2025-26, Anno Zero: i motivi del valzer delle panchine in Serie A

Il valzer delle panchine in Serie A di questo finale di stagione è stato uno dei più articolati dell'ultimo periodo.

La stagione 2024-25 della Serie A è stata caratterizzata da una notevole instabilità tecnica. Un vortice di cambi di allenatore ha coinvolto le squadre d’alta classifica e quelle impegnate nella lotta salvezza. Instabilità che si è protratta anche dopo la fine del campionato, con un numero anomalo di club che ha optato per il cambio della guida tecnica. Questo fenomeno ha suscitato interrogativi sulle cause profonde di tale volatilità e sulle implicazioni per il futuro del calcio italiano.

Chi ha cambiato in questo valzer delle panchine in Serie A

Al termine della stagione 2024-25, ossia la finale di Champions League del 31 maggio scorso, praticamente tutte le squadre di alta classifica – oltre a un discreto numero di altre formazioni di Serie A – hanno confermato la volontà di cambiare. Oltre a Parma e Inter, entrambe coinvolte nella complessa situazione legata a Cristian Chivu, successiva alla pesante sconfitta nerazzurra nella finale di Champions e all’uscita di scena di Simone Inzaghi, anche Milan, Lazio, Roma, Atalanta, Fiorentina, Torino e Cagliari hanno cambiato tecnico. A loro si sono aggiunte Cremonese e Pisa, neopromossa dai cadetti e assente dalla massima serie da 34 anni, e infine il Lecce, ultima in ordine di tempo a interrompere il rapporto con il proprio allenatore.

Senza dimenticare altre due big del nostro calcio, ovvero il Napoli campione d’Italia in carica e la Juventus, con la panchina in bilico fino a pochi giorni prima della compilazione dei calendari per la stagione 2025-26 e le cui vicissitudini sono state fortemente intrecciate. Nella nostra analisi abbiamo riconosciuto tre motivazioni principali che hanno portato ad un così alto numero di cambi in panchina: un diffuso modello di gestione tecnica a breve termine (spesso legato a una discutibile capacità gestionale), la presenza ingombrante del nuovo Mondiale per Club FIFA e… Antonio Conte.

Modelli di gestione a breve termine

Nel calcio moderno, la pazienza delle dirigenze è sempre più limitata. La necessità di ottenere risultati immediati spinge i club a cambiare rotta al primo segnale di difficoltà, nella speranza di una svolta rapida. Per motivi diversi, in questa fattispecie rientrano i casi di Milan, Roma, Lazio e Fiorentina.

Il Milan, dopo aver esonerato Paulo Fonseca poco prima della Supercoppa in Arabia Saudita (poi conquistata dai rossoneri), ha scaricato anche Sergio Conceição al termine del campionato, di fatto sconfessando un intero anno di decisioni tecniche e societarie. La scelta è ricaduta su Massimiliano Allegri, che già aveva allenato i rossoneri dal 2010 al 2014. La società ha bruciato sul tempo altre possibili pretendenti al tecnico di Livorno, inserendo il Milan nel novero delle squadre che sono alla ricerca di una decisa inversione di marcia rispetto all’annata appena conclusa. Allegri rappresenta l’usato sicuro, un uomo d’esperienza in grado di gestire spogliatoi complicati come si è dimostrato quello del Milan nella passata stagione.

Negli ultimi tre anni ben quattro allenatori hanno occupato la panchina del Milan, sintomo di idee non proprio chiarissime da parte della governance tecnica rossonera, spesso “in difficoltà” nel dover prendere decisioni su come costruire l’organico e sulla scelta della guida a cui affidarlo. Il risultato è stato un’annata disastrosa sia sotto il profilo tecnico che dei risultati e, peggio ancora, sotto il profilo economico-finanziario.

Il caso della Roma è ancora più eclatante: cinque tecnici negli ultimi due anni, tre nel corso dell’ultimo campionato oltre a un casting iniziato già durante la stagione e portato avanti dallo stesso Claudio Ranieri, che si è seduto sulla panchina dei giallorossi già sapendo che sarebbe stata la sua ultima avventura in panchina. Anche la Roma si dimostra ancora incapace, a livello dirigenziale, di delineare un progetto solido e continuativo. Scelte sbagliate a livello di personalità e di gestione del gruppo, che si ripercuotono anche sulla valorizzazione della rosa a disposizione del tecnico. I Friedkin alla fine hanno optato per Gian Piero Gasperini, che con l’Atalanta ha concluso un ciclo di nove anni che ha riscritto la storia recente del club.

