Certe storie sembrano scritte da un narratore invisibile, uno che mescola cronaca e mito, sacro e profano. Una di queste arriva dal cuore dell’Irpinia e ruota attorno a una squadra di calcio di provincia: è la leggenda oscura dell’Avellino. Un legame che sembra assurdo, ma che in Irpinia ha preso forma: quello tra i cambi di categoria dei Lupi e gli eventi sconvolgenti al vertice del Vaticano. Sempre e inspiegabilmente. Una maledizione? Una favola urbana? O solo una catena di coincidenze così perfette da sembrare orchestrate? Quel che è certo è che nessun’altra squadra ha un destino così legato al soglio pontificio. E nel 2025 la storia si è ripetuta ancora.
La leggenda oscura dell’Avellino e il calcio tra rito e religione
Il calcio è un rito e, come per la religione, ha la sua liturgia e i suoi tabù, spesso tramandati come formule segrete. È uno sport che si gioca sull’erba, ma vive nella testa e nell’anima ben oltre il giorno della partita. Allenatori che non si radono prima del match, giocatori che per entrare in campo saltellano con il piede destro o recitano una preghiera. Tifosi che si siedono sempre allo stesso posto sia allo stadio che a casa davanti alla tv: piccoli gesti che, nella loro ripetizione ossessiva, diventano veri e propri riti propiziatori. In Campania, terra di superstizioni e scaramanzie, vi è una città che è un crocevia in cui si mescolano identità e senso di appartenenza: Avellino.
Qui, la domenica non è segnata solo di rosso sul calendario ma anche di biancoverde, come i colori della propria squadra. Chiese e stadi si riempiono con lo stesso fervore. La fede religiosa e quella calcistica coesistono, finiscono per intrecciarsi fino a confondersi, in un territorio che ha conosciuto dolore e riscatto, soprattutto dopo il disastroso terremoto degli anni ‘80 che ha stravolto la città. Da quell’episodio tragico il calcio sembra essere diventato un antidoto molto efficace, capace di unire persone di diverse generazioni. Il club biancoverde ha spesso rappresentato un’ancora di salvezza e un simbolo di rinascita nei momenti più bui della storia cittadina.
La cultura popolare avellinese è intrisa di simboli: dalle processioni solenni in onore di San Modestino, patrono della città, fino ai cori della Curva Sud che riecheggiano come preghiere laiche allo stadio Partenio-Lombardi. Non stupisce, quindi, che ogni evento straordinario venga letto anche alla luce del destino, di un “avvertimento dal cielo”. In questo contesto, la leggenda oscura dell’Avellino si inserisce con naturalezza. Se ogni squadra ha le sue cabale, quella campana sembra averne ereditata una universale, quasi imposta dal fato stesso. È come se a ogni salto di categoria i Lupi dovessero pagare un prezzo altissimo, fino a toccare il trono più sacro della cristianità.
Gli irpini, freschi di promozione in Serie B dopo aver dominato il girone C di Lega Pro, sono finiti nell’occhio del ciclone mediatico per una concomitanza tanto singolare quanto inquietante: ogni evento tragico legato al papato sembrerebbe accompagnato da un loro cambio di categoria. Un legame surreale che combina la gioia di una promozione e i drammi del soglio pontificio.
Un ciclo che inizia nel 1958
L’origine di questo mito popolare affonda le radici nella seconda metà del Novecento. Un esempio emblematico è il 1958, anno della morte di Papa Pio XII, avvenuta il 9 ottobre. In quella stagione l’Avellino milita ancora nell’Interregionale e solo al termine della stagione 1958-59 ottiene la promozione in Serie C per motivi di rappresentanza geografica, a seguito dell’applicazione di un criterio regolamentare tutt’altro che trasparente. Il legame diretto tra evento ecclesiastico e traguardo sportivo, pur dilatato nei mesi, si verifica nel corso della medesima stagione calcistica, consentendogli di essere letto, a posteriori, come il primo segnale del “mistero irpino”.
Anche il successivo passaggio di categoria porta con sé sfumature simili. Papa Giovanni XXIII muore il 3 giugno 1963, proprio mentre l’Avellino si appresta a concludere un campionato amarissimo, culminato nella retrocessione in Serie D ufficializzata appena sei giorni dopo. Un anno più tardi, nel 1964, i Lupi riconquistano la C proprio mentre la Chiesa si avvia verso il lungo pontificato di Paolo VI. Una serie di coincidenze in cui si insinua l’inquietudine e che nel 1978 sembra consolidarsi sempre più. La città vibra d’entusiasmo: la squadra allenata dal Barone Paolo Carosi centra l’impresa storica, conducendo per la prima volta gli irpini in Serie A. L’entusiasmo è incontenibile, ma a gettare un’ombra sull’impresa e a ridurne l’importanza sono due episodi storici più unici che rari: la morte di Paolo VI e, a distanza di pochi mesi, quella di Giovanni Paolo I, rimasto sul soglio pontificio per soli trentatré giorni.
