Parte la caccia all’anello: i Power Ranking NBA 2025-26

Con la stagione alle porte ecco i Power Ranking NBA 2025-26.

Meno di un mese e torneranno finalmente le sveglie a ogni ora della notte, tornerà il momento di far sembrare la privazione del sonno un toccasana. Tornerà la NBA, il 21 ottobre. Solo tre settimane, perfette per prepararsi al meglio alla prossima stagione, seguendo gli aggiornamenti dal training camp, guardando qualche amichevole e stilando i Power Ranking NBA 2025-26, ossia la classifica che stabilisce quelle che, sulla carta, sono le gerarchie tra le squadre.

Un esercizio utile tanto a contare il numero immenso di granchi presi a fine stagione, quanto a farsi un’idea di quelle che sono le ambizioni e gli equilibri NBA allo stato attuale. Per facilitare la comprensione dei rapporti di forza tra le squadre, conviene dividerle in categorie, dalla più alla meno competitiva, valutando non solo se Team A è meglio di Team B, ma anche il contesto della Conference e la potenziale competitività in ottica playoff.

Le contender

Le contender sono quelle squadre candidate a vincere il titolo, delle vere e proprie macchine da guerra. Questa è la definizione degli Oklahoma City Thunder, campioni in carica, guidati dall’MVP Shai Gilgeous-Alexander, affiancato da alfieri perfetti quali Jalen Williams e Chet Holmgren e soprattutto da un supporting cast completo. Questa non è la base solo per un titolo, ma per una dinastia. OKC non ha pagato la luxury tax nel 2025 e non la pagherà a meno di stravolgimenti nel 2026, annata per la quale ha optato per la continuità, confermando il roster completo di quindici giocatori già sostanzialmente a fine stagione. Come può una squadra con i contratti di un MVP e due All-NBA appena confermati a cifre da capogiro viversela così tranquillamente ai tempi del secondo apron?

Il capolavoro è tutto di Sam Presti, che al tempo ha fatto firmare a Gilgeous-Alexander un accordo privo di player option. E così l’enorme impatto della sua estensione arriverà solo nel 2027-28, rendendo sostenibili nel breve Holmgren e Williams e rimandando il pagamento della tassa. Il secondo apron, come detto, non sarà una minaccia fino al 2028, quando i Thunder avranno comunque già deciso cosa fare con valvole di sicurezza quali le opzioni sui contratti e potranno “risparmiare” sfruttando le infinite scelte al Draft. Una schiacciasassi in regular season – chiusa con 68 vittorie e con uno scarto complessivo di +1,055 punti, il più alto mai registrato – e ai playoff. Resta solo da capire chi potrà provare anche solo a rallentarli.

La minaccia più vicina arriva dalla Western Conference ed è rappresentata dai Denver Nuggets. Ai passati playoff, hanno portato i Thunder a Gara 7, finita con un blowout anche al netto di un Aaron Gordon (eroico) infortunato. Adesso, però, ci sono tutti i presupposti per una vendetta. L’offseason in Colorado ha ridato vita a un ciclo, quello di Nikola Jokić, che sembrava quasi avviarsi verso un’inesorabile fine. Il pesante salario di Michael Porter Jr. è stato trasformato con una trade in Cam Johnson e spazio salariale, utile a muoversi in tranquillità sotto il secondo apron senza restrizioni. E così sono arrivati anche Jonas Valanciunas, Tim Hardaway Jr. e Bruce Brown, oltre a una potenziale eccezione da 14,1 milioni di dollari ancora lì da usare, anche se probabilmente si opterà per il risparmio.

Adesso c’è tutto quello che serve a una squadra con Jokić: in Cam Johnson, un tiratore di movimento dal 39% da tre punti, capace di mettere palla a terra e attaccare il closeout anche meglio di MPJ; un’altra arma dall’arco, sugli scarichi e occasionalmente dal palleggio, in Tim Hardaway Jr., peraltro molto esperto; il ritorno di un perfetto complemento sulle due metà campo, il tuttofare Bruce Brown; un centro di riserva solido ed esperto come Valanciunas. L’obiettivo è quello di ripetere l’usuale regular season di alto livello, da prime quattro nella Western Conference, e di arrivare il più riposati possibile ai playoff, sperando di ottenere qualcosa dalla panchina anziché solo dai titolari. A ovest, se Jokić continuerà a mantenere il livello surreale delle ultime stagioni, sembrano i soli capaci di infastidire davvero i Thunder.

