Queste sono le Conference Finals della transizione dal vecchio al nuovo. La ventata d’aria fresca portata alla NBA dalle quattro squadre presenti ha spazzato via i giganti del presente e del passato, leggasi nomi come LeBron James, Stephen Curry, Kawhi Leonard, Giannis Antetokounmpo, Nikola Jokić e Kevin Durant. Così come non ha lasciato scampo a powerhouse e big market quali Los Angeles Lakers o Clippers, Golden State Warriors o Boston Celtics. A vincere il Larry O’Brien Trophy sarà qualcuno che non ci mette mano da almeno 50 anni. Indiana Pacers, Minnesota Timberwolves e Oklahoma City Thunder non lo hanno mai toccato con mano, mentre per i New York Knicks c’è bisogno di risalire fino al 1973. Eppure, come si addice alla Storia con la “S” maiuscola, non manca la ciclicità.
I Timberwolves tornano per il secondo anno di fila e non vedono l’ora di mettersi alle spalle la batosta subita dai Mavericks del “fu” Luka Dončić. I Thunder compaiono per la prima volta dallo smantellamento del nucleo sul quale si sono aggrappati fino al 2016. E lo fanno dopo aver battuto in Gara 7 Russell Westbrook, forse il giocatore più rappresentativo nella storia della franchigia. Pacers – anche loro al secondo anno di fila – e Knicks riaccendono una rivalità che ha infiammato gli anni ‘90, dopo essersi affrontate ai playoff nella passata stagione in una serie accesissima arrivata fino a Gara 7. Una ringkomposition (una “composizione ad anello”) quasi perfetta, propria di qualunque classico che si rispetti. Perché, sì, queste NBA Conference Finals sono già un classico, una storyline che rivoluziona la letteratura cestistica concepita dal 2000 in poi.
Eastern Conference, dal vecchio al nuovo
Di momenti iconici nelle sfide fra Indiana Pacers e New York Knicks se ne trovano a bizzeffe. Tra il 1993 e il 2000 queste squadre si sono incontrate in ben sei serie playoff e il conteggio si è chiuso sul 3 a 3, un pareggio perfetto. Tre sono stati anche gli incontri alle Conference Finals, confermando in tutto e per tutto la perfezione quasi religiosa di questa rivalità, che ha dato vita a serie di culto. Ancora oggi si ricordano i 25 punti di Reggie Miller nel quarto periodo di Gara 5 nel 1994 e ancora di più il suo trash talking con Spike Lee, culminato nel gesto del soffocamento. L’anno dopo, un ulteriore motivo per farsi odiare da tutta New York, segnando 8 punti in 9 secondi per vincere Gara 1 di una serie andata a Indiana.
Anche sponda Knicks ci sono numerosi ricordi memorabili, come la schiacciata in putback di Patrick Ewing in Gara 7 del 1994 per condurre i suoi alle NBA Finals, perse poi contro i Rockets. Anche se, purtroppo per lui e per la squadra newyorkese, sulle mani di Ewing ricade la responsabilità del momento forse più drammatico di tutte le serie fra le due potenze dell’est.
Il clamoroso layup sbagliato dal lungo dei Knicks nella fatidica Gara 7 del 1995
Adesso, però, tutto ciò non c’è più. I protagonisti sono nuovi, ma non per questo la qualità della storia è inferiore, come dimostrano i playoff dello scorso anno. I Knicks, falcidiati dagli infortuni, hanno comunque trovato il modo di portarla fino a Gara 7, prima di crollare sotto l’esplosione balistica dei Pacers. Indiana, salvatasi per miracolo dal forte rischio di andare 0-3 grazie a un game winner clamoroso di Andrew Nembhard, ha infatti chiuso Gara 7 al Madison Square Garden con il 67,1% dal campo, record NBA ai playoff, dopo un primo tempo da un irreale 76,3%. Anche qui, però, per quanto si parli di storia recente, bisogna considerare questo capitolo archiviato.
I Knicks sono una squadra molto diversa da quella dello scorso anno. Le aggiunte di Mikal Bridges e Karl-Anthony Towns tramite trade hanno rivoluzionato il roster, sacrificando Julius Randle e Donte DiVincenzo e perdendo Isaiah Hartenstein sul mercato per ragioni salariali. Il risultato? Un quintetto di All-Star e role player elitari, ma una panchina molto corta – quella che produce meno tra le squadre rimaste, soli 13,9 punti a partita ai playoff. Abbastanza comunque per superare degli ostici Pistons e soprattutto i campioni in carica dei Boston Celtics, dopo che in stagione erano stati piallati dai biancoverdi – 4-0 nei precedenti in regular season, con uno scarto medio di 16,25 punti a partita.
Cosa è cambiato per New York? In primis, l’intensità difensiva. La squadra ha capovolto il proprio rendimento: uno tra i migliori cinque offensive rating della regular season si è convertito ai playoff in una produzione mediocre, mentre il dodicesimo defensive rating stagionale si è traslato in una delle cinque migliori difese in post-season. Il merito è un adattamento più “moderno” rispetto alla drop coverage profondissima tipica di coach Thibodeau, una maggiore apertura verso i cambi difensivi per sfruttare il potenziale di questo roster, ricco di ali e di un centro mobile come Towns, molto più a disagio nel difendere il pitturato. I Celtics, spesso incapaci di creare vantaggio per arrivare in area, hanno “sparacchiato” per la maggior parte della serie, non trovando mai modo di mettere in difficoltà difensori d’élite come Bridges e OG Anunoby. E questo soprattutto nei minuti di Mitchell Robinson, vera arma segreta, sinora, dei Knicks.
I quintetti con lui e KAT, quindi con il doppio lungo, tengono gli avversari a soli 95,4 punti per 100 possessi, massimo percentile per questi playoff, con un net rating (la differenza fra produzione offensiva e difensiva) di +12,6, 88esimo percentile. Non poteva che essere la difesa a guidare i Knicks al traguardo più importante degli ultimi 25 anni, il manifesto di una piazza tanto accesa quanto tossica, che ai propri giocatori chiede soltanto una cosa: impegno.
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Nulla che gli Indiana Pacers, in fondo, non abbiano già affrontato. I Cleveland Cavaliers erano altrettanto duri, anche loro familiari con il doppio lungo, e sono stati spazzati via dal ritmo forsennato della squadra di coach Carlisle. La pericolosità di Indiana risiede nel pace, il settimo della Lega in stagione, ma ancora di più nella early offense, l’attacco prodotto nei primi secondi dell’azione, che costituisce oltre il 16% delle azioni offensive – dietro solo a OKC fra le squadre rimaste, ma con efficienza molto superiore, 58,7% di eFG contro il 50,9% dei Thunder. La serie con i Cavs si è giocata su questo, in quanto entrambe amano correre e trovare il tiro immediatamente. Semplicemente, i Pacers lo hanno fatto con più continuità e meno infortuni.
L’assetto con due lunghi di Cleveland è divenuto a tratti ingiocabile, aspetto che è finito con il togliere qualcosa sia in termini di rim protection, sia in quelli di rimbalzo offensivo, uno dei talloni d’Achille di questi Pacers in stagione, che hanno fatto registrare una Offensive Rebound Percentage del 28,3% concessa agli avversari sotto i tabelloni. Considerando che i Knicks recuperano il 38,7% dei rimbalzi offensivi disponibili quando sia Towns che Mitchell Robinson sono in campo, fare in modo di annientare questa soluzione sarà cruciale per Indiana, proprio come accaduto nella serie precedente.
Così come sarà prioritario ottimizzare le marcature di KAT e Jalen Brunson. Quest’ultimo sta facendo da generale in questi playoff, gestendo la partita fino al quarto periodo, dove segna 9,5 punti di media, per un totale di 114 (il secondo, Anthony Edwards, è a 76). I Pacers hanno sin qui gestito le superstar lasciandole giocare in isolamento, da sole sull’isola, ma limitando bene il contorno. Per questo sarà molto importante evitare eventuali exploit dei Bridges del caso e soprattutto di Towns.