Nel nuovo millennio la leggenda torna a farsi sentire, quando le date sembrano sfiorare il destino. Il 2 aprile 2005 si spegne Giovanni Paolo II, una delle figure più amate nella storia della Chiesa contemporanea. I campionati di calcio sono ancora in pieno svolgimento e l’Avellino milita nell’allora C1. La promozione arriverà qualche mese dopo, il 19 giugno, al termine di un infuocato playoff vinto contro i rivali del Napoli. Ironia della sorte: uno dei due gol viene segnato proprio da Raffaele Biancolino, oggi allenatore del club. Una promozione che riempie di orgoglio la città e che alimenta, ancora una volta, il sospetto: possibile che ogni snodo epocale per la Chiesa sia avvenuto a ridosso di un passaggio di categoria dell’Avellino?
Il copione si ripete – o quasi – nel 2013, quando la notizia sconvolgente arriva non da un lutto, ma da una rinuncia: il 28 febbraio, Benedetto XVI lascia il pontificato, dando vita a un evento senza precedenti nella storia moderna. Anche in questo caso, l’Avellino è protagonista di un campionato vincente e, anche se la promozione in Serie B sarà ufficializzata solo il 5 maggio, il collegamento tra l’abdicazione papale e l’ascesa sportiva biancoverde si fa largo nella narrazione popolare. Come se bastasse l’annuncio, il disordine improvviso, per far vibrare anche i destini più lontani. Le coincidenze, in fondo, non devono essere perfette per alimentare il mistero. Basta che siano abbastanza inquietanti da sembrare non casuali.
Non tutti i momenti cruciali papali hanno coinciso con traguardi sportivi. Quando, il 31 dicembre 2022, si spegne Joseph Ratzinger, papa emerito Benedetto XVI, l’Avellino non centra alcun risultato significativo. Nessuno scossone, nessuna vibrazione particolare in quella stagione. Eppure, anziché indebolire la leggenda, questo episodio sembra averla resa ancora più affascinante. Come se la maledizione si attivasse solo quando si rompe l’equilibrio al vertice della cristianità e non in caso di morte di un papa emerito, ormai ritirato dalla scena pubblica. Insomma, anche l’eccezione ha trovato il modo di farsi regola.
Anche l’attuale mister Biancolino nella festa biancoverde. A due mesi dalla scomparsa di Giovanni Paolo II
2025, la conferma del mistero?
Poi è arrivato il 2025. Un anno magico e indimenticabile per gli irpini. Il 19 aprile, l’Avellino batte il Sorrento 2-1 e conquista in anticipo e matematicamente la promozione in Serie B. La festa vale doppio, a ridosso del giorno di Pasqua. Solo due giorni dopo, il 21 aprile – lunedì Santo – si spegne Papa Francesco. L’eco di questa ennesima concomitanza esplode sui social, rimbalza sulle testate nazionali e internazionali e porta alla luce eventi del passato che erano finiti nel dimenticatoio. I meme impazzano sui vari social, sostituendo le vecchie chiacchiere da bar. Qualcuno scrive “È successo di nuovo”, citando la celebre scena con Bradley Cooper in Una notte da leoni, mentre altri scherzano: “L’Avellino sale ogni morte di papa”, giocando con il noto modo di dire.
Tra il serio e il faceto, il caso è diventato materia di discussione trasversale, finendo anche su siti religiosi che, pur senza avvalorare la tesi della maledizione, hanno notato “l’inquietante ricorrenza” tra gli eventi sportivi e quelli ecclesiastici. Il mondo del calcio si interroga: è solo un’altra strana coincidenza o c’è davvero qualcosa di più? E il tifoso non può fare a meno di pensarci. Per quanto razionale, per quanto distaccato, una parte di sé si arrende al dubbio e inizia a notare i segni.
Per i tifosi dell’Avellino, quella che un tempo era solo una voce di paese è diventata una parte integrante dell’identità del club. Una favola oscura che intreccia il calcio con qualcosa di più profondo: la fede e quel senso di destino che aleggia nelle grandi storie popolari. Se il Benfica maledetto da Béla Guttmann non riesce più a vincere una finale europea, l’Avellino sembra pagare le promozioni con un lutto papale. Diverse realtà, stesso mistero. Eppure, nulla di tutto ciò sembra frenare l’entusiasmo di una piazza che oggi, con mister Raffaele Biancolino in panchina e la presidenza di Angelo D’Agostino, sogna il ritorno nel calcio che conta. Perché ad Avellino, il calcio non sembra essere solo calcio: è un rito collettivo, sospeso tra storia e presagio.