A est, invece, il livello medio è molto più basso. Come sempre negli ultimi anni, ma questa volta anche a causa di numerosi infortuni al tendine d’Achille: i Pacers non avranno Tyrese Haliburton, i Celtics hanno smontato momentaneamente tutto in assenza di Jayson Tatum, i Bucks addirittura tagliando Damian Lillard. Restano i soliti Cleveland Cavaliers, reduci da una stagione da 64 vittorie e storica per numeri entro l’All-Star Game, ma crollati ancora una volta prematuramente ai playoff contro una Indiana mattatrice della Conference orientale. Pregi e difetti sono sempre quelli: la squadra è profondissima, è arrivato anche Lonzo Ball assieme a qualche aggiunta marginale nel frontcourt (Thomas Bryant, Larry Nance Jr.), ma Darius Garland comincerà un’altra stagione ai box a causa di una frattura all’alluce dopo l’ennesima postseason deludente da acciaccato. Cleveland ha un attacco veloce, forse fin troppo dipendente da un metronomo che tende a funzionare solo a fasi alterne.

Con tutte queste incognite, dovranno essere bravi i New York Knicks a sfruttare l’occasione. Non c’è più la scusa delle rotazioni “infernali” di Tom Thibodeau, sostituito da un coach sulla carta più moderno come Mike Brown, e non c’è più la scusa del roster corto. Sono arrivati Jordan Clarkson e Guerschon Yabusele, due role player di lusso per una squadra infognata nei limiti del secondo apron, e quel che resta di Malcolm Brogdon al minimo. Con Brown è lecito aspettarsi in primis più minuti alle riserve e una produzione superiore per quella che è stata la peggiore panchina della passata stagione per distacco – 21,7 punti di media, 4,5 in meno della penultima. Poi, soprattutto, una maggiore ottimizzazione degli enormi mezzi offensivi a disposizione, con due primi violini molto più complementari sulla carta di quanto intravisto nel pratico come Jalen Brunson e Karl-Anthony Towns – e Brown ha avuto esperienza anche con il duo Fox-Sabonis a Sacramento.

Le Finali di Conference raggiunte lo scorso anno sono arrivate quasi a sorpresa, ma adesso sono l’obiettivo minimo al netto del payroll elevatissimo, dell’ennesima estate di grande attività sul mercato e soprattutto di un est ancora più indebolito. Aspetto, quest’ultimo, che dovrebbe avvantaggiare squadre come New York e Cleveland anche nel corso della stagione regolare, permettendo di tirare un po’ di più il fiato in ottica playoff.

Le possibili sorprese dei Power Ranking NBA 2025-26: le pretender

La differenza tra est e ovest comincia a farsi piuttosto pesante. Il livello medio infimo della parte orientale del tabellone porta a considerare in questo tier squadre in ascesa che però hanno ancora molto da dimostrare come Orlando Magic e Detroit Pistons. Entrambe giovani, entrambe talentuose, entrambe senza nemmeno una serie playoff vinta nelle ultime tre stagioni – due uscite al primo turno per Orlando, una per i Pistons. Anzi, volendo offrire un piccolo specchietto storico, i primi non vincono una serie dal 2010, i secondi dal 2008.