La speranza è di riuscire ad aprirne uno analogo nella capitale, anche se in questo caso sono le pressioni della piazza a recitare un ruolo fondamentale nel mettere in discussione le decisioni intraprese a inizio anno. Proprio come le proprietà precedenti, l’attuale società tende a fidarsi troppo degli umori del tifo e ad assecondarne le paturnie, fino a sconfessare progetti partiti con tutte le credenziali.

Simile il discorso per quanto riguarda la Lazio. Sull’altra sponda del Tevere siamo al quarto allenatore in due anni, sebbene in questo caso si tratti di un ritorno. Maurizio Sarri ha preso il posto di Marco Baroni alla guida dei biancocelesti dopo poco più di un anno dal suo esonero (fu sostituito con Tudor nelle ultime partite della stagione 2023-24). In questo caso sembra davvero un cortocircuito gestionale senza soluzione, una scelta di ripiego, resa ancora più miope dalla recente interruzione del rapporto tra il tecnico di Figline e la società di Lotito.

A Firenze il cortocircuito è probabilmente ancora più inspiegabile. Dopo gli anni di Vincenzo Italiano, con due finali europee raggiunte in due anni, la scorsa estate la panchina è stata affidata a Raffaele Palladino. L’annata appena trascorsa non sembrava essere stata nemmeno tra le peggiori, con il miglior bottino di punti degli ultimi dieci anni (seconda miglior prestazione in termini di punti dall’annata 2012-13 con Vincenzo Montella in panchina) e il raggiungimento della semifinale di Conference League. Alla vigilia del ritorno della semifinale europea, la dirigenza aveva ufficializzato un biennale che sembrava un segnale di continuità. Ma al termine del campionato la doccia fredda: Palladino si dimette. Una mossa dettata, secondo i rumors post-eliminazione europea, dallo scarso gradimento del tecnico da parte dei vertici dirigenziali, che apre interrogativi sull’opportunità del recente rinnovo.

L’ingombrante presenza del Mondiale per Club FIFA

Tra le cause che hanno portato a una valanga così imponente di cambi in panchina possiamo sicuramente annoverare la nuova competizione indetta dalla FIFA, che ha preso il via lo scorso 15 giugno: il Mondiale per Club. Le date in cui questa competizione si inserisce hanno condizionato non poco sia le opzioni a livello di mercato (la FIFA ha aggiunto una finestra di mercato ad hoc per consentire alle squadre partecipanti, ad esempio, di risolvere i prestiti), sia quelle per la guida tecnica.

In particolare, l’approcciarsi della competizione ha obbligato molte delle squadre che vi partecipano a “muoversi” in anticipo rispetto alle proprie gestioni tecniche, bloccando i propri tecnici o costringendo al cambio dopo la fine degli impegni stagionali, come nel caso del Real Madrid. Ciò ha quindi generato un “effetto valanga”, impedendo ai top club del nostro campionato di andare a cercare tecnici di alto profilo che sarebbero potuti uscire dalle partecipanti al Mondiale per Club. La prima conseguenza è che il mercato allenatori per le italiane si è ristretto a profili già noti nel panorama nazionale, riducendo la gamma di soluzioni e spingendo i club alla ricerca di profili emergenti o al tentativo di strappare l’allenatore ad altri club italiani (vedi Roma e Inter). Tra le italiane, chi ha avuto più svantaggio da questa nuova competizione sono state sicuramente Inter e Juventus.

L’Inter e Simone Inzaghi

Che la situazione economico-finanziaria dell’Inter non sia tra le più floride è ormai fatto noto. Ogni anno la dirigenza nerazzurra riesce però ad allestire una squadra competitiva, grazie anche al fiuto e alle capacità dirigenziali di Beppe Marotta. La seconda sconfitta in finale di Champions negli ultimi tre anni ha però fatto vacillare Simone Inzaghi, che ha scelto di chiudere il ciclo nerazzurro per accettare l’offerta milionaria dell’Al-Hilal. La decisione di Inzaghi ha preso in contropiede i nerazzurri, convinti che il tecnico di Piacenza avrebbe onorato l’estensione contrattuale firmata. Al punto da spingere la dirigenza a individuare in Cristian Chivu del Parma il suo successore.

