Mi presento: je song’o pallune

Je song'o pallune ribalta le prospettive, raccontandoci il punto di vista del pallone.

Anche se ci conosciamo da una vita, mi presento:
Je song’o Pallune.
«Ahgrrr. Ahgrrr. Ahgrrr. Puf. Puf. Puf. Puf!
Ah, che schifezza ’o ruospu nganna.»
Questa è la mia condanna a morte.
Mi dovete perdonare per i modi volgari, scadenti e, a tratti, disgustosi.
Il mio è soltanto un piccolo difettuccio… alla canna.
Purtroppo, l’ho ereditato dalla buonanima di mio padre.
Era un buon uomo, nonostante tutto. Pace
all’anima sua.

Com’è che si dice in questi casi? Deformazione
professionale!

Così dicono i giovani, e io non posso fare altro che adeguarmi allo slang giovanile.
Ah, questi ragazzi di oggi ne sanno una più del diavolo. Beati loro.
Noi eravamo degli arretrati e dei sempliciotti.
Loro sono il futuro, e io, invece, je song’o ’o passato.
Appartengo più alla morte che alla vita. Uaa!

Chiedo umilmente venia a tutti i presenti, e pure agli assenti.
Non è mio scopo coprirvi a colpi di fionda.
Siete sempre così affabili, gentili e disponibili a dare seguito alle paturnie elettive di un povero vecchio con la testa di cuoio, un paio di metri di cuciture in superficie e niente di buono da offrire a chicchessia.

Sto tutto il giorno all’aria aperta, spesso sotto la pioggia e senza alcun vestito cucito addosso.
Ahh… felicemente nudo, come il padrone mi ha fatto tanti e tanti anni or sono. Ehm… e d’inverno sto al freddo e al gelo, e mi si congelano tutte le cuciture.
Brrr! Brrr! Che friddo!
«Ahgrrr. Ahgrrr. Puf. Puf. Puf. Puf!
Ah, che schifezza ’o ruospu nganna.»

Mi dovete perdonare per il mio piccolo difettuccio… alla canna.

Ricordi d’infanzia

We, guagliò, ma sei proprio tu?
Non ci posso credere! Ma sei davvero tu?
Nientedimeno che Raffaelino, il primogenito amatissimo di Giovanni e il nipote prediletto di Nonno Alfredo?
We, carissimo, come stai? Da quanto tempo!
Sei proprio quell’anima gentile di tuo padre: stesso colore degli occhi, uguale colore e taglio dei capelli, e quella bocca, così grande, che non sputa mai in terra.
Non sai, amico mio, il piacere di rivederti di persona dopo tutti questi anni passati, andati e svaniti: ops, non c’è più.
Ascolta a me e levami una curiosità:
Quanto tempo è passato dall’ultima volta?
Ehhh! Marron ro’ Carmine, così tanto?
Come passa veloce ’u tiempo, sto’ grande farabutto, presuntuoso e pure scornacchiato!

Sentite a me:
Almeno per una volta, ascoltate un povero fesso; portatemi un po’ di pazienza:
«Prendetevi cura dei vostri ricordi e ogni sera rimboccate a essi, amorevolmente, le coperte prima di andare a letto.» Uaa!

Sono passati tanti anni da quando mi prendevi a calci sulla testa.
Ahh, che dolore provavo, indescrivibile.
Tu non puoi nemmeno immaginare quanto mi faceva male la camera d’aria. E
alla sera, di conseguenza, mi dolevano tutte le cuciture.

E non c’era mai nessuno a consolarmi; mai una parola sincera o una timida carezza, perché un amico è come’ o ‘mbrello:
«Quanno chiove nun o truove maje.» Uaa!

Quante lacrime sprecate in un angolo angusto della casa, a piangere di nascosto da te, il mio padrone!
Mi mettevi fuori, sul balcone.
E quando mi andava di camera d’aria, al caldo, mi stipavi nel cofano di un’auto vicino alla borsa per il mare.

Ma sai! Ahh, non mi importava nulla. Le cose materiali non mi hanno mai attratto, o almeno non più di tanto, perché assieme ci siamo divertiti un sacco.
Uaaa!
Ci credi, se ti dico che sei stato il mio migliore amico per tanti anni?
Spero che il sentimento sia reciproco.
Dopotutto, noi due non abbiamo mai discusso, né tanto meno litigato.

