Il Como prima degli Hartono, dalla A ai fallimenti

Prima di essere la socità glamour sulla bocca di tutti, il Como ha vissuto anni difficili.

Ora è tutto così tremendamente facile: c’è un allenatore con una carriera illustre nel suo passato di calciatore e che già attira l’attenzione dei grandi club nel nuovo ruolo (Cesc Fàbregas), un parco giocatori di assoluto valore (tra i tanti Nico Paz, Diao, Caqueret, Baturina e i molti giovani acquistati nel corso di questa campagna acquisti) e soprattutto una proprietà tra le più ricche al mondo, quella dei fratelli Robert e Michael Hartono, il cui patrimonio complessivo è stimato in oltre 45 miliardi di dollari. Tifare o simpatizzare per il Como è quasi il tormentone del momento: una società che ha speso oltre 100 milioni di euro nelle prime due settimane di calciomercato estivo 2025 è vista come una mosca bianca nel flebile panorama calcistico italiano, ormai lontano anni luce dal periodo d’oro delle spese monstre.

La proprietà è stata capace anche di dare vita a una propria manifestazione casalinga, la recente “Como Cup”, che ha visto sfidarsi squadre prestigiose come Ajax, Al-Ahli e Celtic Glasgow, creando un connubio estivo perfetto tra sport e turismo. Senza dimenticare che nei mesi scorsi, riportato il club in Serie A dopo ventuno anni di assenza, gli Hartono sono riusciti a far sfilare sulle sofferenti tribune dello stadio Sinigaglia varie celebrità del calibro di Keira Knightley, Hugh Grant, Michael Fassbender, Andrew Garfield e Adrien Brody. Qualcosa di mai visto nella città lariana, che al massimo aveva ospitato qualche vecchia gloria e nulla più. Eppure i fratelli Hartono hanno guardato oltre l’orizzonte, vedendo nel Como e in Como un marchio glamour su cui investire, quando decisero di rilevare il club nel 2019. Hanno trasformato una realtà di nicchia in qualcosa di più alla moda.

L’ultima volta in A e l’inizio della fine

Ma i vecchi tifosi, quelli che c’erano anche durante i periodi più neri e burrascosi, non dimenticano il passato. E ricordano “quando il Como era il Como”. Non il gioiello di oggi, in cui trovi merchandising ovunque appena giri ogni angolo della città ma l’epoca dove, anzi, ti guardavano strano se chiedevi un gadget o una semplice sciarpa biancazzurra. Il Como degli ultimi vent’anni è stato qualcosa per pochi, simbolo di un periodo di estrema sofferenza. Tuttavia un entusiasmo contagioso si era respirato anche a inizio millennio, quando il visionario Enrico Preziosi, noto come il “Re dei Giocattoli”, costruì una squadra che riaccese l’entusiasmo della piazza e conquistò uno storico doppio salto dalla Serie C1 alla A nel giro di due stagioni. Era il Como del taciturno ma fenomenale mister Loris Dominissini, scomparso qualche anno fa, composto da giocatori come Alex Brunner, Oscar Brevi, Cristian Stellini, Francesco Bega, Vedin Musić, Francesco Pedone e Lulù Oliveira, capaci di scrivere una pagina epica della storia del club.

Invece il giocattolo – è proprio il caso di dirlo – si ruppe nella stagione di Serie A 2002-03 quando lo stesso presidente Preziosi iniziò la sua opera di rifondazione nella maniera sbagliata: via molti protagonisti della promozione, dentro figurine a fine carriera come Benoît Cauet, Pasquale Padalino, Fabrizio Ferron, Fabio Pecchia, Benny Carbone e Daniel Fonseca. Mister Dominissini fu esonerato in corsa e sostituito da un Eugenio Fascetti anch’esso al tramonto della propria professione. Il risultato finale, inevitabile, si concretizzò in una stagione calcisticamente tremenda, che sentenziò la retrocessione in Serie B con 14 punti di ritardo dalla zona salvezza, senza mai aver avuto realmente una speranza di mantenere la categoria.

Laddove oggi si vedono le gesta di campioni e vip sulle tribune, in quegli anni ci si ricorda di fumogeni e sanitari lanciati in campo durante un Como-Udinese del 18 dicembre 2002, quando i tifosi, esasperati dai continui torti arbitrali – in quella partita furono fischiati due rigori agli ospiti – se la presero con l’arbitro Saccani e causarono la sospensione del match. Il rapporto con la piazza si incrinò irrimediabilmente: Preziosi, intenzionato a comprare il Genoa, cedette il pacchetto di maggioranza ad Aleardo Dall’Oglio, ma nel giro di pochi mesi i libri contabili del Como vennero spediti in tribunale e la società dichiarata fallita il 22 dicembre 2004.

Le speranze, la moglie di Essien e il nuovo fallimento

Con la gestione societaria affidata a Paolo Barzaghi, il Como non riuscì a iscriversi neanche al campionato di Serie C1 e venne spedito tra i Dilettanti. I tifosi passarono rapidamente dalle sfide a Inter, Milan e Juventus a gare contro avversarie come Nuorese, Tritium, Oggiono e Caravaggio. I lariani vi rimasero intrappolati fino al 2008, poi fu finalmente Lega Pro. L’anno dopo un altro salto di categoria (dalla Seconda Divisione, vecchia C2, alla Prima) e le speranze di un futuro finalmente sereno col presidente Antonio Di Bari.

