ha fatto nomi e cognomi, ha chiesto dimissioni e ha ripetuto cori in favore di Paolo Maldini. Una contestazione totale e profonda.

Così si chiude la stagione del Milan: tra il gelo della classifica, l’insofferenza di una piazza tradita e l’incapacità, fin a pochi giorni fa, di delineare un futuro credibile. Una crisi sportiva e di senso. Nel frattempo, i giocatori più rappresentativi iniziano a guardarsi intorno: Theo Hernández non ha ricevuto proposte concrete di rinnovo, Maignan attende da mesi e anche Pulisic chiede garanzie. In un contesto in cui nessuno è considerato incedibile e ogni giocatore ha un prezzo, è impossibile costruire una base credibile.

Il Milan è apparso come una struttura aziendale travestita da club calcistico. Mancano una rotta e una leadership riconoscibile, ma soprattutto una visione sportiva degna del proprio blasone. E mentre i conti iniziano a tornare in rosso, anche la narrazione del Milan come modello di sostenibilità perde consistenza. Di solito è il campo a rimettere tutto al proprio posto, sono i risultati che mantengono tranquillo l’ambiente. Ma il campo, da due stagioni, emette solo verdetti impietosi.

La pittoresca e ben riuscita protesta inscenata dalla tifoseria milanista nell’ultima giornata

La luce in fondo al tunnel?

L’annuncio di Igli Tare come nuovo direttore sportivo arriva nel momento di massima tensione con un tempismo a metà tra il grottesco e il taumaturgico. Da un lato infatti c’è la sensazione che ogni mossa del Milan venga ormai guidata dalla necessità di contenere il dissenso e mettere continue toppe a una barca piena di falle piuttosto che vararne una nuova. È accaduto con l’esonero ritardato di Pioli, con la retromarcia su Lopetegui, con la scelta ripiegata su Fonseca e, infine, con la nomina tardiva di un direttore sportivo.

La scelta di Tare, però, potrebbe anche rivelarsi una prima luce dopo mesi di buio, con una figura di riferimento e di esperienza a cui affidare le future decisioni sportive. Il Milan ha bisogno di uomini di calcio, non di semplici esecutori e la scelta dell’ex dirigente biancoceleste sembra andare in questa direzione. Tare, forte della sua esperienza, ha subito agito sul fronte più scoperto di questa stagione: la guida tecnica. Da qui, è iniziato infatti il nuovo corso del Milan.

Un grande club non può affidarsi a compromessi. Serve un allenatore con visione e carisma, che prima di costruire sia un gestore con le spalle larghe, un leader che – pur reduce da esperienze poco brillanti – abbia l’autorevolezza e la forza di non finire nel tritacarne mediatico al primo passo falso. Il nome di Massimiliano Allegri, per quanto divisivo, risponde a questa esigenza. Non solo per il suo curriculum, ma per la sua capacità di dare segnali forti all’ambiente. Un allenatore che conosce le dinamiche di uno spogliatoio, è in grado di interagire con giocatori di un certo calibro e sa reggere la pressione. È Allegri il profilo che è mancato al Milan di questi anni. E poco importa se il suo calcio non è moderno o aggiornato: quello che serve è ordine e compattezza.

Allegri al Milan significa stabilità

Allegri porterà al Milan un cambio di visione basato sulla costruzione di un’identità. Un allenatore che pretende consapevolezza e responsabilità dai suoi giocatori e in campo vuole vedere una squadra pensante, più che allenata a memoria.

Ed è qui che nasce la sfida più grande per la dirigenza: cercare i profili giusti. Il tecnico livornese ha bisogno di figure esperte e affidabili, che sappiano leggere le situazioni di gioco e reagire con lucidità. Non è un allenatore da pressing forsennato o da costruzione esasperata dal basso. Chiede equilibrio, disciplina, una difesa ordinata e un centrocampo che sappia reggere l’urto. La sua idea di calcio, spesso accusata di essere prevedibile, è in realtà il tentativo di ridurre il caos al minimo, proteggendo la squadra attraverso la gestione del rischio. E in questo momento normalità e tranquillità sono i due pilastri sui quali sarebbe opportuno fondare la nuova stagione rossonera, per dimenticare le montagne russe di quella appena terminata.

Per questo il Milan, se vuole veramente intraprendere un nuovo corso con Allegri, dovrà rivedere il proprio approccio al mercato. Più che giocatori forti sarà fondamentale puntare su interpreti funzionali. Serviranno terzini intelligenti nei movimenti senza palla, centrocampisti capaci di occupare bene gli spazi e alternare fase difensiva e offensiva, esterni rapidi per innescare transizioni efficaci. Ma soprattutto serviranno figure con carisma e personalità, capaci di guidare i compagni nei momenti in cui le partite si sporcano e si decidono nei dettagli.

Sotto la gestione dell’ex Juve non vedremo un Milan votato allo spettacolo, ma potremmo finalmente vedere un Milan che sa cosa fare in campo. Un undici che non va in difficoltà a ogni transizione avversaria e che non si spacca in due dopo ogni pallone perso. E soprattutto che non improvvisa. Il concetto di squadra corta, ben strutturata e difficile da battere, è una regressione necessaria per tracciare un nuovo punto di partenza. Il Milan non dovrà aver paura di essere brutto se sarà in grado di fondare una base da cui ricostruire tutto il resto.

Perché al momento il bisogno è prima di tutto di questo: tornare a essere affidabile. E per esserlo servono scelte coerenti e nette. Allegri, nel bene e nel male, è una scelta chiara. Ora tocca al club sostenerla con altrettanta chiarezza.

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