Sono felice di averti finalmente rivisto, perché quel bambino è diventato finalmente un uomo.
Ehm… e tu come stai, vecchio e caro amico mio?
Dimmi un po’, racconta a zio.
Uaaa, meno male, tutto è a posto.
Di contro, di recente, mi sento un po’ sgonfio.
Ma passerà anche questa, sì, perché solitamente, se la strada è storta, alla fine… deritta vene.

E il tuo fratellino minore che fine ha fatto?
Ah, quello scornacchiato e pure farabutto, non si è fatto più sentire.
Proprio come te.
È asciuto pazzo o è diventato un genio?
Mi diceva che voleva diventare un calciatore famoso.
Giusto?
Ahhh, chi sa se almeno lui ce l’ha fatta tra i tanti poveri cristi in circolazione.
Mannaggia a lui e a tutti i cazzi suoi.
Poteva almeno, in questi anni, fare una visita a un vecchio e caro amico d’infanzia?

Magari per darmi soltanto un calcetto. Mi sarei accontentato di uno piccolino, piccolino, alla punta della cucitura.
Giusto per ricordare i vecchi tempi passati a giocare assieme. Uaa,
che bel periodo!

Je song’o pallune: gioie, dolori e filosofia di strada

Anche se, per la verità, “isso” mi faceva rotolare dalla mattina alla sera.
Quel mascalzone e farabutto che non era altro!
Ah, se lo prendo, gli faccio una faccia gonfia come un pallone.
Così capisce cosa significa stare nella mia stessa camera d’aria.

Eppure, a quei tempi, non gli bastava un campo in erbetta sintetica.
No? No!
Isso non si accontentava mai di quello che aveva.
Voleva sempre di più, succhiare tutta l’aria dalla mia camera d’aria.

«Che scuorno!»

E con il senno di poi, perché sbagliando s’impara ma non si recupera mai il tempo perduto, sai che ti dico?
Faceva bene, anzi benissimo, perché…
«A vita è n’apertura e cosce è na chiasura e cascia.»

Mi faceva rotolare su qualsiasi superficie possibile e immaginabile.
Uè. Uè.
Ho frequentato terreni naturali a fondo compatto, artificiali morbidi, naturali duri, naturali morbidi, artificiali duri e pure quelli indoor o i futsal.

A proposito, ma che cazzo significa futsal?
Bohhhh!!!
E io?
Rotolavo felice, con la camera d’aria piena di aria.
E quello scornacchiato di tuo fratello, non era mai contento, mi sbatteva su e giù anche sull’asfalto di uno squallido parcheggio.
No! No!
Accusì mi fai male. Uaa! Sei sempre il solito esagerato!

Ricordati che chi si accontenta gode!
Ma di me, tu non ti stancavi mai.
Ehm, e io sono stato un amico assai generoso e un amante fin troppo zelante.
E tu lo facevi ovunque: mi prendevi a calci, schiaffi, sberle, pugni, sputi e urla, pure sull’asfalto di un parcheggio davanti a una delle tante scuole del paese.

E che ci vuole?
Quattro cartelle dell’Invicta colorate, alla cazz’ de can, per circoscrivere due porte sull’asfalto. Uno, due, tre, quattro, cinque, sette metri a dipingere con il sudore la felicità.
Che dici, sono sufficienti sette o ne dobbiamo farne otto?
Dipende! E da cosa?
Seee terno, quaterna, cinquina e tombola!

E in porta, chi ci mettiamo?
Giovanni, e me lo chiedi pure?
Mamma mia, quanto è bidone quello! Ma
chi l’ha chiamato a sto cesso?

E allora confermo, facciamo sette e oggi non ne parliamo più, perché
se ’ntosta ’a cucitura, metto ‘a tutti ‘nfaccia ‘o muro!

Infinite erano quelle sfide tra le classi rivali.
Marron ro’ Carmine, come eravate esagerati a quell’età.
Correvate appresso a me dalla mattina alla sera, senza stancarvi mai. Ma
di che cazzo eravate fatti, di piombo, rame o ferro?

