Capracotta è un piccolo paese nell’alta montagna del Molise, a quasi 1500 metri di altitudine. Al di là del nome curioso è noto in centro Italia soprattutto per le sue nevicate costanti. Anche di questi tempi, malgrado i cambiamenti climatici, a Capracotta d’inverno la coltre bianca rimane a lungo. Ci sono campi soprattutto di sci da fondo, frequentati per lo più da sciatori laziali o campani, sfidando il clima rigido invernale di un posto da paesaggi mozzafiato. Lassù, a Capracotta, il 22 aprile del 1952 nasce Erasmo Iacovone. In una casa su una via che porta alla chiesa. Una delle tante ricostruite dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale che l’avevano rasa al suolo.
Il papà, Giuseppe, lavora come portalettere e d’inverno è costretto ad andare a consegnare la posta utilizzando gli sci per farsi largo tra la neve. Ma al piccolo Erasmo la neve non interessa, anche perché ad appena tre anni la famiglia si trasferisce a Tivoli, poco fuori Roma, dove la vita probabilmente è meno disagevole. A lui piace il pallone e cresce con la voglia di provare a fare il calciatore. Sia nelle vie di Tivoli, sia nelle lunghe estati a Capracotta, dove ritorna per trascorrere le vacanze insieme ai nonni.
I primi calci e l’affermazione a Mantova
Erasmo mostra buone qualità, viene anche visto dal settore giovanile della Roma che per un paio d’anni prova a dargli fiducia. Tecnicamente è discreto, ma la dote che emerge su tutte le altre è una capacità di elevazione superiore alla media. Alla quale però aggiunge qualcosa di diverso. Stacca da terra prima degli altri, riesce a restare in alto per qualche secondo in più, fino a quando prende la palla di testa e con una frustata la mette dove vuole. Ovvero molto spesso in porta. Il ragazzo ha le doti anche per giocare a pallavolo ma il calcio è il suo sogno di quando era bambino.
Lì per lì in pochi si rendono conto che questa qualità è rara, la maggioranza pensa quasi ad una abilità da circo. Tanto che viene mandato a fare gavetta in Serie D, nell’Omi Roma, dove in 25 gare segna solo due gol. Il trasferimento alla Triestina in C potrebbe essere un’opportunità da cogliere al volo, però Erasmo non si impone nemmeno tra gli alabardati. Forse è in attesa di una svolta, umana e professionale, che avviene l’anno dopo al Carpi, nuovamente in Serie D. In Emilia trascina la squadra emiliana alla promozione realizzando 13 reti, molte delle quali proprio di testa avvitandosi in cielo per raggiungere quel pallone dove altri non possono arrivare. A Carpi Erasmo Iacovone conosce anche la donna della sua vita, Paola, conquistata con la forza dell’amore di entrambi superando le diffidenze iniziali di una famiglia all’antica.
Siamo nell’anno 1974. Una stagione importante per l’attaccante, che gli permette di fare un piccolo salto in avanti. Il direttore sportivo del Mantova Dante Micheli, uno che di calcio se ne intende, lo scova e lo porta nella squadra biancorossa in C. Dopo anni di A e B, la società virgiliana è piombata nella terza serie ed ogni anno sembra quello buono per risalire la china. Di sicuro in maglia mantovana Iacovone è qualcosa di più di una scommessa: la sua squadra non salirà per altri motivi, lui però in due campionati segna 22 reti e inizia a farsi notare negli ambienti del calcio che conta. Per i suoi colpi di testa ma anche per la furbizia e la rapidità di un giocatore moderno.
Una volta mentre il portiere fa rimbalzare il pallone prima di rinviarlo, lui da dietro glielo soffia con la punta del piede e insacca a porta vuota. Un’altra volta segna con una spettacolare rovesciata che, purtroppo, non viene vista da tutti in quanto la Serie C non è coperta televisivamente come ai giorni nostri. Altrimenti avrebbe fatto il giro del mondo come le prodezze di Maradona, o quasi.
