La crisi del calcio italiano sta vivendo probabilmente il periodo peggiore da quando è nato questo magnifico sport. Sconfitte cocenti della nazionale e immobilismo degli alti vertici stanno velocemente portando il movimento a un punto di non ritorno. Ma il baratro su cui abbiamo appena posato gli occhi è ben più profondo e coinvolge il sistema calcio a tutte le latitudini. In Serie C e in Serie B, in particolare, si accentua lo stillicidio di squadre che non riescono più ad iscriversi ai campionati. Si annunciano da anni “riforme” per il calcio, ma la situazione è ormai vicina all’irreversibile.
La Serie C a pezzi
Dal 2011 si sono verificati più di ottanta fallimenti e sono stati comminati quasi 500 punti di penalizzazione. Un’enormità. Che ci sia qualcosa di malato è evidente, ma chiunque si sia avvicendato sulle poltrone della dirigenza del terzo campionato italiano – e più in generale, su quelle apicali del movimento – sembra non capire in che modo evitare ogni anno questo disastro. Solo in questa stagione sono scomparse Taranto (colpito anche da 19 punti di penalizzazione) e Turris a campionato in corso oltre a Spal, Lucchese, Foggia e Triestina alla fine del torneo. A queste si aggiunge il Messina, retrocesso in D, su cui aleggia lo spettro del fallimento per un debito di oltre due milioni. Per contestualizzare con qualche dato, secondo un’inchiesta della Gazzetta dello Sport nell’anno 2023-24 la Serie C italiana ha registrato una perdita aggregata di 140 milioni di euro. E per la stagione appena conclusa non ci si discosta troppo da quelle cifre. Perdita che è stata in gran parte alimentata da proprietà deboli o addirittura inesistenti, che compongono una porzione significativa delle società attualmente presenti nella terza serie italiana.
La serietà e la solvenza delle proprietà è un altro grande tema: sempre più di frequente abbiamo avuto a che fare con personaggi dubbi, dalla trasparenza discutibile, soprattutto per quanto riguarda le disponibilità economiche utili a far funzionare la macchina di un club di Serie C. Possibile che gli organi di controllo federali (Covisoc) e di lega non riescano a verificare la solvibilità di certi personaggi che entrano nel mondo del calcio? Possibile che l’accesso alle proprietà di club di terza divisione sia così semplice da consentire a chiunque di assumere la presidenza di un club senza dover presentare adeguate garanzie o bilanci delle proprie attività?
Possibili contromisure alla crisi del calcio italiano
Da anni si discute di una possibile riforma per rendere più sostenibile la Serie C, ma non c’è mai la vera intenzione di modificare un sistema che non produce ricchezza: ogni anno, a questo punto della stagione, vengono fatti gli stessi discorsi, ma l’immobilismo regna sovrano. Dal 2000 a oggi sono quasi 200 le squadre professionistiche colpite da dissesto finanziario a tutti i livelli del calcio italiano: in C, come già anticipato, ci sono stati quasi 100 fallimenti, rinunce preventive comprese. Le riforme dovrebbero essere strutturali e abbracciare gli aspetti economici e organizzativi per cercare di rendere la competizione prima equilibrata, poi appetibile ad un pubblico sempre maggiore. Per prima cosa, occorre rivedere il numero di partecipanti: 60 squadre, divise in tre gironi, sono un’enormità per il professionismo in un campionato che non genera ricavi. Ridurre il numero a 40, con due gironi da 20, aumenterebbe la competitività e ridurrebbe i costi di gestione. Un’alternativa alla riduzione potrebbe essere tornare a un sistema simile a quello preesistente, con una C1 “PRO” (20 squadre) e una C2 semi-professionistica (40 squadre), per garantire un miglior livello tecnico nella categoria principale. Di conseguenza andrebbe rivista la formula dei playoff e dei playout, magari con partite secche per aumentare l’interesse e con la possibile introduzione di Final Four in campo neutro per assegnare la promozione.
Un altro passo importante potrebbe essere un maggiore sostegno economico con l’aumento della distribuzione dei diritti TV, tramite un possibile accordo più vantaggioso con broadcaster nazionali o piattaforme di streaming. Sempre a livello finanziario, sarebbe utile l’introduzione di un salary cap per evitare spese folli e favorire la sostenibilità economica, oltre a incentivi per la crescita dei settori giovanili e per il fair play finanziario. A proposito della valorizzazione dei giovani, si potrebbe puntare su premi per le squadre che lanciano giocatori che poi approdano in Serie A o B. Proprio la sostenibilità dei club deve essere uno dei punti focali e tutto deve partire anche da regolamenti più rigidi, con un maggiore controllo sui bilanci per evitare fallimenti a campionato in corso. L’introduzione di una licenza per iscriversi, simile a quella della Bundesliga, potrebbe andare in quella direzione, accompagnata di pari passo da incentivi fiscali per chi investe nei club in modo sano.