E poi, all’indomani, seguiva sempre la rivincita della rivincita.
Basta, vi prego.
Sono stressato, per favore, datemi un po’ di tregua!!!
Voglio il pomeriggio libero, come dà diritto sindacale.
Nooo. Voglio sgonfiarmi, non ho più voglia di rotolare fino a tarda sera.

Erano gli anni Novanta, e anche se mi ci metto di grande impegno, con tutta l’aria del mondo dentro, non è proprio possibile scordarsi del passato per una testa di cuoio come me.

E come si fa a dimenticare la partita delle partite: quella tra la 3ª C e la 4ª I?
Tu giocavi nella quarta I e ti prendevi i calci alle caviglie da quelli della terza C.
Al contrario, io, che ero la palla, me le prendevo di santa ragione da tutti quanti. Scornacchiati che non siete altro e che vi potessero accidere a tutti quanti!
Scherzo.
Perché io vi ho voluto un gran bene della camera d’aria.

E non avevo preferenze alcuna.
Belli o brutti, simpatici o antipatici, forti o scarsi, vestiti e non, pettinati o spettinati, e chi più ne ha più ne metta… chi cazzo se ne fotteva!

Per non sentirmi solo, mi bastava soltanto che mi prendeste a calci dalla mattina alla sera.
Uaaaa!
Tirami, tirami, tirami più forte in porta!
Vi supplicavo in terra.
Oh, ti vuoi muovere? La prossima volta, nella mia squadra prendo un altro!
È arrivato Maradonaaa!!!!
Uè! Uè!
Cosa stai aspettando, non lo vedi che sei tutto solo davanti al portiere?
Tiramiii! Tiramiii!
Verso quella porta improvvisata da quattro zaini colorati alla capa de’ cazz. Uaaa!
A volte mi sembrava di essere sulle montagne russe, e come gli uccelli, mi pareva di toccare il cielo con una cucitura.
E nello spazio tra le nuvole, lassù dove il cielo si fa sempre più blu, mi sentivo felice perché, in fondo, in fondo, nella mia camera scorre l’aria da sempre.

Uaa! E non mi importava più nulla di nulla.
Niente e nessuno poteva fischiarmi un fallo contro;
Ero nel posto più vicino a Dio, a guardarvi tutti dall’alto verso il basso.

«Ahgrrr. Ahgrrr. Puf. Puf. Puf. Puf! Ah,
che schifezza che siete tutti quanti!»
Scherzo!

E nel punto più alto da me raggiunto, dove le regole dell’universo si fanno meno certe, dove cambiano le prospettive e le leggi gravitazionali, io vi vedevo tutti con il nasino all’insù.
Uaaa. Che belli eravate!
Mi facevate una gran tenerezza.
E con quelle facce lisce, come il culetto di un neonato, mi guardavate planare all’impazzata come una rondine tra le nuvole a Primavera.
Uaaaann! Uaaaaa! Uaaaa! Ta! Ta! Ta! Ta!

Vi uccido tutti se non la finite di prendermi a calci. Bastardiiiiii!

Ma adesso si è fatta una certa.
E come ogni dì, la luce farà presto spazio al buio della notte, che diventerà sempre più pesto con il passar delle ore, dei minuti e infine dei secondi.
E tu, ahimè, non avrai più bisogno di me, perché…
Je song’o Pallune.

Guaglione, ascolta un fesso

Prima di andare a letto, ti do un ultimo consiglio da un vecchio e caro amico d’infanzia.
Mi raccomando, goditi la vita, uaa! Vivi con saggezza, uaa! Sii sempre la versione migliore di te stesso, uaa!
Credi in te stesso, perché nessun altro lo farà al posto tuo, uaa!
Ridi di te stesso e nello stesso tempo prenditi sul serio.
Non mollare mai, nemmeno quando tutto nella tua vita ti sembrerà perduto. E, soprattutto, sii felice… sii felice… sii feliceeeeee…

Questa è la miglior medicina contro gli invidiosi e anche i farabutti! Perché
a’ vita è n’apertura e cosce è na chiasura e cascia.

Mi presento:
«Ahgrrr. Ahgrrr. Puf. Puf. Puf. Puf! Ah, che schifezza o ruospu nganna.»
Mi dovete perdonare, è un piccolo difettuccio ereditato da mio padre, la mia condanna a morte.

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