Che Rocky Balboa sia uno dei più celebri eroi della storia del cinema è fatto risaputo. La rappresentazione di un atleta capace di gettare costantemente il cuore oltre l’ostacolo e con ciò raggiungere i più grandi traguardi che un pugile possa raggiungere: fama e ricchezza, ma soprattutto una famiglia che lo ama, senza dimenticare i successi che lo consacrano nell’Olimpo dello sport. Può un vincente come lui essere stato ispirato da un atleta apparentemente di secondo piano, che mai ha scritto il proprio nome nel grande libro dei campioni del mondo della boxe? Ebbene sì, perché l’uomo dietro il personaggio del grande schermo si chiama Chuck Wepner, la cui tenacia, ancorché insufficiente a raggiungere l’élite del pugilato, è bastata a farne il modello per un famoso alter ego. E gli ha offerto una possibilità di ricchezza che, però, non ha saputo sfruttare.
Chuck Wepner, da Bayonne con il sangue
Nato a New York il 26 febbraio 1939, Chuck Wepner si trasferisce sin da bambino nella vicina Bayonne, cittadina del New Jersey. Un legame, quello con la sua città, talmente radicato da figurare in quelli che saranno i due soprannomi che lo accompagneranno durante la carriera agonistica: The Bayonne Brawler e, soprattutto, The Bayonne Bleeder, letteralmente “il sanguinatore di Bayonne”, un soprannome che vedremo essere tutt’altro che casuale. Come spesso accade in questi casi, la scintilla con la boxe scocca per caso e in circostanze non esattamente figlie dell’agiatezza.
Nato da una famiglia originaria dell’Europa centrale, Wepner si ritrova presto senza un padre, fuggito alle proprie responsabilità coniugali e genitoriali per cercare fortuna altrove o, più probabilmente, per allontanare una famiglia da lui percepita come un peso. E così il piccolo Chuck cresce assieme alla madre e ai nonni in un magazzino riconvertito a camera da letto, tra i problemi economici e in una cittadina portuale in cui la povertà si combatteva per le strade, con i pugni, nel senso più letterale del termine. È per questo che sin da ragazzino il nome di Chuck Wepner viene sussurrato con sempre maggior frequenza tra le vie di Bayonne, come quello di un bambino coraggioso che si sa difendere e far rispettare. Ma la strada per lo sport è lastricata di altre intenzioni.
Perché, anche grazie alla ragguardevole stazza, il primo amore sportivo di Wepner è il basket. Dopo i primi tiri a canestro da bambino, quando inizia le superiori trova immediatamente un posto nella squadra della Bayonne High School. Però il suo destino non è quello di un percorso accademico. E, conseguentemente, anche la vita sportiva ne subisce le conseguenze quando, a soli 15 anni, Chuck decide di arruolarsi nei Marines. È proprio lì che quell’incontro casuale e poco ortodosso con la boxe di qualche anno prima viene istituzionalizzato e prende la forma di una vera e propria carriera sportiva. In particolare, Wepner spesso sconfigge i commilitoni più esperti, sia in termini pugilistici che di età anagrafica, grazie a una qualità che lo accompagnerà per tutta la vita: quella di incassatore.
Non importa quanto veemente sia l’azione avversaria, né quanto forti i colpi subiti: The Bayonne Bleeder resiste sempre, incassa dieci, quindici colpi che manderebbero al tappeto anche un professionista, sanguina e non molla mai. Riuscendo comunque a organizzare offensive degne di tal nome e di portare a casa svariati incontri, fino a conseguire il titolo militare in una delle basi aeree in cui presta servizio. Tuttavia non è precoce, tutt’altro: la sua storia da professionista inizia appena dieci anni dopo l’arruolamento, nel 1964, quando Chuck ha già 25 anni.
Una carriera con pochi allori
Come detto, iniziare a combattere seriamente a 25 anni non è esattamente un vantaggio competitivo. I migliori atleti iniziano ben prima e, sebbene la carriera pugilistica risenta meno di altre l’inesorabile decorso del tempo, è pur vero che gli anni davanti per combinare qualcosa non sono molti. La fama di Wepner si diffonde inizialmente nella zona del nord-est degli Stati Uniti, esordendo nella sua Bayonne in un incontro vincente contro George Cooper e proseguendo tra i ring del Queens e, in generale, della Grande Mela, con tanto di esordio nel prestigioso Madison Square Garden già al secondo incontro da pro, anch’esso vincente contro Rudy Pavesi. Ma a parte qualche sporadica apparizione contro avversari quotati, la figura del Bayonne Bleeder è associata principalmente a quella del potenziale sparring partner proprio per la sua capacità di assorbire i colpi. E che saprà aprirgli la strada per incontri contro avversari di prim’ordine, con il passare degli anni.