Era il Como dei Matteo Guazzo, Luca Facchetti (figlio di Giacinto), Stefano Salvi, Diogo Tavares e Giuseppe Cozzolino. Nel 2012 si svolta nuovamente, la società passa all’imprenditore comasco Pietro Porro, determinato a smentire il vecchio adagio secondo cui nessuno è profeta nella propria terra. Una gestione fatta di entusiasmi e cadute, fino alla promozione in Serie B ottenuta nella finale playoff del giugno 2015 contro il Bassano: una stagione che stava per essere cestinata, cambiata dal nuovo tecnico Carlo Sabatini – in panchina al posto dell’esonerato Giovanni Colella dal febbraio dello stesso anno – e dai gol pesanti di un figlio d’arte, Simone Andrea Ganz.

Como si riaccendeva per i propri colori e quell’estate iniziava a sognare in grande: lo stesso presidente Porro riuscì a portare in biancazzurro il portiere Simone Scuffet ma anche Marco Cassetti, Giulio Ebagua e un giovane Nicolò Barella, arrivato giovanissimo in prestito dal Cagliari per maturare esperienza in B. La stagione però prese subito una brutta piega, si susseguirono ben tre tecnici (lo stesso Sabatini, quindi Gianluca Festa e Stefano Cuoghi) e il Como retrocesse nuovamente in terza serie. Dove la squadra, rifondata con mister Fabio Gallo e giovani di prospettiva come un altro futuro campione d’Europa quale Matteo Pessina, si comportò egregiamente e chiuse al sesto posto, venendo poi eliminata ai playoff dal Piacenza. Ma si respirava un clima pesante: i brutti sentori già vissuti nel 2004 stavano tornando.

Il presidente Porro entrò in una spirale debitoria inarrestabile e nel 2016 il Calcio Como fu dichiarato fallito e proseguì la stagione in regime provvisorio. Condannato agli arresti domiciliari, lo stesso Porro anni fa ricordò così quel periodo:

Ho poco da dire. Anzi, due cose: che ho pagato. E che ho il rammarico di essere stato trattato come uno che si è intascato del danaro, quando invece lo ha messo. Avrei dovuto vendere il Como quando mi arrivò l’offerta di Mike Piazza, Ma eravamo appena andati in B, c’era entusiasmo. E poi eravamo tre soci, quando a uno venivano i dubbi, gli altri due lo convincevano ad andare avanti.

La rinascita della società passò prima, però, dall’incredibile farsa della signora Akosua Puni, la moglie di Michael Essien, calciatore famoso all’epoca per i suoi trascorsi tra Chelsea e Milan. Rilevò il club da Porro, fece una conferenza stampa in grande stile e poi si dileguò. Morale? Il Como non venne iscritto e fu retrocesso d’ufficio. Il sipario calò nel silenzio generale: un’altra pagina grottesca da aggiungere alla cronaca lariana.

Hartono ha cambiato per sempre il Como

Nell’estate 2017 sono arrivati gli imprenditori Massimo Nicastro, Roberto Felleca e Roberto Renzi a fondare il Como 1907 S.r.l. La squadra è riuscita a tornare nel professionismo e approdare in Serie C solo al termine della stagione 2018-19, dopo aver dominato il girone B sotto la guida del tecnico Marco Banchini e trascinata dal bomber Alessandro Gabrielloni, ancora oggi in rosa. Una stagione che, tuttavia, ha segnato un altro momento cruciale nella rinascita della società lariana: era il 4 aprile 2019, quando il Como è stato venduto alla società britannica SENT Entertainment, legata ai fratelli Hartono. Tra lo scetticismo generale, come prevedibile in una piazza che ne aveva passate di cotte e di crude. Ma si trattava dell’inizio di una nuova, incredibile era.

Dall’inizio soft con interventi mirati ma significativi per la categoria fino al 2021, quando è arrivata la promozione in Serie B grazie a mister Giacomo Gattuso, ex calciatore biancazzurro. Quindi il rinforzo della struttura societaria con elementi di spicco quali Dennis Wise (ex gloria del Chelsea) e Carlalberto Ludi, tuttora mente operativa sul mercato. Ma soprattutto investimenti pesanti per riportare a casa un comasco doc come Patrick Cutrone e addirittura per finalizzare il prestigiosissimo ingaggio del centrocampista spagnolo Cesc Fàbregas. Nessuno poteva ancora immaginare quanto questa mossa avrebbe inciso: il Como era già nel futuro.

Nell’inverno 2023 lo stesso Fàbregas, appese le scarpe al chiodo mesi prima, accetta di sostituire l’allenatore Moreno Longo in panchina e comincia la semina del Como che verrà: filosofia offensiva e un’idea di gioco propositiva ed europea. E grazie al suo lavoro, il 10 maggio 2024 arriva l’approdo in quella Serie A che mancava dai tempi di Preziosi e Dominissini. Il momento in cui ogni tifoso ha rivisto, nella mente, i gradini di quel lungo saliscendi emotivo, dai fallimenti alla rinascita, passando per le illusioni e lo scetticismo.

Oggi il Como incanta col suo gioco armonioso, la famiglia Hartono prosegue negli investimenti, si permette di trattare col Real Madrid per Nico Paz, strappa gioielli in giro per l’Europa, sogna uno stadio Sinigaglia riqualificato e moderno, attira vip e clienti importanti che, di certo, non si sarebbero mai avvicinati per assistere agli incontri con la Villacidrese, senza voler mancare di rispetto alla società sarda. Questo è il Como nel 2025. Eppure, in ogni angolo dello stadio, aleggia ancora il ricordo di quando tutto sembrava destinato a svanire.

Un’intervista della Lega Serie A ad Alessandro Gabrielloni, che ripercorre la cavalcata personale e del Como dalla D alla A

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