PSG campione d’Europa in una notte da incubo per l’Inter

Troppo PSG per l'Inter: la squadra di Luis Enrique vince 5-0 ed è campione d'Europa

Per entrambe poteva essere la notte della redenzione, della storia, della gloria eterna. A sfidarsi a Monaco sono state due formazioni completamente differenti, arrivate all’atto conclusivo del torneo al termine di due percorsi agli antipodi. Era Inzaghi contro Luis Enrique, la difesa italiana contro il talento francese, la sfrontatezza dei giovani contro l’esperienza dei più grandi. Alla fine però è stata in tutto e per tutto la notte del PSG campione d’Europa. Una squadra coraggiosa, vibrante ma al tempo stesso straordinariamente tranquilla. E soprattutto meravigliosamente gestita da un allenatore che, per la seconda volta in carriera, ha conquistato con grande merito il triplete.

I prescelti della notte di Monaco

3-5-2 teoricamente titolare ma, nei fatti, quasi inedito per i nerazzurri – scesi in campo meno di cinque volte in stagione con questi undici – formato da Sommer, Bastoni, Acerbi e Pavard dietro, Dimarco, Mkhitaryan, Çalhanoğlu, Barella e Dumfries alle spalle di Thuram e Lautaro. Luis Enrique invece sceglie gli uomini che hanno vinto all’Emirates. Il 4-3-3  è composto da Donnarumma in porta, Hakimi, Marquinhos, Pacho e Nuno Mendes in difesa, la linea a tre in mezzo formata da João Neves, Vitinha e Fabián Ruiz a supporto di Kvaratskhelia, Dembélé e Doué.

Il PSG colpisce due volte

Come prevedibile, l’Inter attende gli avversari con un blocco basso e a comandare il gioco è la squadra francese, completamente in controllo del possesso e dell’avversario. Le difficoltà dei ragazzi di Inzaghi emergono da subito: la superiorità del PSG sulle fasce crea molti problemi, gli esterni dell’Inter faticano terribilmente. Il primo squillo del match è di Doué che, dopo essersi accentrato da sinistra, scarica verso la porta un tiro molto debole.

Poco più tardi, arriva una doccia gelata per i nerazzurri: imbucata di Vitinha per Doué – tenuto in gioco da Dimarco – che mette dentro per Hakimi solo di fronte alla porta sguarnita. 1-0, la firma è proprio del marocchino, ex di turno che non esulta. Al 12’ i francesi hanno già messo il muso avanti, l’Inter inizia a sgretolarsi. Passano otto minuti e arriva il raddoppio parigino firmato da Doué che, complice un’evidente deviazione di Dimarco, batte Sommer.

La superiorità del PSG è disarmante, umiliante. La squadra di Luis Enrique manda in totale confusione un’Inter che, a Monaco, sembra non essere scesa in campo. Pare di assistere ad un monologo teatrale perché l’Inter non è solo chiusa dietro, è anche incapace di risalire la china e di appoggiarsi sugli esterni e sulle punte, cose che invece erano riuscite molto bene nell’epico doppio confronto con il Barcellona. Il resto della prima frazione scivola via come se nulla fosse. La reazione nerazzurra è molto blanda, i due colpi di testa di Acerbi e Thuram non spaventano Donnarumma, che torna nello spogliatoio con i guanti puliti.

Una ripresa da Oscar

Nel corso degli anni e anche in questa Champions, l’Inter ha sempre saputo reagire, rialzare la testa e rimboccarsi le maniche. Nella notte più importante dell’anno, però, evidentemente più di qualcosa è andato storto. Se il primo tempo è stato scioccante, il secondo è deprimente. Nei primi cinque minuti del secondo tempo il PSG crea tre occasioni per chiudere definitivamente un incontro già fortemente indirizzato. I cambi di Inzaghi, che inserisce Zalewski e Bisseck, non servono a nulla. I nerazzurri sono andati in cortocircuito, i giocatori del PSG sembrano giocare al campetto sotto casa e, nell’ultima mezz’ora, danno vita a uno spettacolo che non si era mai visto.