È la stagione 1976-77. Erasmo è al terzo anno con il Mantova e sembra proprio poter essere quello tanto atteso dai tifosi. Infatti la squadra parte fortissimo e nelle prime sei gare ne vince cinque e ne pareggia una, con Iacovone a quota 4 gol. Alla settima giornata però, col Mantova in campo a Crema, Iacovone non è né tra i titolari, né in panchina. La voce si sparge alla svelta: il 24enne centravanti molisano finisce nel mirino del Taranto, che milita in Serie B. La società rossoblù non è mai andata in A e sembra poter essere l’acquisto giusto per far sognare la piazza. Quindi durante la finestra autunnale di mercato Erasmo passa al Taranto. Per la cronaca, il Mantova dopo la sua cessione farà 13 partite di fila senza vittorie scivolando nell’ennesima stagione anonima in Serie C.
Sboccia l’amore tra Taranto ed Erasmo Iacovone
In Puglia Iacovone diventa il condottiero, l’eroe per antonomasia, destinato ad entrare nella storia del club. Capelli ricci, maglia numero 9, si integra subito nel meccanismo tattico di mister Seghedoni. La squadra arriva al nono posto ma instaura da subito un legame forte con la tifoseria. Realizza nove reti e trascina la squadra ed il pubblico ad aprire le porte del sogno più grande, ovvero la Serie A. Non subito, però l’anno successivo rinforzando la rosa e convincendo anche il presidente Fico ad allentare i cordoni della borsa per provare a fare qualcosa di storico. A Taranto Erasmo porta anche Paola, fresca di nozze: una coppia splendida, amata dalla città e altrettanto innamorata di Taranto, per una favola nella favola che potrebbe avere davvero il lieto fine.
Nella stagione 1977-78, dunque, la società ionica non si nasconde: la Fiorentina, nel massimo campionato, si è accorta di Iacovone e lo vorrebbe a suon di denaro. Qualcuno ipotizza addirittura anche l’Inter. Ma il presidente Fico rifiuta ogni proposta, perché prima c’è da completare l’opera e portare il Taranto nella massima divisione. La rosa è all’altezza della situazione: in panchina c’è Eugenio Fantini, che fu a sua volta bomber del Mantova in precedenza. Tra i pali Zelico Petrovic, portiere di esperienza, in difesa elementi come Sergio Giovannone e Giorgio Nardello, a centrocampo l’ex Serie A Franco Panizza, ala destra lo sgusciante Graziano Gori, davanti a fare il fantasista con Iacovone un giovane Franco Selvaggi, che poi diventerà campione del mondo con l’Italia nel 1982.
Insomma il mix sembra proprio perfetto e la squadra sul campo risponde a suon di gol e risultati. La perla è il derby col Bari, sentitissimo da quelle parti: è novembre quando Iacovone regala una delle sue magie: uno scavetto, un pallonetto elegante e quasi lezioso, sul portiere Venturelli, regaòamdp una vittoria (1-0) che vale ben oltre i due punti in palio. Insomma tutto sembra andare alla perfezione o quasi. Per Taranto, i suoi tifosi ed Erasmo. Anche perché la moglie Paola è incinta e a primavera 1978 gli regalerà una bimba. Già scelto il nome, Rosaria. Che poi sarà semplificato in Rosy, in onore della mamma del bomber.
Il Taranto è quarto in classifica in un campionato che regala tre promozioni dirette: ci sono squadroni come Ascoli, Catanzaro, Avellino, Palermo, Cagliari, Sampdoria e la lotta è avvincente. Ma quando si può contare su un attaccante come Iacovone, a segno già 8 volte ed in lizza con Palanca del Catanzaro per miglior cannoniere della categoria, e su un entusiasmo trascinante come quello dello stadio “Salinella” nulla è precluso. In fondo è ancora febbraio e manca quasi un intero girone per coronare il sogno. Il 6 febbraio 1978 e gli ionici affrontano in casa la Cremonese. Sembra una gara alla portata, in quanto gli ospiti sono impelagati nella lotta per la retrocessione in C. Eppure non tutto va come previsto. Il portiere dei lombardi Ginulfi, ex estremo difensore della Roma, para l’impossibile e nega più volte il gol anche a Iacovone.
Finisce 0-0 ed Erasmo ci rimane male, come tutti i bomber che si sentono in colpa per non aver segnato almeno un gol per alimentare la speranza. In fondo non è un dramma, c’è tempo per recuperare. Iacovone però a Taranto è solo perché la moglie è salita a Carpi per verificare se la gravidanza procede nel migliore dei modi. Vorrebbe stare chiuso in casa, dopo essersi sfogato al telefono con la moglie ed è rincuorato perché va tutto bene. Ma qualche amico lo invita ad uscire per bere qualcosa, avendolo visto rabbuiato a fine gara. Erasmo si fa convincere, in fondo cosa sarà mai un brindisi in più con gli amici?
Il meraviglioso gol con cui Erasmo Iacovone ha piegato il Bari
La tragica fine e il lascito del campione
Erasmo sta tornando a casa e non è nemmeno mezzanotte. Guida la Dyane di sua moglie. In lontananza vede i fari dei carabinieri ma non ci bada. Dalla sua destra non viene nessuno, dunque entra nella Statale Ionica. Un tonfo, un boato, poi il buio. La sua automobile viene centrata in pieno da Marcello Friuli, un ladro in fuga, a fari spenti, alla guida di un’auto rubata e inseguito dalla Polizia. Iacovone muore sul colpo, Friuli se la cava con qualche botta e viene piantonato all’ospedale di Taranto. La voce si diffonde nella notte e soprattutto nelle prime ore del giorno dopo. Nessuno ci vuole credere, ma Erasmo Iacovone è morto tragicamente.
All’ospedale alcuni suoi compagni di squadra, essendo venuti a conoscenza della dinamica, vorrebbero farsi giustizia da soli e provano a raggiungere con forza la stanza dov’è ricoverato. Piove a Taranto e sembrano le lacrime di una città che non vuole accettare una fine così ingiusta del loro beniamino e condottiero. È un pianto collettivo, simboleggiato da quello del presidente Fico che non si dà pace, tanto da ripetere ossessivamente:
L’avessi ceduto alla Fiorentina sarebbe ancora vivo. Non me lo perdono.
La storia come sempre fa il suo corso. Il Taranto oltre a perdere per sempre il suo centravanti vede sgretolarsi il suo sogno. Da quarto che era scivola fino all’ottavo posto, la A può ancora attendere. E nei successivi 47 anni la squadra rossoblù non ci andrà nemmeno vicina, dibattendosi tra delusioni e fallimenti, l’ultimo proprio nel 2025. Forse proprio per questo il mito di Iacovone si è rafforzato e la città vive nel ricordo di quel campione che è diventato il loro simbolo. Più forte delle amarezze e dei risultati che non arrivano mai. Appena due giorni dopo la sua morte, lo stadio Salinella per iniziativa proprio del presidente Fico, venne intitolato a Erasmo Iacovone. Accanto al quale, nel 2002, è stata eretta una statua in suo onore realizzata dallo scultore Francesco Trani. Anche la via d’accesso allo stadio porta il suo nome.
E sugli spalti i tifosi ad ogni occasione intonano inni a favore di Iaco, con bandiere e maglie personalizzate. Potrebbe sembrare strano per un ragazzo che, in fondo, ha vissuto solo un anno e mezzo a Taranto. Ma la storia ha fatto la memoria. Lassù, tra i boschi di Capracotta, dove la neve resiste anche oggi, un campo e una lapide continuano a raccontare chi era Erasmo Iacovone.