Una soluzione trovata dai Celtics per arginare quest’ultimo è stata porre in marcatura su di lui un difensore più piccolo, come potrebbe essere Aaron Nesmith, ignorando poi Josh Hart per lasciare il lungo in aiuto. Una tattica che i Pacers potrebbero replicare con Myles Turner, che viaggia a 2,5 stoppate di media in questi playoff, leader assoluto della graduatoria. In questo caso, Andrew Nembhard, o chi per lui, si occuperebbe di Brunson, isolando ancora di più un attacco di per sé molto statico e dipendente dalla stella. Ritmo sostenuto contro isolamenti, ali agili e perimetrali contro il doppio lungo sotto i tabelloni, partita a scacchi contro dominio delle superstar: questa non sarà la solita serie tra Pacers e Knicks, ma è già un classico contemporaneo.
Some numbers to consider:
KAT's touches per 100 possessions this season by defensive player position:
G – 19.239
F – 32.070
C – 31.248KAT's points per 100 half-court match-ups by defensive player position:
G – 25.129
F – 26.720
C – 37.221— Caitlin Cooper (@C2_Cooper) May 18, 2025
Western Conference Finals, il nuovo mondo NBA
Il duello tra Shai Gilgeous-Alexander e Anthony Edwards varrebbe da solo il prezzo dell’abbonamento. Due giocatori e due personalità diverse, ugualmente affascinanti. Ma la serie tra Oklahoma City Thunder e Minnesota Timberwolves è molto di più. Sono le due squadre che più di tutte, nella Western Conference, hanno soddisfatto le esigenze moderne per una contendente al titolo: una stella giovane, un reparto lunghi solido, difensori perimetrali molto fisici e una rotazione lunga con diverse soluzioni dalla panchina. Eppure i due percorsi verso le Conference Finals sono stati l’uno l’opposto dell’altro.
Gli Oklahoma City Thunder si sono resi protagonisti di una delle migliori regular season della storia NBA: 68 vittorie e +13,6 di Net Rating (differenziale punti su 100 possessi) senza mai dare l’impressione di dover spingere davvero sull’acceleratore, nonostante il lungo stop per infortunio di Chet Holmgren. Mai una vera difficoltà e una marea di partite stravinte con un quarto d’anticipo. Il loro tratto distintivo è stata una difesa capace di tormentare ogni attacco affrontato. 107,4 punti subiti su 100 possessi, per distacco il miglior dato della lega. Non ha fatto eccezione il primo turno dei playoff, in cui i Thunder hanno spazzato via i Memphis Grizzlies giocando in seconda marcia.
Le difficoltà che non si sono presentate per mesi, però, hanno bussato alla porta tutte insieme durante la serie contro i Denver Nuggets. Una fase difensiva apparentemente senza difetti non è riuscita sempre a trovare risposte all’onnipotenza di Nikola Jokić e al suo gioco a due con Jamal Murray. L’attacco è caduto spesso in rotture prolungate a causa di una preoccupante mancanza di tiratori affidabili. Shai ha creato un’infinità di tiri smarcati, ma la squadra di coach Daigneault ha convertito le triple con appena il 32% dall’arco. Nei finali di partita, soprattutto quelli di Gara 1 e Gara 3, OKC ha invece pagato l’inesperienza su palcoscenici di questo tipo.
I Thunder hanno subito ferite e perso battaglie, ma hanno vinto la guerra. Hanno visto l’eliminazione in faccia in Gara 4 e in Gara 5, riuscendo a rimontare entrambe le volte. E hanno infine dominato a modo loro Gara 7, archiviando la pratica a fine primo tempo. L’eroe della serie è stato Alex Caruso. Segnare tanto non è il suo mestiere, ma ha fatto magistralmente tutte le piccole cose, in ogni singolo capitolo della serie. E in Gara 7 ha chiuso in bellezza marcando, dall’alto dei suoi 196 centimetri, un bestione come Jokić e mandando in tilt l’attacco dei Nuggets.