Al 63’ Doué, al termine di un’azione di una bellezza rara, beffa Sommer sull’angolo più vicino e sigla il 3-0 che chiude i giochi. Da quel momento la finale diventa un’esibizione. Subentra Barcola nella solita staffetta con Doué e poco dopo il suo ingresso spara alto sopra la traversa. Passano appena tre minuti e ci pensa Kvara a firmare il poker: discesa sulla sinistra, controllo, sinistro sul primo palo che vale il 4-0 sul tabellone dell’Allianz Arena. Il georgiano, seguito dai suoi compagni pazzi di gioia, fa festa con il pubblico arrivato da Parigi.

All’86’ arriva anche la rete del giovanissimo Mayulu. Apoteosi parigina. Il francese sembra non credere ai suoi occhi, ma invece è tutto vero, il classe 2006 ha siglato il 5-0, il gol della storia. L’arbitro non concede – giustamente – recupero, come a voler suggellare la resa senza condizioni dell’Inter. Scoccato il 90’, inizia dunque la festa del PSG, arrivato dopo una lunghissima rincorsa, con merito, sul tetto d’Europa.

Fine di un ciclo?

Un successo talmente netto da risultare difficile da commentare. Quando si assiste ad una vittoria per 5-0, soprattutto in una finale, contano tanto i meriti di una squadra quanto i demeriti dell’altra. Tra le due formazioni non c’è sicuramente la distanza che si è vista in campo. Si potrebbe discutere a lungo della pessima prestazione del blocco basso nerazzurro che ha completamente fallito, rimanendo in balia del PSG per 90’. Si potrebbe parlare degli scambi di posizione del PSG, un gruppo in costante movimento, come schegge impazzite che hanno abbinato qualità e un pressing alto forsennato, capace di manipolare la difesa dell’Inter, costringendola a sbagliare sistematicamente.

Perdere 5-0 una finale di Champions però implica aver giocato senza raziocinio e senza cuore. Quella passione che aveva portato i nerazzurri alla clamorosa rimonta con il Barcellona e che ci si aspettava potesse venir fuori nel secondo tempo di ieri sera. Quasi tutti gli interisti erano in campo contro il City due anni fa e proprio da loro, i veterani di un gruppo straordinario, probabilmente ci si sarebbe aspettata quella forza di volontà che serviva per prendersi la coppa. L’Inter di ieri è parsa spenta e confusa.

Troppo facile puntare il dito su Inzaghi, probabilmente anche ingiusto considerando i percorsi europei compiuti con la rosa a disposizione. Difficile invece capire cosa sia passato nella mente dei giocatori interisti, in quella che potrebbe essere stata l’ultima chance disponibile in Champions con questo gruppo. Forse hanno sentito una pressione che in Turchia era tutta dalla parte del City. Il calcio però è anche questo, è psicologia che va oltre l’aspetto tecnico e l’Inter sfortunatamente l’ha imparato a proprie spese. Rimangono un grande quadriennio e tanti bei ricordi. E senza dubbio resta il rammarico per aver perso una coppa che, adesso che si parla di un addio di Inzaghi e forse di rivoluzione, è lontana anni luce.

Le parole dei campioni e degli sconfitti

Visibilmente amareggiato, Giuseppe Marotta cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno:

L’avversario ci ha surclassato sotto ogni punto di vista, ma il punteggio di questa sera non deve cancellare l’operato stagionale. Siamo dispiaciuti per la prestazione e lo siamo anche con i nostri tifosi, ma dobbiamo dare grande merito al PSG. Una serata non cancella quattro anni, presto incontreremo Inzaghi per parlare.

Inzaghi, per quanto possibile, ha cercato di rincuorare i suoi:

Sono il primo colpevole e so che stasera non eravamo in noi, ma sono orgoglioso di questi ragazzi. Loro sono stati più bravi, più forti, noi purtroppo non siamo riusciti a far meglio. L’approccio sbagliato ha facilitato i loro compiti, ma non dobbiamo scordarci quanto di buono fatto in questi anni. Chiudiamo con zero titoli, ma rimaniamo con la testa alta.

Dopo anni sotto esame, Gianluigi Donnarumma può finalmente festeggiare:

Nelle lacrime di fine partita c’è tutto. Mentre giocavamo con il City eravamo a un passo dall’eliminazione, siamo stati bravi a reagire e ora ci godiamo la serata e la vittoria. Il mister ci lascia sempre tranquilli prima delle gare e questo ci aiuta molto, è stato bravo a trasmettere la sua filosofia e a preparare la finale al meglio. Il rinnovo? Vedremo, ora penso alle due partite con la maglia azzurra che sono fondamentali.

Comprensibilmente emozionato, Luis Enrique si gode la vittoria nel ricordo della piccola Xana:

La preoccupazione maggiore era la gestione della pressione della città e dei tifosi, ho provato quindi ad abbassarla per arrivare in condizione ottimale alla finale perché spesso il nervosismo rovina le prestazioni. Abbiamo lavorato duramente per creare questo percorso e per migliorare la squadra, sono cresciuti tutti. Mia figlia? Sta al mio fianco da quando ci ha lasciati fisicamente, sia nel bene che nel male. Ricorderò sempre tutto ciò che mi ha dato.

PSG campione d’Europa da record, la nascita di un mito

Conosciamo bene la storia recente del PSG. Da quando è subentrata la proprietà qatariota sono arrivati molti titoli sul suolo nazionale, ma l’obiettivo principale è sempre stato la Champions. Spese folli, stipendi faraonici e squadre da videogioco, tuttavia, non sono serviti a nulla nel corso di questi anni. Con rose più blasonate di quella attuale, i parigini hanno tentato la scalata europea, ma è sempre mancato qualcosa.

Tanti anni di fallimenti sono serviti a capire ciò che a Parigi non era così scontato, cioè che il calcio è un gioco di squadra e non una collezione di figurine. Un concetto chiaro, semplice, lineare, che Luis Enrique ha estremizzato. Il tecnico asturiano ha sempre messo il gruppo davanti ai singoli, soprattutto ha sempre anteposto gli uomini ai giocatori e ieri sera ha vinto grazie a una formazione di ragazzi che si sono trasformati in uomini.

Quella del PSG è una vittoria paradossale perché arriva dopo aver fatto fuori tutte le superstar che hanno vestito la maglia parigina in passato. È un successo rivoluzionario, arrivato sfruttando due terzini che agiscono da esterni alti e che hanno qualità da registi, ma anche grazie a un centrocampo a tre composto da mezze ali e trequartisti. La qualità e la tecnica al centro di tutto, ma soprattutto l’estetica che affianca la sostanza, con una costante ricerca di una “bellezza utile” come mantra.

Per il PSG, però, è anche una notte storica, da record, e lo è per molteplici motivi. Il 5-0 con l’Inter è il più grande scarto di sempre in una finale internazionale per club, nonché la seconda volta su due in cui un club francese si impone all’ultimo atto contro un’italiana. Ed è il trionfo di quella che dagli ottavi in poi è la squadra con l’età media più bassa. A tal proposito, impossibile non menzionare Doué, il Man of the Match che a soli venti anni è diventato il più giovane a siglare una doppietta in finale di Champions League/Coppa dei Campioni.

Chiusura su Luis Enrique e anche sui curiosi appuntamenti con la cabala. Il tecnico ha vinto la sua prima Champions in Germania, nel 2015, con il Barcellona, sempre contro una squadra italiana. Si è ripetuto nello stesso Paese, a distanza di dieci anni e ancora una volta completando il triplete, il primo nella storia del calcio francese. Inoltre vige ancora una volta la legge di Monaco, la città in cui vince chi non l’ha mai fatto prima (Nottingham Forest nel 1979, Olympique Marsiglia nel 1993, Borussia Dortmund nel 1997, Chelsea nel 2012). A trionfare però è stato soprattutto il calcio che si nutre di idee, che valorizza l’immaginazione e affida il futuro alle nuove generazioni e agli innovatori come il tecnico asturiano, che con questa masterclass ha portato i suoi ragazzi nell’olimpo del football.

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