Il suo palmarès si limita a un solo titolo, quello di campione dei pesi massimi dello Stato del New Jersey. La prima occasione arriva nell’aprile 1967, mentre la corona è vacante: alla Jersey City Armory, Wepner sfrutta l’assenza di avversari quotati, tanto che Don McAteer, pugile tutt’altro che continuo nei risultati, viene chiamato all’ultimo secondo per carenza di rivali. Per Wepner si rivela una vittoria facile, che gli vale il primo titolo e soprattutto lo fa salire nelle quotazioni tra i pesi massimi. Manterrà il suo status di detentore per oltre quattro anni, sino a dicembre 1971, quando inizia un curioso balletto con uno degli avversari principali della sua carriera, Randy Neumann: sconfitto all’Embassy Hall di North Bergen, The Bayonne Bleeder, prende la sua rivincita sul rivale ad aprile 1972, nuovamente nella Jersey City Armory.
Con due difese vincenti – contro Billy Marquart a North Bergen e ancora contro Neumann al Madison Square Garden – e senza dover combattere nuovamente per confermarsi, Wepner riuscirà a conservare l’alloro fino all’età di 39 anni, quando nel settembre 1978 verrà sconfitto dal rampante Scott Frank, di quasi vent’anni più giovane. Ma è dopo aver conquistato per la prima volta la cintura statale che la sua carriera prenderà il volo e lo porterà a incrociare guantoni con leggende presenti e future.
Foreman, l’ultima volta di Sonny Liston e la sfida per il titolo
L’estate del 1969 apre un capitolo nuovo, per Chuck Wepner. Si affaccia alla bella stagione con una striscia aperta di 15 vittorie negli ultimi 16 incontri disputati – di cui 9 vittorie consecutive – e avvolto dalla cintura di campione dei pesi massimi del New Jersey. Un andamento e una visibilità che a giugno lo proiettano all’estero per la prima volta, per la precisione a Porto Rico. Ad attenderlo c’è l’eroe locale José Roman, che al termine di un incontro molto tirato, pur essendo finito al tappeto nel corso della settima ripresa, riesce a interrompere senza troppe cerimonie il periodo d’oro di Wepner. Appena un mese più tardi il pugile di Bayonne è chiamato al riscatto innanzi a un giovane pugile di belle speranze, reduce da soli tre incontri da pro – tutti vinti – e proveniente dal Texas. Il suo nome è George Foreman. L’incontro dura poco: ancorché di dieci anni più giovane, Foreman si rivela di un’altra categoria, tanto da costringere l’arbitro a sancire il KO tecnico durante la terza ripresa.
Dopo due ulteriori vittorie successive alla caduta con Foreman, il 29 giugno del 1970 arriva un’altra grande chance. Stavolta di fronte a Wepner non c’è una giovane speranza ma una vecchia gloria a caccia di rilancio. Sarà l’ultimo incontro della carriera di Sonny Liston, accompagnato da voci capaci di gettare discredito anche sul Bayonne Bleeder, trascinato suo malgrado al centro dello scandalo. Chi conosce la storia di Liston, sa che si trattava di un atleta dalla vita turbolenta e animata da un rapporto sin troppo simbiotico con il mondo della mafia e della criminalità organizzata. La sera prima dell’incontro, Big Ugly Bear, così è soprannominato il pugile dell’Arkansas, viene avvicinato da uomini poco raccomandabili che lo invitano a farsi mettere al tappeto da Chuck Wepner per ragioni legate alle scommesse.
Ma per lui è una chance di rivincita troppo grande, quella di ribellarsi a chi era stato di ostacolo alla sua carriera, portandolo a essere ostracizzato dalla federazione. La ferocia con cui si scaglia sul malcapitato sfidante è impressionante, Chuck Wepner riporta la frattura del setto nasale, lo sfondamento di un timpano e 72 punti di sutura al volto. Ferite che inducono l’arbitro a sospendere l’incontro e perfino il suo avversario a temere per la sua incolumità, tanto da rivolgersi al proprio angolo affermando di avere paura di picchiarlo ancora. Questo incontro diventerà il trampolino finale per la fama dello sconfitto, sia sottolineandone il coraggio e la tenacia anche a fronte dei colpi subiti, sia per la storia legata al suo soprannome. Una fama alimentata dai due incontri successivi, persi entrambi per KO tecnico a causa di tagli al volto contro Joe Bugner a Wembley – primo incontro disputato fuori dal continente americano, l’altro arriverà nel 1977 a Johannesburg contro Mike Schutte – e Jerry Judge.
Alla fine della carriera, il suo corpo racconterà: 329 punti di sutura rimediati – record superato solo da Vito Antuofermo – oltre a 14 fratture al volto, di cui nove al naso. Un volto che nelle foto sembra sempre sfigurato, come se la boxe ne avesse disegnato ogni tratto. A pagare il prezzo più caro sarà, però, Sonny Liston, trovato morto in casa in circostanze poco chiare, nutrendo il sospetto di familiari e allenatore circa il fatto che quella vittoria su Wepner e quel rifiuto di obbedire alle richieste dei malavitosi che lo hanno sempre accompagnato possano essere stati la causa della prematura scomparsa.
Dopo la già menzionata sconfitta con Judge, la carriera di Wepner sembra decollare, per quanto tardivamente. Oltre agli scontri titolati per la cintura dei pesi massimi del New Jersey, a stupire tutti, soprattutto un vecchio volpone come Don King, è il successo contro Ernie Terrell, ex campione del mondo dei pesi massimi. Un incontro vinto all’ultima ripresa ai punti ma che, come detto, desta grande impressione in particolare nell’agente di Muhammad Ali, vecchio nemico sul ring nonché capace di strappargli la corona solo al quindicesimo round, pur al termine di un match largamente dominato.
In quel momento storico nessuno sembrava in grado di tenere realmente testa al più grande di tutti, reduce dalla leggendaria Rumble in the Jungle a Kinshasa contro Foreman e alla ricerca di un incontro meno impegnativo. Perché non provare a dargli in pasto un incassatore di tale fattura? Senza dimenticare un fattore non totalmente trascurabile nell’America dell’epoca: Wepner è bianco, a differenza dei più grandi pesi massimi. E visto che Ali e le sue idee fanno sempre discutere, anche la contrapposizione razziale finisce per alimentare un’attenzione mediatica ancora più forte, sebbene i due protagonisti non abbiano nulla l’uno contro l’altro né il potenziale sfidante sia mai stato noto per posizioni politiche o razziali di rilievo.
Il 3 settembre 1974 uno spot per sfidare Ali viene messo in palio a Salt Lake City, quando Wepner si guadagna la chance di una vita dopo aver mandato al tappeto tre volte Terry Hinke – anch’egli bianco, tornando al discorso di poco fa – all’undicesima ripresa. È così che gli occhi del mondo si posano definitivamente su The Bayonne Bleeder il 24 marzo 1975 a Richfield, California. I pronostici, neanche a dirlo, sono tutti per il campione in carica, al punto che in svariati Paesi del mondo, Italia compresa, il match non viene neanche proposto in tv, tanto netto è lo squilibrio tra i partecipanti e diradate le speranze di colpaccio. Ma a Wepner la fiducia non manca, decisamente trascinato dall’entusiasmo per l’ingaggio di centomila dollari offerto da Don King.
Decide di acquistare un regalo sexy per la moglie Phyllis, un negligé blu che le chiede di indossare, promettendole che quella notte avrebbe dormito con il campione del mondo. Il canovaccio segue i pronostici della vigilia ma non senza che lo sfidante rintuzzi le iniziative di Ali, riuscendo addirittura a mandarlo al tappeto alla nona ripresa con un destro all’altezza del torace. Sarà solo un fuoco di paglia, sufficiente a dare ulteriore slancio alla brutale offensiva del fu Cassius Clay, che accoglie con rabbia e sdegno quella caduta, un affronto che si tramuta in una scarica di colpi che riducono l’avversario alla consueta maschera di sangue. Alla fine, con soli 19 secondi rimasti sul cronometro, l’arbitro è costretto a fermare incontro: KO tecnico.
In seguito Chuck Wepner confiderà di aver supplicato l’arbitro dell’incontro Tony Perez di fargli almeno terminare quell’ultimo round, ottenendo un rifiuto per l’incapacità di vedere quante dita questi gli aveva mostrato. Il pugile di Bayonne esce sconfitto e con 23 punti al volto, né avrà più chance così prestigiose. Ma a suo modo avrebbe l’occasione di una vita proprio grazie alla sua strenua difesa sul ring. Perché a osservarlo ci sono anche degli agenti hollywoodiani, colpiti e ispirati dalla sua capacità di non mollare mai. Hanno pronta un’offerta per lui, di quelle che possono realmente cambiare tutto.