Non è chiaro se il contatto tra Simone Inzaghi ed il club arabo sia avvenuto addirittura prima della finale di Champions – secondo alcuni rumors, Inzaghi avrebbe persino tentato di convincere Bastoni e Barella a seguirlo nella sua avventura in Medio Oriente. Sta di fatto che la società nerazzurra si è fatta trovare impreparata all’addio e, complice la concomitanza del Mondiale per Club, si è dovuta accontentare di un allenatore privo del pedigree richiesto. Tanto è vero che lo stesso Chivu aveva iniziato il suo percorso nelle giovanili dell’Inter ma senza aver mai realmente convinto la società. Anche in questo caso i tempi stretti sono stati un fattore determinante. Doversi presentare a questo nuovo appuntamento ha di fatto ridotto quella del tecnico a una decisione frettolosa e quasi casuale, quasi fosse uno “sfogliare la margherita”.

L’affaire Antonio Conte alla base del valzer delle panchine in Serie A

Antonio Conte è probabilmente l’allenatore più adatto – e più conosciuto – per la sua capacità di motivare una squadra e farla rendere anche oltre i propri limiti. Una capacità che gli è valsa negli anni la fama di tecnico vincente al primo colpo (one and done, per dirla alla maniera americana). Il tecnico salentino, fresco vincitore con il Napoli dello storico quarto scudetto partenopeo, è stato al centro di un vero intreccio di mercato già dai giorni precedenti la fine del campionato. Con lo scudetto ancora da assegnare, si rincorrevano le voci che lo vedevano vicino a lasciare Napoli per presunte divergenze con il presidente Aurelio De Laurentiis in sede di mercato (la questione irrisolta della sostituzione di Kvaraskhelia a gennaio ha lasciato più di uno strascico).

Tra le sue pretendenti si facevano i nomi del Milan, ma soprattutto della Juventus. Quando tutto lasciava presagire una separazione in seguito alla conquista dello scudetto, come un fulmine a ciel sereno la società campana ha ufficializzato il proseguimento del rapporto di lavoro con Conte e un conseguente rilancio nelle ambizioni. La decisione ha spiazzato completamente la principale inseguitrice di Conte, la Juventus appunto, la cui dirigenza si trovava già con la questione Giuntoli da affrontare. Un problema concluso con la separazione consensuale con l’ex responsabile dell’area sportiva.

I bianconeri, dopo un’annata complicata culminata con l’esonero a stagione in corso di Thiago Motta, si sono quindi trovati in mezzo al guado, indecisi se confermare Igor Tudor sulla panchina o provare a sondare altri profili. Il tempo a disposizione per decidere cosa fare e come è stato talmente risicato che, per non rischiare di trovarsi con un pugno di mosche, la dirigenza ha optato per la conferma del tecnico croato sia per l’imminente Mondiale per Club che per il prossimo campionato.

Quale Serie A ci dobbiamo aspettare

Alla luce di questa vera e propria rivoluzione, il Napoli è senza dubbio la squadra che esce più rafforzata. La prosecuzione del rapporto con Conte e gli investimenti che De Laurentiis ha promesso proiettano i partenopei in pole position per la prossima stagione. Per tutte le altre concorrenti siamo letteralmente ai punti di domanda: ciascuna formazione rappresenta oggi un rebus tecnico e gestionale. L’incertezza su quelli che saranno i possibili risultati di Milan, Roma, Lazio, Juventus, Inter e Atalanta – con l’ingaggio ufficiale di Ivan Jurić, reduce dalla peggior stagione in carriera dopo i due esoneri di Roma e Southampton – consegnano un campionato che legittimamente potrà essere imprevedibile e caotico.

Anche nei bassifondi verranno meno alcune certezze tra le neopromosse e le squadre che hanno lottato fino alla fine per ottenere la salvezza. I cinque cambi in panchina aggiungeranno variabili imprevedibili alla lotta per mantenere la massima serie. Ne beneficerà probabilmente lo spettacolo, ma le società, in quanto imprese, avrebbero certamente preferito un copione più stabile.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *