Robin Friday ha appena depositato il pallone in rete. È il 16 aprile 1977 e a Cardiff si gioca una delicata sfida tra i padroni di casa e il Luton Town. Il Cardiff lotta per evitare la retrocessione in Third Division, il Luton rincorre la promozione in massima serie. Il pubblico del Ninian Park non lo sa ancora, ma quello sarà uno degli ultimi gol della sua carriera professionistica. Lui, invece, sembra intuirlo. E vuole lasciare il segno. Si gira verso il portiere avversario, Milija Aleksic, e gli mima il gesto della “V” con le dita: in Inghilterra, l’equivalente del nostro dito medio. Ha solo 25 anni, ma quella scena diventerà l’istantanea che racchiude tutta l’essenza della vita di Robin Friday, sportiva e non.
L’antieroe e la prima grande occasione
Agli inizi degli anni ’50, in un’Inghilterra ancora in ripresa dal secondo conflitto mondiale, Acton è un distretto operaio incastonato nell’ovest di Londra, fatto di fabbriche e case sovraffollate. È qui che il 27 luglio 1952 nasce Robin Friday. Fin dall’infanzia, Robin ha qualcosa di speciale: quando ha il pallone tra i piedi mostra doti tecniche fuori dal comune. Il problema è la disciplina e infatti a scuola ci resta poco, a casa anche meno. Preferisce la strada e soprattutto il pallone, protagonista delle partite improvvisate con il fratello. A dodici anni entra nelle giovanili del Crystal Palace, poi passa al QPR e al Chelsea ma senza mai essere tesserato. Il talento è indiscutibile ma il ragazzo è ingestibile: nessun club gli offre una seconda possibilità. A quindici anni, quindi, si ritrova fuori da tutto: dalla scuola, che ha abbandonato anzitempo, e dal calcio.
A Robin non resta che intraprendere l’unica via d’uscita a disposizione. Comincia a lavorare come stuccatore e con il lavoro e i primi soldi iniziano anche i problemi. Risse ed eccessi, soprattutto alcool e droghe, diventeranno parte della sua quotidianità. E visto che i vizi costano, lo stipendio talvolta non basta: il ragazzo inizia a dedicarsi a piccoli furti e a sedici anni finisce in riformatorio per aver cercato di rubare un’autoradio. Viene rilasciato per motivi di salute – soffre d’asma – ma non impara la lezione. Anzi, è recidivo. Poco dopo finisce nuovamente in carcere, questa volta per scontare 14 mesi di detenzione. Nel penitenziario minorile di Feltham, tuttavia, c’è una chance di redenzione: il calcio diventa una ricompensa per buona condotta. E Robin si fa notare, è chiaramente di un altro livello rispetto agli altri detenuti per la propria capacità di saltare l’uomo e inventare traiettorie impossibili. Ma soprattutto perché segna in tutti i modi. Ha una classe che si vede di rado, ma anche troppa incoscienza.
Quando Robin Friday esce dal carcere ha appena 18 anni e davanti a sé una nuova possibilità per ricominciare. Torna a lavorare come asfaltatore ad Acton, ma anche a giocare a calcio. Prima il Walthamstow Avenue, poi l’Enfield, infine l’Hayes. Ovunque vada, è la stella della squadra, non solo per le giocate da fuoriclasse, ma anche per gli atteggiamenti sopra le righe. È facile trovarlo in un pub a ubriacarsi con i tifosi, oppure coinvolto in qualche rissa in strada. Eppure, quando si tratta di metterla dentro, Robin c’è sempre, indipendentemente dalla condizione fisica o mentale. I tifosi lo amano anche per questo, perché non solo li fa sognare ma perché è uno di loro, che non ha bisogno di vivere da super atleta né di allenarsi incessantemente.
La grande occasione arriva sul finire del 1972: l’Hayes di Friday, dopo aver eliminato a sorpresa il Bristol Rovers in FA Cup, affronta il Reading nel turno successivo. Nonostante la sconfitta, il ragazzo è nettamente il più brillante in campo. E questo non sfugge a Charlie Hurley, allenatore della squadra avversaria, che inizia a seguirlo con attenzione. Hurley diventerà praticamente un secondo padre per Robin, l’unico che crederà in lui nel momento più buio. La fama di Robin lo precede e per questo l’allenatore è estremamente combattuto: il ragazzo è noto per il carattere difficile ai limiti dell’ingestibile, ma il talento è troppo evidente per fare finta di nulla. Lo osserva con la massima attenzione per alcune settimane durante le partite con i dilettanti. E alla fine si decide: nel gennaio del 1974, per 750 sterline, Robin Friday firma con il Reading. Quella maglia diventerà il suo palcoscenico ma anche un rifugio.
Robin Friday, il giocatore del secolo
Quando in un gelido pomeriggio di gennaio del 1974 Robin Friday varca per la prima volta i cancelli di Elm Park, nessuno immagina cosa stia per accadere. Non è la prima volta che veste la maglia dei Royals: quando era rinchiuso nel carcere minorile di Feltham, aveva ottenuto il permesso di allenarsi con le giovanili del club come ricompensa per la buona condotta. Non è nemmeno un professionista, tanto che viene aggregato inizialmente alla squadra delle riserve. Ma per poco, passano poche settimane e il ragazzo ha già stregato tifosi e stampa. Il Reading Evening Post comincia presto a lodarlo. I primi gol gli valgono un contratto da professionista, sebbene guadagni meno del suo stipendio da asfaltatore. Ma a lui importa solo giocare.
Nel giro di un attimo quello stadio diventa l’avamposto della sua anarchia. In campo è un fuoriclasse, tanto che i tifosi lo eleggono simbolicamente “giocatore del secolo” già alla fine della sua prima stagione, mentre fuori è il solito uragano: il suo nome compare spesso in racconti leggendari, fatti di feste alcoliche e risse, ovviamente senza dimenticare la sua fama con le donne. Hurley prova a mettere un freno agli eccessi e gli assegna un appartamento sopra l’anziano custode del club, proibendogli di bere nelle 48 ore precedenti alle partite. Ma, come detto, Friday trova sempre il modo di infrangere le regole, suonando a tutto volume i suoi dischi heavy metal preferiti nel cuore della notte e consumando continuamente LSD. Lo ricorda l’amico Syd Simmons, tra ironia e rassegnazione:
Anche se erano le tre del mattino, la prima cosa da fare era accendere la musica. Avevamo un vecchio che viveva sotto di noi, l’ex giardiniere del Reading. Stava per compiere 80 anni e faceva una vita da cani nell’appartamento. Musica martellante, gente che bussava alla porta, ragazze che tiravano pietre alle finestre. Povero vecchio.
In quel dicembre del 1974, con 22 gol all’attivo e la promozione ormai nell’aria, Robin Friday è diventato l’anima stessa del Reading.
Rock ‘n’ roll star
Il Reading chiude la stagione 1973-74 al sesto posto, un risultato fuori dall’ordinario per un club abituato a lottare per non retrocedere. Nel corso della pausa estiva, tuttavia, si perdono le tracce di Friday, che scompare senza degnare di avviso né il club né il povero Hurley. Ritorna il giorno prima di un’amichevole contro il Watford, dopo un misterioso ritiro spirituale in Cornovaglia. Ma in campo è ancora devastante. L’avvio di campionato 1974-75 certifica che le sue doti realizzative sono rimaste intatte, tanto che Arsenal e Sheffield United, che lo seguono già da tempo, mostrano un vivo interesse nei suoi confronti.
Ma c’è il rovescio della medaglia: nonostante i gol e le giocate da urlo, il comportamento sul terreno di gioco e fuori ha ormai superato i limiti della tolleranza: in campo venne additato di collezionare ammonizioni per interventi inutili, mentre fuori continua a mettersi nei guai e a rendersi protagonista di bravate eclatanti. Tra le sue “gesta” si annoverano il trafugamento di statue dal cimitero con l’intento di portarle sul pullman della squadra per spaventare il suo presidente, oppure il furto di un cigno, portato nel bar dell’hotel in cui alloggia con la squadra.
Gesti assurdi che, sebbene raccontati con leggerezza negli anni, cominciano a pesare. Ma che non scalfiscono il suo rendimento in campo: a fine anno è ancora il miglior marcatore della squadra con 20 reti. Il campionato successivo continua sulla falsariga di quello precedente, con Friday ovviamente sugli scudi e il Reading che finalmente sale in Third Division. Ma qualcosa si è rotto: anche al netto di un rendimento di prim’ordine, i suoi atteggiamenti non vengono più digeriti. I rapporti con la società e con l’ambiente sono ormai deteriorati e Robin sembra aver raggiunto il punto di non ritorno.
Il passaggio a Cardiff e il canto del cigno
Dopo aver passato l’ennesima estate all’insegna degli eccessi, nel settembre del 1976 Friday si presenta completamente scarico al raduno estivo. Stanchissimo per la vita extra-professionale, l’asma di cui soffre è ormai diventata insopportabile e l’utilizzo smodato di droghe e alcol lo ha prosciugato. Hurley prova a proteggerlo, cercando di rimetterlo sulla retta via per il suo bene e per il bene del Reading. Ma davanti alla noncuranza del calciatore, all’allenatore non resta che confessare tutto alla dirigenza, che decide di mettere Robin sul mercato. Le sirene dalla First Division sono ormai scomparse e, nonostante la richiesta di 50.000 sterline per il suo trasferimento, la società decide di accettare le 28.000 offerte dal Cardiff pur di liberarsi del giocatore.
Robin si sente tradito, si mette di traverso per far saltare la trattativa. Vuole andare in una squadra di First Division, senza contare che Cardiff è troppo distante da casa. Solo Hurley riesce a convincerlo a lasciare definitivamente Reading. Al suo arrivo in Galles gli viene riservato il più caloroso dei benvenuti, con la polizia che lo arresta fuori dalla stazione ferroviaria dopo che l’attaccante aveva viaggiato senza biglietto. Inconvenienti a parte, Friday bagna il debutto con la sua nuova maglia con una doppietta. A suggellare il tutto, si lascia andare a uno dei suoi gesti più indecenti e famosi, strizzando le parti intime a Bobby Moore, capitano dell’Inghilterra vincitrice del Mondiale nel 1966, in quel periodo in forza al Fulham.
L’allenatore Jimmy Andrews è al settimo cielo, convinto di avere tra le mani un giocatore micidiale. Quello che non ha calcolato è quanto sia impossibile da contenere nei comportamenti, perlopiù in un ambiente che odia. Dopo ogni partita sparisce per una settimana, in città solo per l’incontro successivo. I rapporti con Andrews si deteriorano rapidamente, tanto che Robin un giorno si presenta nuovamente nell’ufficio di Hurley, implorandolo di tornare a giocare per lui. Il Reading non ha la forza economica di portare indietro il giocatore e Hurley è costretto a malincuore a rispedirlo a Cardiff.
L’addio di Robin Friday e il triste epilogo
Si ritorna così alla partita contro il Luton Town, l’ultimo vero acuto di Friday. Il londinese chiude con appena sei centri e la convinzione di non voler rimanere un secondo di più nella capitale gallese. La sensazione è che il talento londinese si sia lasciato andare definitivamente: da una parte deluso nel non poter ritornare a vestire la maglia della sua squadra del cuore, dall’altra stanco di dover tornare a Londra ogni fine settimana per fuggire da Cardiff. All’inizio della stagione 1977-78 non si presenta al ritiro precampionato, facendosi vivo solo ad ottobre e in condizioni pietose. È stato ricoverato in un ospedale di Londra per un virus che gli ha fatto perdere 13 chili. È irriconoscibile nell’aspetto e in campo. Non ha più lo stesso smalto di prima e la foga agonistica che lo contraddistingueva in campo era scemata.
Alla prima partita dal suo ritorno Andrews gli rinnova la fiducia, forse convinto anche da una squadra che occupa pericolosamente i bassifondi della Second Division. Evidentemente infastidito dalle continue provocazioni del suo marcatore Mark Lawrenson, Friday perde la testa e al primo contrasto utile gli rifila un calcio in faccia. Risultato: espulsione diretta, Cardiff che perde 4-0 e fine di ogni rapporto con società e tifosi. Non bastante, invece di tornare nel proprio spogliatoio decide di recarsi in quello degli avversari per defecare nel borsone di Lawrenson. È la fine: Robin Friday decide di dire addio al calcio professionistico, a soli 25 anni.
Torna ad Acton e riprende a lavorare come asfaltatore, chiudendo definitivamente ogni contatto con il mondo del calcio. Nonostante Maurice Evans, nuovo allenatore del Reading, tenti di riportarlo a vestire la maglia dei Royals su spinta dei tifosi. Lui rifiuta, troppa la delusione accumulata negli anni precedenti. Per breve periodo però si allena con il Brentford, tenendo aperto uno spiraglio per un possibile ritorno, anche solo a livello dilettantistico. Un’idea presto abbandonata e mai concretizzata. Il 22 dicembre 1990, all’età di 38 anni, Robin Friday viene trovato morto nel suo appartamento ad Acton, per un infarto dovuto probabilmente a un’overdose di eroina. Troppo fragile per diventare una leggenda, troppo puro per restare nell’ombra. Robin Friday non ha vinto trofei, non ha giocato in nazionale ma è comunque un eroe del Reading e in Inghilterra viene ricordato da tutti.
Un documentario su Robin Friday, genio e sregolatezza