Il Mondiale 2026 ci dirà il valore del calcio in America

Il calcio in America è in grande sviluppo e a 32 anni dall'ultimo mondiale è pronto a far vedere tutti i suoi progressi.

Il sole sta battendo ancora forte sul Rose Bowl di Pasadena quando Roberto Baggio si incammina lentamente verso il dischetto dal quale dovrà tirare un rigore decisivo per le sorti della nazionale italiana. È il 17 luglio 1994, è la finale della quindicesima edizione dei Mondiali, una finale alla quale gli azzurri sono arrivati principalmente per merito suo, per quegli sprazzi di classe cristallina che hanno saputo convertire in vittorie l’applicazione spesso farraginosa degli schemi studiati da Arrigo Sacchi. È stanco Baggio, costretto per l’ennesima volta nella sua carriera a dover fare i conti con un fisico che non è mai stato all’altezza della sua grandezza tecnica.

Paga la scintillante doppietta inflitta alla Bulgaria di Stoichkov in semifinale con un infortunio muscolare che, se rimediato in campionato, lo avrebbe tenuto lontano dal campo due settimane. Ma Baggio e l’Italia sono in America, sono in finale di Coppa del Mondo e non essere presenti alla partita che si sogna da una vita e che probabilmente non ci sarà più l’occasione di giocare non è un’opzione che si può considerare. Anche se, col senno di poi, al Baggio opaco di quel Brasile-Italia, trascinatosi noiosamente ai calci di rigore, avrebbe avuto più senso preferire Gianfranco Zola, fisicamente più fresco del Divin Codino e voglioso di riscatto dopo l’ingiusta espulsione subita negli ottavi contro la Nigeria.

Roberto arriva finalmente sul dischetto. È difficile, per un comune mortale, immaginare cosa provi il nostro numero dieci, offuscato dal caldo e da quel muscolo traditore che non gli ha permesso di esprimersi nei centoventi minuti come avrebbe voluto e potuto, pressato dal peso dell’errore: se sbaglia, l’Italia ha perso. Dei mille modi per fallire un rigore, dai suoi piedi raffinati esce quello più improbabile: un tiro che si suicida, altissimo, sopra la traversa. Un’esecuzione tipica per un difensore dai piedi ruvidi, costretto dalle circostanze a confrontarsi con gli undici metri, non certo per il calciatore che l’anno prima aveva vinto il Pallone d’Oro. Ma fu così che USA ‘94 si consegnò definitivamente alla storia.

Making soccer history

Una storia nella quale gli Stati Uniti non volevano entrare in punta di piedi, tanto da utilizzare un claim per la promozione di quell’edizione dei mondiali che era una dichiarazione d’intenti: Making Soccer History. Magliette, tazze da caffè (americano), spillette, una serie infinita di gadget: nella vasta operazione di merchandising messa in piedi per sostenere l’evento, quell’affermazione si ripeteva ovunque, forse ridondante agli occhi degli appassionati europei che nutrivano non pochi dubbi sul fatto che il calcio potesse attecchire in Nord America.

Uno scetticismo figlio dell’esperienza vissuta dal soccer negli USA una ventina d’anni prima. Anche allora, confidando sulle enormi potenzialità del mercato, si era provato a impiantare il calcio con un’operazione di spinta dall’alto verso il basso che prevedeva l’inserimento di campionissimi in età matura nelle squadre della North American Soccer League. Un esperimento fallito, al punto che, nel 1994, negli Stati Uniti una lega di primo livello non esisteva: la Major League Soccer (MLS) avrebbe organizzato il suo primo torneo nel 1996 proprio grazie ai buoni risultati ottenuti dal Mondiale. Un Mondiale che la Fifa, allora presieduta da Joseph Blatter, aveva caldeggiato proprio per via delle grandi potenzialità economiche che rappresentava per il pallone un mercato paradossalmente ancora vergine come quello nordamericano. Tanto da spingere a tutti i costi un “nemico” come Maradona a partecipare alla manifestazione, salvo poi disfarsene non appena la sua presenza divenne troppo ingombrante.

Una Coppa del Mondo di successo avrebbe potuto essere la pista di rilancio ideale per la creazione di una lega nazionale. E questo fu USA ‘94: una grande kermesse che fece scoprire al popolo a stelle e strisce il valore del calcio nel resto del mondo. Grazie anche a due fattori che risultarono determinanti affinché il soccer mettesse radici: il buon andamento della squadra a stelle e strisce e la presenza dei latinos. La nazionale allenata da Bora Milutinović superò il girone eliminatorio e, agli ottavi, si arrese solo al Brasile che sarebbe diventato campione, giocando ad armi pari. Per un pubblico sciovinista come quello degli USA fu un motivo di orgoglio. Inoltre, la presenza in crescita nella società yankee della popolazione di origine sudamericana permise a questo sport di essere visto, commentato e tifato come non era potuto succedere in precedenza, risultando un elemento di promozione naturale e gratuita all’interno del tessuto sociale.

La MLS

La prima stagione della MLS nel 1996 e lo sviluppo che ha avuto nei decenni successivi rappresentano l’eredità concreta di quel Mondiale. A più di trent’anni di distanza, quel claim è diventato qualcosa di più: una dichiarazione d’intenti che ha trovato compimento, rilanciando (forse sarebbe meglio dire: lanciando effettivamente) il calcio negli Stati Uniti. Già, perché dal 1996 ad oggi, la MLS ha innanzitutto raggiunto un livello consolidato di presenza nel panorama degli sport nazionali. Certo, football, basket, baseball e hockey su ghiaccio sono più seguiti, ma il pallone ha trovato uno spazio prima stabile, poi sempre più dinamico a livello di squadre (ad oggi conta trenta franchigie), volume d’affari generato (il salary cap è passato da 1,9 milioni di dollari del 2006 ai 5,9 di quest’anno) e stadi dedicati.

Inizialmente, infatti, le squadre dovevano giocare su terreni di gioco presi in prestito da football americano e baseball mentre oggi l’impianto destinato alle sole partite delle squadre di MLS è considerato un fattore chiave di sviluppo. Il New York City Football Club, di proprietà della holding City Football Group, la stessa che possiede, tra le altre, il Manchester City e il Palermo, gioca le proprie partite casalinghe allo Yankee Stadium, struttura multifunzionale orientata al baseball. Ma nel suo futuro (entro il 2027) è prevista la costruzione di un impianto specifico per il calcio. Una realtà che, nel 2024, era già consolidata per ventuno club della MLS.

La nazionale di calcio maschile

Alla crescita del movimento nazionale in termini di business forse non è corrisposta una crescita proporzionale dal punto di vista tecnico, almeno per quello che riguarda la nazionale maschile, visto che quella femminile è al primo posto del ranking FIFA ed è la più titolata del mondo. La USMNT (U.S. Men’s National Team), guidata oggi da Mauricio Pochettino, ha vissuto negli ultimi anni momenti difficili, forse più per l’incapacità di compiere il salto di qualità atteso che per una reale carenza di talento. La recente sconfitta rimediata contro il Messico nella finale della Gold Cup non è stato il miglior segnale in vista dell’appuntamento del prossimo Mondiale, che potrebbe rappresentare per il soccer una nuova pietra miliare come lo fu USA ‘94. A patto, ovviamente, di ottenere un buon risultato, come sarebbe raggiungere un quarto di finale o battere una nazionale in passato campione del mondo.

Traguardi che potrebbero essere sostenuti dai media e sollecitare lo spirito nazionalista americano. Ma la selezione di Pochettino può ambire a risultati di quel tipo? Difficile dirlo in un torneo come il Mondiale, nel quale sono molti i fattori che influenzano i risultati: capacità di adattamento allo stress della competizione e al clima torrido dell’estate, infortuni, calendario, casualità. Paragonando, però, la rosa guidata da Bora Milutinović con quella del tecnico argentino, l’innalzamento della qualità tecnica è evidente. Dei ventidue che parteciparono a USA ‘94, solo sei giocavano in Europa, peraltro senza brillare: Harkes (Derby County), Stewart (Willem II), Ramos (Betis Siviglia), Wegerle (Coventry), Wynalda (Saarbrücken) e Sommer (Luton Town). Dopo il mondiale, il difensore centrale Alexi Lalas fece due stagioni accettabili a Padova, anche se riuscì a farsi notare soprattutto per il look stravagante e la sua passione per la musica.

Oggi, dei convocati per la Gold Cup, una quindicina milita in Europa, con punte di eccellenza rappresentate da Christian Pulisic e Weston McKennie, titolari in squadre blasonate come Milan e Juventus. Segno che l’attività di base ha funzionato. Del resto, che il soccer sia molto praticato dai giovani americani è un dato. Ma il fatto che il movimento sia riuscito a esprimere elementi capaci di competere ai massimi livelli globali significa che è stato fatto un lavoro organizzativo e tecnico capace di ottimizzare le risorse disponibili.

La finale integrale della Gold Cup 2025: dopo l’iniziale vantaggio con Chris Richards, gli USA sono stati ribaltati dai gol di Jiménez e Álvarez

Il futuro del calcio in America

Questo decennio sarà fondamentale per capire se il soccer resterà una promessa o diventerà finalmente sistema e per definire il futuro del calcio in America, tra la competizione interna con gli altri sport radicati nella cultura americana – che, tra l’altro, a livello di calendari costituiscono una sorta di cartello, dal momento che è difficile trovare una finestra temporale nel corso dell’anno che non sia occupata dai grandi appuntamenti di football, basket, baseball e hockey – e quella, a livello internazionale, costituita dai mega investimenti dell’Arabia Saudita. Se i Mondiali del 1994 hanno posto le basi della storia del soccer, quelli del 2026 indicheranno la direzione verso la quale potrà evolvere.

Previsioni? Difficile farne. Fintanto che il calcio non avrà posto radici profonde nel tessuto sociale americano (cosa che dipende soprattutto dall’interesse della popolazione latina e dallo sviluppo della United Soccer League, molto attiva a livello di coinvolgimento dei territori con i suoi campionati di livello secondario e dilettantistici), il suo successo sarà garantito solo se continuerà a generare fatturati e utili in crescita costante.

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