Franco Scoglio, lo Special One che amava il mare

Franco Scoglio è stato un grande allenatore e comunicatore prima ancora dell'era social.

Lipari, Messina, Reggio Calabria, Genova e anche Tunisi: luoghi di mare che appartengono alla geografia del cuore di pochi. In questo caso di un personaggio in particolare, Franco Scoglio: per tutti Il Professore, una sorta di José Mourinho degli anni Ottanta, legatissimo ai luoghi in cui solo le onde potevano placarne l’impeto. “Scoglio senza mare non sta bene”, disse una volta. Colto e polemico, innovatore insofferente alla norma, capace di rovesciare gli schemi.

Gli inizi di Franco Scoglio

Partito dai gradini più bassi del calcio come collaboratore di Nedo Sonetti, prese ben presto la personale via che lo ha portato dalla Gioiese all’Akragas, poi alla Reggina, passando per la sua Messina (“Io e i miei bastardi”, ovvero i fedelissimi Catalano, Bellopede, Orati e un certo Totò Schillaci, con cui sfiorò la storica promozione in A) e quindi il grande amore rossoblù. Genova ha rappresentato gran parte della vita di Scoglio: fin dall’arrivo nell’estate del 1988, quando addirittura minacciò il presidente Spinelli di dimettersi dopo poche settimane.

Mi compri Signorini e le prometto che andremo in Serie A con 50 punti.

L’esausto patron lo acquistò dalla Roma e il Grifone vinse il campionato addirittura a quota cinquantuno, costruendo le fondamenta di una grande squadra basata anche su Ruotolo, Eranio, Torrente e Nappi. Il Professore, che ammirava il calcio sovietico del Colonnello Valeriy Lobanovskyi, approdava in Serie A nell’anno dell’avvicinamento ai Mondiali di Italia ’90. Al raduno precampionato si presentò subito gonfiando il petto e mostrando la sua innata sicurezza:

Genoa da salvezza? Cambi allenatore. Non sono disposto ad accettare la mediocrità.

Un modo per prendersi subito le attenzioni anche di chi lo conosceva ancora poco, dopo la sua lunga gavetta tra C e B:

Non amo nascondermi dietro la nebbia delle frasi fatte, io mi comprometto. Ai miei colleghi non piace fare così, ma io me ne strafotto perché sono diverso e ci tengo alla mia diversità.

Un biglietto da visita in stile “Ma io non sono pirla”, come la frase che il già citato Special One portoghese disse alla sua prima conferenza stampa italiana molti anni dopo, nel 2008.

Nel nome del Genoa, fino alla fine

Scoglio era amatissimo dal popolo genoano anche per le sue stilettate ai cugini cittadini:

Quest’anno la Sampdoria ha vinto la Coppa del Nonno. Ha battuto il Grasshoppers, ma poi il Grasshoppers ha perso contro il Lugano. Noi il Lugano lo abbiamo battuto in amichevole.

Oppure il must “Io odio la Sampdoria e non perdo occasione per ribadirlo”. Lasciati i rossoblù, Il Professore si è spento. E non poteva essere altrimenti: “Scoglio senza mare non sta bene”, come dicevamo all’inizio. Sedotto e abbandonato da Juventus e Napoli, eccolo sulla panchina del Bologna: fece mettere fuori squadra il giocatore Egidio Notaristefano (“Ragazzo mio, tu porti iella”), la squadra non decollava e così il 21 ottobre 1990 l’allora presidente, Gino Corioni, decise di licenziarlo. Ci riprovò l’anno dopo con l’Udinese, accettando di tornare in Serie B: tutto bene fino a dicembre con la squadra nelle primissime posizioni, poi il declino e un altro esonero nel febbraio 1992. Il successivo anno sabbatico non mutò il carattere di Franco Scoglio:

Star fuori dal giro è traumatico, ma presto tornerò e sarò ancora più presuntuoso e arrogante di quanto lo fossi nei giorni felici con Messina e Genoa. Gli allenatori di oggi sono tutti dei Signor Nì: dicono sempre le stesse cose. Ne salvo pochi, come Mazzone, Mondonico, Galeone, Zeman e Trapattoni. Cosa penso di Fabio Capello? Prima di dire che è bravo, lo vorrei vedere sulla panchina del Cagliari o dell’Ascoli.

Torna in pista nella prima parte del 1993 salvando la Lucchese in B, quindi nel dicembre dello stesso anno torna al Genoa in Serie A:

Se fallirò la salvezza sarà solo colpa mia, della tifoseria non parlo perché la sento mia. Io dopo il Grifone di Bagnoli? Con Skuhravy, Bortolazzi e Branco sarei andato anche io in Coppa Uefa.

Missione compiuta, il Grifone mantiene la categoria ma il rapporto col presidente Aldo Spinelli è sempre altalenante: “Non parlo di scudetti o coppe, l’obiettivo è finire almeno un punto davanti alla Sampdoria”, disse Scoglio all’alba della nuova stagione. Ad agosto il clima è infuocato, non solo per le temperature estive liguri, ma perché gli viene imposto l’attaccante Kazuyoshi Miura: scelta di marketing che frutterà alla città di Genova – non solo al club, dato che quell’anno arrivarono ben 4.174 giapponesi in Liguria – tanti introiti in termini di sponsor e visibilità. Il Professore, come al solito, è oltre questi schemi:

Il giapponese? Un centravanti esotico, una nota di colore, praticamente una macchietta.