Detroit potrebbe perfino aver perso qualcosa, con le partenze di due pietre angolari come Tim Hardaway Jr. e (forse) Malik Beasley, anche se il reintegro di Jaden Ivey dopo la frattura al perone sinistro potrebbe dare nuova linfa alla squadra, che comunque ha aggiunto Caris LeVert e Duncan Robinson, scorer e arma perimetrale di buon livello. Qualora Sixers e Bucks dovessero ancora litigare con sé stesse, sebbene non si tratti di uno squadrone, i Pistons potrebbero ambire a vincere almeno una serie. Orlando sembra costruita meglio, seguendo la falsariga dei Thunder e puntando sulla continuità. Il nucleo composto da Paolo Banchero, Franz Wagner e Jalen Suggs è stato blindato con estensioni fino al 2029, e a loro si è aggiunto Desmond Bane con una delle trade più pesanti dell’offseason.

I Magic, seconda migliore difesa della Lega nella passata stagione nonostante l’assenza prolungata di un cagnaccio come Suggs, peccano di creation nella metà campo offensiva, un aspetto che si è convertito addirittura nel quarto peggiore offensive rating NBA nel 2025. Bane non risolve il problema principale, ma potrebbe rivelarsi molto utile: in catch&shoot, l’ex Grizzlies mantiene un’efficienza stratosferica del 51%, mentre Orlando è stata la peggiore della Lega. Il tiratore in arrivo da Memphis, inoltre, è l’unico con Zach LaVine e Stephen Curry ad aver segnato almeno 800 triple con il 40% o più dal 2020-21. Senza dimenticare un aspetto sottovalutato, ossia la sua capacità di mettere palla a terra e attaccare il vantaggio creato per favorire il ritmo dei compagni, affermandosi ormai da tre anni di fila come un playmaker da 90esimo percentile per tiri di squadra assistiti.

Nove minuti di giocate di Desmond Bane: sarà sufficiente a far volare i Magic?

 

Dall’altra parte, invece, c’è il finimondo. Proprio in queste ore, i Golden State Warriors hanno confermato il già vociferato ingaggio di Al Horford, così come gli attesi ritorni di Gary Payton II e De’Anthony Melton. Manca, però, ancora Jonathan Kuminga all’appello, che a quanto pare non si presenterà al media day del training camp, stando a ESPN. La giovane ala ha tenuto sotto scacco per tutta l’estate la squadra, rinunciando ad accordi pluriennali da 45 e 75 milioni di dollari per non avere una team option (che dà il controllo alla squadra) sull’ultimo anno di contratto, chiedendo così cifre spropositate a salire o una soluzione più semplice: firmare la qualifying offer. Kuminga è un cosiddetto free agent “con restrizioni” (può ricevere offerte esterne che Golden State può pareggiare), ma deve ancora ufficializzare questo rinnovo di un anno – comprensivo di clausola anti-trade – e potrà farlo entro mercoledì 1 ottobre.

Queste ultime firme fanno pensare a una soluzione imminente, ma a tre settimane dall’inizio della stagione e con un roster ancora monco la situazione è talmente inusuale che tutto può succedere. Se gli Warriors trovassero una soluzione, si affermerebbero senza dubbio come pretender di prima fascia a ovest, ricordando che dall’arrivo di Jimmy Butler alla passata trade deadline hanno fatto registrare il terzo miglior record della Lega.

Assieme ai Dubs, tra le altre, proprio la squadra che questi hanno eliminato durante l’ultima corsa all’anello, ossia gli Houston Rockets. Ma con una novità non da poco: Kevin Durant. L’idea è stata quella di rinunciare a un giocatore altalenante come Jalen Green per uno scorer d’élite che, nonostante l’età, possa cavare qualche castagna dal fuoco quando l’attacco si inceppa (molto spesso), soprattutto ai playoff. Il discorso è il medesimo dei Magic, in pieno stile Ime Udoka: difesa intensa sui 48 minuti, defensive rating tra i primi cinque NBA, ma poca creation, pochi portatori e un esubero di esterni. Proprio per questo, la perdita di Fred VanVleet per un infortunio al legamento crociato anteriore rappresenta una tragedia, trattandosi dell’unico playmaker competente, nonché eccellente tiratore tanto in pull-up, quanto sugli scarichi.