Alex Caruso vs. Nikola Jokic.
100 pounds. 6 inches. A matchup few believed in.But last night, Caruso delivered a defensive masterclass, making it nearly impossible for Jokic to even get the ball.
Here’s how he did it — play by play. 🧵 pic.twitter.com/P5i6HF0tKw
— Michael Jagacki (@Mike_Jagacki) May 19, 2025
I Timberwolves, invece, le NBA Conference Finals le hanno già giocate l’anno scorso, eppure nessuno fino a due mesi fa avrebbe scommesso su di loro. Hanno faticato enormemente in entrambe le metà campo ad adattarsi al cambiamento drastico del roster avvenuto in estate, con la partenza di Karl-Anthony Towns e l’arrivo di Julius Randle e Donte DiVincenzo. A dicembre sembravano una squadra sul punto di esplodere in mille pezzi. Poi hanno chiuso la regular season vincendo 17 delle ultime 21 partite, si sono sbarazzati dei Los Angeles Lakers di LeBron James e Luka Dončić in cinque gare al primo turno dei playoff e hanno fatto lo stesso con i Golden State Warriors, complice anche l’infortunio di Stephen Curry.
È tornata la difesa di Minnesota, quella vera, capace di tenere gli avversari a 108,2 punti segnati su 100 possessi. E al di là del solito Edwards in versione playoff, Julius Randle sta giocando la miglior pallacanestro della sua carriera. Si è lasciato alle spalle uno storico di fallimenti in post-season e sta viaggiando a 24 punti e 6 assist di media con il 50% dal campo e il 35% da 3 punti.
In 10 playoff games, Julius Randle is averaging 23.9 PPG on 50.9 FG%, 5.9 RPG and 5.9 APG.
In the past 60 years, he joins Lebron James, Kawhi Leonard, Willie Anderson and Walter Davis to average 20.0+ PPG/50.0+ FG%/5.0+ RPG/5.0+ APG in their first 10 playoff games with a team. pic.twitter.com/l9Ef5nWERy
— Timberwolves PR (@Twolves_PR) May 17, 2025
Si affrontano le due migliori difese di questi playoff, con due filosofie simili: lunghi efficaci nella protezione del ferro e difensori perimetrali fisici. Da un lato Jaden McDaniels e Nickeil Alexander-Walker, dall’altro Lu Dort e Caruso, mandati in missione sui palleggiatori con il compito di far sentire la propria presenza in ogni modo consentito dal metro arbitrale. Per diversi tratti potrebbe sembrare più uno scontro di pugilato che una partita di basket ed è esattamente ciò che entrambe le squadre desiderano. E, come spesso accade in questi casi, la differenza la faranno gli attacchi. Chi saprà soffrire di meno nei momenti decisivi?
Per i Timberwolves la chiave sarà limitare le palle perse. In regular season sono stati piuttosto carenti in questo particolare (14,6 palle perse su 100 possessi) e di fronte hanno la miglior difesa in assoluto per palle recuperate (17,1 su 100 possessi). Viste le abilità atletiche dei Thunder in transizione, quasi ogni possesso perso si traduce in un canestro subito. OKC, invece, deve necessariamente migliorare le percentuali al tiro. Coach Chris Finch probabilmente adotterà una strategia simile a quella di Denver, con più talento difensivo a disposizione. Shai si troverà ad affrontare un’area intasata e l’unica chiave per aprirla sono i canestri di Jalen Williams, Holmgren, Dort, Caruso e Cason Wallace sugli scarichi. La logica dice Oklahoma City favorita, ma mai come nell’NBA di oggi i pronostici possono essere ribaltati. E con un giocatore come Anthony Edwards e una squadra profonda come Minnesota, tutto è possibile.