Dopo promesse di mercato non mantenute (sognava Di Canio, Jokanović e Klinsmann), Scoglio si dimette dopo sei mesi e la squadra retrocede in B a seguito dello spareggio-salvezza perso contro il Padova sul neutro di Firenze, ai calci di rigore. Tornò anni dopo su quella stagione e, in particolare, sul calciatore giapponese:

Non lo utilizzavo perché lo ritenevo inutile, yen o non yen. Miura? Ma chi è Miura? Avevo un gran mal di testa quel periodo, ogni volta che mi giravo c’era un giapponese pronto a fotografare o riprendere.

Lasciato il Genoa, accetta il Torino nel 1995 (dichiarando che in squadra c’erano solo tre leader – Rizzitelli, Cravero e Pelè – mentre gli altri erano solo comprimari) e tocca l’apice bloccando il grande Milan di Capello (“Come siamo riusciti nell’impresa? Secondo voi come fa una 500 in città ad arrivare prima di una Ferrari? Grazie al traffico. E io oggi ho creato il traffico”) ma viene nuovamente sollevato dall’incarico nel marzo 1996. Vive esperienze altalenanti tra Pescara, Cosenza e Ancona, abbraccia la Tunisia nel 1998 diventandone il commissario tecnico. Stravolge ogni abitudine possibile, ma raggiunge grandi traguardi e la stampa locale lo incensa come il migliore.

A Tunisi vivo da Re, ho una villa con cameriera e autista. Sono stato tre volte ad Hammamet a casa di Craxi, è stato un grande statista. Lasciare la Tunisia? Lo farei solo se mi chiamasse il Genoa, è la mia inguaribile malattia.

E così sarà. Il mare chiama, la Lanterna idem: Scoglio lascia davvero una Nazionale spedita verso la qualificazione al Mondiale coreano, perché il Genoa sta rischiando di retrocedere addirittura in Serie C dopo aver cambiato due allenatori (Bruno Bolchi prima e l’esordiente coppia Magni-Carboni poi). Firma nel 2001 in piena contestazione dei tifosi, ma non vuole andare in ritiro:

Il Genoa è di Genova e sta a casa sua. Che motivo ci sarebbe di scappare? Ora però basta affidare il Genoa ad allenatori di Seconda Categoria, sono cose ridicole degne del Roccacannuccia, non di questa società.

Manco a dirlo, anche stavolta salva la squadra alla grande e vince un derby contro la Sampdoria in B. Ma soprattutto progetta la promozione per la stagione successiva portando in rossoblù i suoi fedelissimi calciatori tunisini El Ouaer (“Uno dei cinque migliori portieri al mondo”), Badra (“Il nostro Desailly”), Bouzaiene (“Non spreca mai un pallone”), Gabsi (“É il Di Livio africano”) e Mhadhbi (“Una vera freccia”). Ma, ancora una volta le strade con i rossoblù si dividono per contrasti coi vertici del club dopo pochi mesi di campionato. Soldi finiti e prospettive nuovamente nere per il vecchio Grifone. Lascia con malinconia e rinuncia anche a un contratto da un miliardo e mezzo:

Quando sono tornato dalla Tunisia, rinunciando al Mondiale, ho trovato un Genoa con la scorta della Polizia al campo di allenamento. Ho ridato serenità e vengo ripagato così.

Ci riprova in Libia, voluto alla guida della Nazionale direttamente da Gheddafi (dove viene però mandato via perché non fa giocare il figlio del dittatore, Saadi), corona il sogno Napoli, anche se solo per tre mesi tra dicembre 2002 e marzo 2003, poi stop. Lascia praticamente il calcio e si reinventa davanti alle telecamere, ospite fisso di Controcampo accanto a Sandro Piccinini:

Aveva un carattere da showman alla Mourinho, era attratto da comunicazione e visibilità. A volte era esagerato con qualcuno, ma Franco era così.

Viene ingaggiato da Al-Jazeera per commentare la Serie A (“Come farò con la lingua? In Italia sono anni che parlo arabo, ora lo farò anche all’estero”) e si avvia all’addio all’amata panchina:

Le mie occasioni le ho avute e sprecate, ne sono cosciente. Però i miei errori mi piacciono. I derby sono stati la mia vita, quello che mi ha fatto godere di più è quello vinto col Genoa sulla Sampdoria per 2-0. Se ricordo i marcatori? Che me ne fotte di chi ha segnato, mi importa solo di aver vinto per la mia Gradinata Nord.

In un’intervista sentenziò: “Morirò parlando di Genoa”. Da brividi se ripensiamo che effettivamente fu così: accadde negli studi genovesi di Primocanale, ottobre 2005. Scoglio era intento a litigare in diretta con l’allora presidente rossoblù Enrico Preziosi, la squadra era appena stata retrocessa in Serie C a causa della combine col Venezia. Il cuore cedette, le sue ultime parole furono l’ennesimo atto d’amore per il Genoa. “Sulla mia lapide? Vorrei che ci fosse scritto che non ero un uomo ad minchiam”, una delle sue frasi più celebri. E sicuramente non lo è mai stato.

Un saggio del Franco Scoglio comunicatore, tra polemiche e motivazioni

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