Dando un’occhiata al roster dei Rockets, si intravedono una marea di portatori secondari, come lo stesso Durant o Amen Thompson, e un trattatore di palla aggiunto quale Alperen Şengün, reduce da un fenomenale EuroBasket. Ma manca una vera e propria point guard e un creator con la palla in mano degno di questo nome, che potrebbe portare a troppi isolamenti, a un attacco di squadra troppo stagnante e a un carico che per KD non è più sostenibile.

Soprattutto contro difese attrezzate come quelle dell’ovest, che hanno trascinato per esempio i Minnesota Timberwolves a due apparizioni consecutive alle Conference Finals. La squadra avrà un Nickeil Alexander-Walker in meno e un anno in più sulle spalle di Rudy Gobert e Mike Conley, ma non per questo va sottovalutata. Si tratta di un organico profondo, che offrirà necessariamente più minuti anche a role player giovani. Il solito Anthony Edwards sarà al comando, con i vari Jaylen Clark, Terrence Shannon Jr. e Rob Dillingham, sin qui visti solo a intermittenza, pronti a guadagnarsi spazio. Per completare il grande passo, serve che Ant-Man compia lo step successivo (che sia il gioco in post a cui accenna Shams Charania?), che sarebbe ancora più iconico con queste throwback jersey addosso.

Tra le squadre annientate dai Timberwolves in questi anni sono presenti anche i Los Angeles Lakers, che hanno cambiato proprietà e faccia dall’arrivo di Luka Dončić. Lo sloveno è apparso in discreta forma a EuroBasket, ma quel che conta è solo il suo stato al rientro alla corte di LeBron James, inevitabilmente arrivato a uno degli ultimi anni in NBA e forse all’ultimo in gialloviola. Indipendentemente da quello che sarà il futuro, l’obiettivo attuale è quello di competere con tutti i mezzi a disposizione, rappresentati dagli arrivi di Jake LaRavia, Marcus Smart e Deandre Ayton. Quest’ultimo soprattutto, dopo il buyout da parte di Portland, si troverà sostanzialmente a giocare per essere pagato: un aspetto molto importante per un nome che tende a impigrirsi e a distrarsi spesso, nonostante la grande versatilità difensiva, il tocco negli ultimi cinque metri e la presenza sotto entrambi i tabelloni. Le incognite sono tutte legate all’assenza di talento sotto i due “big”, ma anche alla loro capacità – vuoi per l’età, vuoi per attitudine – di mantenere alto il livello per una stagione intera, playoff – e soprattutto metà campo difensiva – inclusi.

Un problema che affligge in parte anche le altre due californiane, tra le quali restano da menzionare i Los Angeles Clippers. C’è stata la reunion con Chris Paul, sono arrivati Brook Lopez e Bradley Beal, James Harden e Kawhi Leonard sono ancora a roster, così come Nicolas Batum e Bogdan Bogdanović. Sembrerebbe una corazzata, se fossimo ancora nel 2020. Scherzi a parte, nonostante l’età l’organico è molto profondo e completo grossomodo in tutti gli slot, con l’arrivo di John Collins che offre anche maggiore versatilità nel reparto lunghi, soprattutto nella metà campo offensiva. Il grosso dubbio è sempre legato a Kawhi Leonard: al di là delle liti estive con “gli alberi” e il caso di potenziale circonvenzione delle regole del salary cap, qualora la sua presenza dovesse essere confermata si tratterebbe sempre di tirare il dado per capire quante partite abbia ancora nelle gambe. Al completo, ma inteso come 100%, i losangelini possono ancora essere una spina nel fianco per tutti, Thunder inclusi, con questa taglia media elevata e la sovrabbondanza di ali.

 

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Volere è potere? Gli “what if”

Quando si è parlato di Pistons, sono state menzionate Milwaukee Bucks e Philadelphia 76ers non a caso. Squadre con superstar come Giannis Antetokounmpo e Joel Embiid partono necessariamente con un vantaggio enorme rispetto a chi non li ha, il solo problema è averli in campo. Damian Lillard, rilasciato da Milwaukee per aprire un minimo di spazio salariale nell’immediato, ha giocato solo due partite in postseason con Antetokounmpo, entrambe accelerando un rientro da un coagulo al polpaccio. Giannis ha perso tutti i playoff 2024 e saltato metà della serie con i Miami Heat nel 2023. Con lo spazio aperto, è arrivato Myles Turner ed è stato confermato Bobby Portis, ma l’organico costruito su misura attorno al greco si prospetta ancora inadatto a competere e la squadra pare troppo dipendente dalla sua produzione.

Un problema che sulla carta non è dei Sixers, più profondi anche dopo la scelta al Draft di VJ Edgecombe, talento esplosivo tutto da scoprire, ma i problemi fisici in Pennsylvania continuano a rappresentare una maledizione. Il ginocchio di Joel Embiid è stato messo ancora una volta sotto i ferri e lo stesso vale anche per Paul George. Entrambi perderanno tempo prezioso all’inizio del training camp. Jared McCain, ex favorito al Rookie of the Year prima di subire un infortunio al menisco, perderà mesi per un problema all’alluce destro riportato in questi giorni. Kyle Lowry, che si avvia verso i 40 anni, è già proiettato alla carriera da analyst per Amazon Prime Video. E via dicendo. Le superstar nella pallacanestro rappresentano un bene prezioso, più di ogni altra cosa in ottica playoff, ma la stagione è lunga e le incognite un po’ troppe per queste due franchigie. Aggiungeteci il numero immenso di back-to-back per i Sixers e si comincerà già a sentire odore di frittata.

La corsa a playoff e Play-In

Per semplicità, trattandosi di squadre meno competitive e della fascia più popolata, divideremo in due parti per Eastern e Western Conference, dedicando una didascalia a ciascuna squadra.

Eastern Conference:

  • Boston Celtics: il retooling è completato, così come l’obiettivo di scendere al di sotto del secondo apron. Senza Jayson Tatum, che salterà la stagione per infortunio, si è deciso di rinunciare a Jrue Holiday, Kristaps Porziņģis e Al Horford per risparmiare. Sono arrivati Anfernee Simons e Chris Boucher, per rendere la stagione almeno divertente e avere giocatori spendibili in ottica playoff o in scambi futuri. Ma per tornare a puntare al bersaglio grosso servirà attendere almeno un altro anno;
  • Indiana Pacers: idem come sopra. Senza Tyrese Haliburton e con la partenza di Myles Turner, l’organico è molto indebolito. Il ritmo alto, le rotazioni profonde e il numero elevato di backup li rendono ancora una minaccia in regular season, ma senza la stella che incarna più di chiunque lo spirito di squadra sarà dura vederli ancora sorprendere l’est;

  • Toronto Raptors: una mina vagante. Si attende il debutto di Brandon Ingram di fianco al talento di Scottie Barnes e agli ex Knicks Quickley e Barrett, ma sembra tutto troppo sperimentale, ancora. Sono grossi, sono “tanti” a poter ruotare, ma manca creation e tanta esperienza in ottica postseason;
  • Atlanta Hawks: altro contesto nuovo, altra incognita. Ci sono tutti i presupposti per divertirsi in regular season, ma dovrà essere valutato Jalen Johnson di ritorno dall’infortunio alla spalla sinistra, mentre i problemi cronici del nuovo arrivato Kristaps Porziņģis sono noti a tutti. Più difesa nel backcourt con Nickeil Alexander-Walker, nel tentativo di “proteggere” e compensare il talento offensivo di Trae Young;
  • Miami Heat: più zona Play-In. Arrivare ai playoff con questo roster sarebbe un’impresa anche per il genio di Erik Spoelstra, che per i prossimi due mesi dovrà anche fare a meno di Tyler Herro. Se un nome come Andrew Wiggins verrà mosso, è probabile che si opti addirittura per un anno di retooling;
  • Charlotte Hornets: squadra che ambisce al massimo al Play-In, se ce n’è una. Tantissime guardie ed esterni attorno a LaMelo Ball, e poco altro. La partenza di Mark Williams ha accorciato ancora di più il reparto lunghi, rendendo il tutto ancora più strano;
  • Chicago Bulls: borderline ultime cinque, proprio come Charlotte. La restricted free agency di Josh Giddey è stata risolta, ma manca proprio il talento da cui ripartire. Probabilmente la candidata principale a scivolare più in basso.

Western Conference:

  • Dallas Mavericks: con Kyrie Irving sarebbero pretender, ma il ritorno dalla rottura del crociato sarà tutto da valutare. Così come l’impatto della prima scelta assoluta Cooper Flagg in un frontcourt già molto affollato, in primis dall’ingombrante presenza di Anthony Davis. L’impressione è che nelle partite dei texani sarà molto complicato vedere un canestro, che sia segnato o subito.
  • San Antonio Spurs: Victor Wembanyama non ha ancora dimostrato abbastanza, perché alla fine conta solo la post-season, quindi è complicato dare un giudizio che vada oltre l’ambizione ai primi playoff. Il talento della seconda scelta assoluta, Dylan Harper, risulterà molto utile alla causa e occorrerà perfezionare il fit con De’Aaron Fox, arrivato alla passata trade deadline ma con poche partite disputate nell’Alamo. Tutto passa dalla crescita del talento francese.
  • Phoenix Suns: il fallimento sonoro dell’era KD va superato. Il payroll gira finalmente attorno a cifre umane e Devin Booker torna al centro del progetto. Ci sono buoni lunghi, tra cui il rookie Khaman Maluach e il nuovo arrivato Mark Williams, ci sono nuovi esterni come Dillon Brooks e Jalen Green. Manca un facilitatore e ancora di più un creator di alto livello, il che porta a pensare che vedremo ancora Point-Book all’opera. Tanta curiosità, poche capacità di prevedere l’esito di questa stagione.
  • New Orleans Pelicans: si comincia a calare di livello. Con le partenze di Ingram e McCollum l’ambiente si è un po’ svecchiato, ma resta l’incognita della tenuta fisica di Dejounte Murray e Zion Williamson, i due più pagati assieme al neo-arrivato Jordan Poole. La domanda è semplice: siete pronti a cascarci anche quest’anno con il buon vecchio Zion?

  • Memphis Grizzlies: senza Desmond Bane, il livello cala e non poco. Ci sarebbe bisogno di una stagione “bounceback” di Ja Morant e di integrità fisica per quelli attorno, ma le ultime notizie da Brandon Clarke – lungo importantissimo sia dietro, sia di fianco a Jaren Jackson Jr. – sono già pessime. Un vortice di problemi fisici che sta risucchiando dentro di sé una delle squadre capace di generare più hype negli ultimi anni. Che sia tempo di ripartire da zero?
  • Sacramento Kings: Play-In, se tutto va bene. Le buone notizie sono rappresentate dal non pagamento della luxury tax e dall’arrivo di Dennis Schröder in formato EuroBasket, per il resto la squadra ha sempre gli stessi difetti in termini di talento medio. Sono presenti scorer elitari come LaVine e DeRozan e un hub come Sabonis, ma della difesa su ali e di esterni strutturati nemmeno l’ombra. Si prospetta un’altra annata mediocre a Sacramento, dove l’hype per i playoff 2023 è solo un lontano ricordo.
  • Portland Trail Blazers: la base non è malissimo, ma difficilmente resterà tale. Damian Lillard è tornato ma salterà la stagione, Scoot Henderson ha faticato in questo inizio di carriera ed è già infortunato, giocatori come Jrue Holiday, Robert Williams III e Jerami Grant sono asset più che risorse utili alla causa. Quantomeno, con Hansen Yang – già bollato come “Jokić cinese” – non ci si dovrebbe annoiare.

Dispera-tier

Su Utah Jazz e Washington Wizards pochissimo da aggiungere, se non che Lauri Markkanen merita di meglio. Quanto ai Brooklyn Nets, più che analizzarli tecnicamente il consiglio è quello di attivare le notifiche sui profili social di Michael Porter Jr., iscriversi al suo podcast e prendere i popcorn.

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