L’incontro valido per il titolo tra Chuck Wepner e Muhammad Ali
Rocky, la droga, i problemi familiari e il riscatto
Sylvester Stallone è un giovane attore che sta cercando di farsi spazio nella giungla di Hollywood. Nonostante sia agli inizi, Sly non è del tutto sconosciuto a Wepner, anche se per puro caso: lo show preferito del pugile di Bayonne è Kojak, in cui proprio il giovane attore ha recitato in un episodio durante la preparazione del suo match più celebre. Il progetto destinato a cambiare l’esistenza di quello che diventerà un mito del cinema mondiale, tuttavia, nasce come sceneggiatore e attore principale per il film Rocky, ispirato alla vita di un pugile proveniente dai bassifondi e chiamato a un riscatto nella vita grazie al ring. L’incontro di Wepner contro Muhammad Ali ispira il personaggio principale di quella che, all’epoca ancora non è dato saperlo, diventerà una delle più famose saghe della storia del cinema. Il primo capitolo esce nel 1976 e i produttori hanno pronta un’offerta per il pugile di Bayonne: 70 mila dollari subito o l’1% degli incassi complessivi per poter adattare la sua storia.
Chuck Wepner sta già vivendo il suo declino sportivo e anche umano. È entrato nel circolo vizioso della droga e ha problemi familiari piuttosto seri con la seconda moglie Phyllis che, a differenza di Adriana Balboa, non offre esattamente supporto incondizionato al marito. Ricordate la promessa fatta da Chuck sul fatto che la stessa avrebbe dormito con il campione del mondo? Rientrato in stanza, come sempre tumefatto e sanguinante, trova Phyllis con indosso il negligé blu regalatogli il giorno precedente, che provocandolo gli rivolge la domanda: “Ok, vado io da Ali o sale lui da me?”.
Sta di fatto che, per accontentare le pretese economiche della moglie – con cui divorzierà poco dopo da tradito e traditore – e i propri vizi con gli stupefacenti, Wepner accetta la prima delle due offerte, prendendo una somma sostanziosa che può dargli immediato respiro, senza vedere – e probabilmente credendoci assai poco – le potenzialità di un progetto che, accettando la percentuale sugli incassi, gli avrebbe garantito cifre milionarie. È l’inizio della caduta, la carriera è ormai al termine e si conclude ufficialmente con una sconfitta che gli costa il titolo dei pesi massimi del New Jersey, quella già citata contro Scott Frank il 26 settembre 1978. Il record di fine carriera è di 36 vittorie (di cui 17 per KO), 14 sconfitte (9 per KO) e 2 pareggi.
Il pugilato è un ricordo e anche tutto il resto va a rotoli: oltre alla fine del matrimonio con Phyllis, i suoi problemi con la droga gli impediscono anche l’ingaggio come sparring partner di Stallone in Rocky II, non superando il provino per le condizioni di grave alterazione in cui si trovava. The Bayonne Bleeder finisce in carcere per dieci anni, condannato per possesso e traffico di stupefacenti e, quando torna in libertà, i soldi sono finiti e con essi ogni illusione di riscatto immediato. Ormai poco più che un reietto, Wepner prova a rilanciarsi dapprima con incontri di wrestling finalizzati a portare a casa qualche ingaggio che gli permetta di vivere dignitosamente. Quindi si ripulisce: fa causa a Stallone e gli viene riconosciuto il diritto di una maggior fetta degli incassi del film, ancorché mai precisata. Ritrova l’amore con Linda, sua attuale coniuge, e inizia a lavorare onestamente per Allied Liquor, un impiego con cui ripaga i suoi debiti e che gli permette di rimettere ordine nella vita e addirittura di scrivere un’autobiografia. Al cinema tornerà davvero anche con una storia che lo vede protagonista, dal titolo The Bleeder – La storia del vero Rocky Balboa.
Nel New Jersey è rimasto una figura di riferimento per lo sport e la comunità locale, aiutando anche giovani pugili nei loro tentativi di emergere. Nel Dennis P Collins Park di Newark gli è stata dedicata una statua in bronzo quale simbolo della comunità. Il sindaco, durante la presentazione in sua presenza, ha affermato che la gente del New Jersey riconosce i concittadini capaci di renderla orgogliosa anche solo pronunciandone il nome. E “per la gente del Jersey i miti sono Frank, Bruce e Chuck”.
Chuck Wepner non ha avuto un palmarès glorioso, è vero. Ma ha saputo rilanciarsi dopo un’infanzia difficile, è diventato un eroe salvando tre commilitoni da un incendio mentre era nei Marines. E, soprattutto, ha ispirato un mito cinematografico senza tempo, conoscendo l’onore essere acclamato dalla propria gente al fianco di leggende come Sinatra e Springsteen. E, in fin dei conti, essere ricordati e amati val bene una cintura.