Tutto questo non può prescindere dal miglioramento delle infrastrutture, perché molti stadi sono vecchi e poco attrattivi per i tifosi. Ovvio che questo sia un problema endemico dell’Italia a tutti i livelli, ma in Serie C la situazione rasenta il grottesco. L’ideale sarebbe averne anche di più piccoli ma moderni, con esperienze migliori per i tifosi, dai bar ai musei fino agli eventi collaterali, per far crescere la comunità intorno alla squadra. Andrebbe previsto un sostegno economico per i club che investono in ristrutturazioni e l’obbligo di adeguamento delle strutture per le squadre che vogliono iscriversi al campionato.
Infine, un’idea interessante per cercare di avvicinare sempre più persone, potrebbe essere l’introduzione del cosiddetto 3pm blackout, come lo chiamano in Inghilterra. Una tradizione avviata a inizio anni ’60 da Bob Lord che vieta per legge la trasmissione televisiva delle partite tra le 14.45 e le 17.15 del sabato. Secondo l’allora presidente del Burnley, le partite trasmesse in tv danneggiavano pesantemente i club minori, che vedevano calare l’affluenza allo stadio in maniera drastica e così riuscì a convincere gli altri presidenti di Lega a sostenerlo in questa battaglia. Con la collaborazione tra le leghe si potrebbe prendere spunto da questo e pensare ad un qualcosa di simile per cercare di portare più gente allo stadio.
Se la C piange, la B non ride: i casi Cosenza, Brescia e Sampdoria
Gli alti costi di gestione e la scarsa oculatezza nella gestione tecnica dei club non generano disastri solo in Serie C. Ormai da qualche anno anche la Serie B offre diversi esempi di gestione finanziaria disastrosa. Nelle ultime 20 stagioni, solo in una non sono stati comminati punti di penalizzazione dovuti a inadempienze fiscali o a veri e propri illeciti sportivi/amministrativi. Con il record di otto squadre penalizzate nella stagione 2013-14 e i 20 punti inflitti al Palermo nella stagione 2019-20 si pensava di avere toccato il fondo. Almeno fino ad oggi. La stagione appena trascorsa potrebbe essere il sottofondo di un romanzo giallo, nel quale, quando sembra di aver scoperto l’assassino, arriva il colpo di scena che non ti aspetti, che sovverte ogni previsione. Cosenza, Brescia e Sampdoria hanno dato vita al più inaspettato teatro dell’assurdo. Con la regia della Federazione e della Lega Serie B.
La società del presidente Guarascio attraversa già dallo scorso anno una crisi economico-finanziaria di rilievo. Sulla società aleggiano più che fondati sospetti di autoriciclaggio, un’accusa ben più grave di qualche inadempienza fiscale, che è comunque presente e che aiuta a formare la situazione debitoria del club. Con la retrocessione in terza serie, quindi, si avvicina anche lo spettro del default della società. Le ombre su uno scneario decisamente più grave di semplici problemi finanziari derivano anche dalla mancata comparsa di qualsivoglia soggetto interessato al rilevamento del Cosenza. La documentazione finanziaria non è ancora stata visionata da nessuno e ormai il tempo per adempiere agli obblighi fiscali per l’iscrizione alla prossima stagione sta scadendo. Il Cosenza già in passato era stato retrocesso sul campo ed era poi riuscito a ritornare tra i cadetti, ma questa volta sembra che la discesa in C sia veramente il minore dei mali.
Il caos intorno al Brescia, invece, assume i contorni di una commedia degli equivoci: in data 17 maggio 2025 la Procura Federale riceve dalla Covisoc una segnalazione, in cui si denunciava che il mancato versamento da parte del Brescia di una quota parte delle ritenute IRPEF e dei contributi INPS dovuti per le mensilità di novembre e dicembre 2024, gennaio 2025 e febbraio 2025, per un totale complessivo di 1.885.161,00 euro. Secondo la Covisoc, gli importi erano stati “coperti” non tramite bonifici o versamenti diretti, ma mediante l’impiego in compensazione di crediti di imposta acquistati da terzi, in particolare dalla società Gruppo Alfieri SPV. Questi crediti di imposta risultavano però essere inesistenti. La procura trasmette gli atti al Tribunale, che condanna il Brescia a 8 punti di penalizzazione. E, perché la pena risulti veramente afflittiva, 4 punti sono da scontare in questa stagione e 4 nella successiva: quanto basta per mandare in Serie C le Rondinelle, costringendo la già retrocessa Sampdoria a giocarsi i playout contro la Salernitana e salvando il Frosinone.
Ma davvero tutto è emerso solo a ridosso del termine della stagione? Sembrerebbe proprio di no. Le informazioni erano in possesso della Covisoc già da febbraio, quando l’ente avrebbe richiesto ulteriori verifiche all’Agenzia delle Entrate di Brescia. L’Agenzia delle Entrate risponde però solo il 9 maggio, il giorno del pareggio tra Brescia e Modena che garantisce virtualmente la salvezza alle Rondinelle. Il che getta più di un’ombra sul corretto svolgimento di indagini e sentenza. Senza contare che, per sapere cosa fosse realmente il Gruppo Alfieri, basta davvero poco per un giornalista, figurarsi per un inquirente. Nel frattempo il patron del Brescia Cellino non ha provveduto al pagamento dell’iscrizione al prossimo campionato di Serie C, condannando la società al collasso e alla ripartenza dall’Eccellenza.
La vicenda in casa Sampdoria è probabilmente quella più rumorosa: la stagione 2024-25 ha visto la retrocessione della squadra Primavera e di quella femminile oltre al controverso caso della prima squadra maschile. Se in un primo momento, al termine del campionato di Serie B, sul campo la squadra genovese aveva conosciuto l’onta della caduta fino alla terza serie, i fatti del 17 maggio 2025 hanno ribaltato la classifica, mandando i blucerchiati al playout contro la Salernitana. La Sampdoria è costantemente oggetto di indagini giudiziarie a causa dell’accordo di stralcio dei debiti firmato nel 2013. L’ultimo bilancio al 31 dicembre 2024 si è chiuso con una perdita di 40,6 milioni di euro, con un rosso in aumento di oltre 10,7 milioni rispetto alla perdita registrata nell’esercizio 2023.
Come sia possibile far iscrivere ad un campionato – e permetterle di fare mercato – una squadra nei fatti già fallita rimane un mistero. Misteri che diventano sbigottimento quando si vanno a leggere le motivazioni che hanno consentito la partecipazione ai cadetti. Come spiegato dalla stessa Sampdoria nel 2023, per rientrare dei propri debiti era stato predisposto un piano che prevedeva alcuni punti fondamentali come un’azione di risanamento sino al 30 giugno 2026, il ritorno in Serie A al termine della stagione 2023-24, con permanenza in massima serie nelle stagioni successive e plusvalenze per 56 milioni complessive nei quattro anni del piano (di cui 17 milioni nel 2024-25 e 14,6 milioni nel 2025-26). Una situazione paradossale, tanto più con la minaccia concreta della retrocessione in C sulla testa della società blucerchiata che, nei fatti, avrebbe impedito di adempiere a ognuno dei punti precedenti.
Da un punto di vista economico, poi, uno dei primi elementi rilevanti in caso di retrocessione sarebbe stata la revisione dei contratti dei calciatori: il monte ingaggi per la stagione 2024-25 era pari a circa 20 milioni di euro, troppo alto per la Serie C (considerando che il Catania, al top della categoria, ne pagava circa 11,6 milioni). Un intervento sui costi sarebbe stato doveroso, vista la restrizione del margine sui ricavi. Ma sarebbe stato necessario considerare gli effetti negativi in particolare sui diritti tv, visto che i blucerchiati sarebbero passati dai circa 5 milioni della Serie B ai 100mila euro della terza divisione. Insomma, in caso di Serie C, il crac sarebbe stato pressoché annunciato.
La Salernitana, altra squadra in causa nelle querelle tra Brescia e Sampdoria, ha subito impugnato la decisione del Tribunale Federale prima e della Lega Serie B poi, chiedendo di non disputare i playout dopo che questi erano stati in un primo momento rinviati al 15-20 giugno. Il 13 giugno il Tribunale Federale Nazionale ha respinto la richiesta della Salernitana confermando le date dei playout. Ciò che suscita perplessità è la totale mancanza di trasparenza nelle operazioni e la totale inadeguatezza delle figure apicali nel far rispettare dei regolamenti che, in moltissimi casi, sono più che altro una traccia e non un vero vademecum da rispettare.
Il sistema delle penalizzazioni ha dimostrato di non funzionare: i casi, come detto in precedenza, si ripetono ogni anno. Probabilmente questa modalità afflittiva non è deterrente a sufficienza, anche in considerazione del fatto che la giustizia ordinaria viene spesso chiamata in causa per andare oltre i gradi di giudizio di quella sportiva e sanare le questioni che sfavoriscano una o un’altra parte in causa. Forse potrebbe essere una soluzione far sì che siano puniti i legali rappresentanti delle società, perché tollerare senza conseguenze evidenti operazioni di bancarotta, d’insolvenza fraudolenta, di truffa o di riciclaggio non giova assolutamente all’immagine del campionato e del sistema calcio nella sua totalità. Avrebbe forse senso addirittura costituirsi in giudizio contro speculatori senza scrupoli.
Ad oggi tutto tace, il ministro Abodi, il presidente federale Gravina e quello della Lega Serie B Bedin mai hanno cercato di prendere in mano la situazione, rilasciando al contrario dichiarazioni al limite del farneticante su fantomatici progetti per il nuovo corso della Nazionale di calcio maschile. In questo contesto, l’unica speranza sensata per il malato calcio è l’eutanasia.