Da anni, lo sport femminile si è affermato come uno spazio di continue lotte e rivendicazioni. Dalle sorelle Williams che combattevano per la parità di premi tra i tornei di tennis maschile e femminile, passando per le lotte della nazionale di calcio spagnola contro la struttura maschilista e patriarcale della Federazione e arrivando alle star della WNBA che chiedono di essere pagate di più, le atlete e le squadre che hanno trovato la propria voce per chiedere più soldi, maggiori tutele e più attenzione mediatica sono tante e sono disseminate in tutto il mondo. Anche in Italia stiamo assistendo a un proliferare di voci e protagoniste, soprattutto grazie agli ottimi risultati delle donne in campo sportivo.
In questo scenario, nonostante quest’estate la Nazionale abbia vinto il bronzo agli Europei, il basket femminile fa ancora molta fatica ad affermare una presenza anche politica. Che pretenda cambiamenti quanto mai necessari.
I problemi del basket femminile in Italia
La pallacanestro femminile in Italia attraversa una fase di profonda difficoltà: tra il 2017 e il 2023 (ultimo dato disponibile) il numero delle tesserate si è dimezzato, passando da 47.321 a 22.550, mentre il divario tra Nord e Sud resta marcato, con appena due squadre meridionali presenti nella massima serie. A queste fragilità si aggiunge un campionato di Serie A poco competitivo e poco seguito, che gode di una visibilità mediatica minima: solo una partita per giornata viene infatti trasmessa in chiaro sulla Rai mentre le altre sono confinate al canale streaming dedicato e a pagamento. Infine, anche ai livelli più alti, le giocatrici non sono riconosciute come professioniste e percepiscono compensi molto bassi rispetto alla controparte maschile – in mancanza di dati ufficiali si parla di un rapporto 1 a 8. In caso di maternità, dispongono di tutele quasi inesistenti, fatta eccezione per un fondo dedicato a cui si accede attraverso criteri molto stringenti.
Nonostante tutto, nel discorso pronunciato dalla capitana Laura Spreafico davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, le parole sono state di gratitudine e orgoglio, senza alcun accenno a rivendicazioni o richieste. Abbiamo cercato di capire perché è così difficile essere cestiste e provare a cambiare lo status quo attraverso la voce di due protagoniste del successo europeo: Mariella Santucci e Jasmine Keys. E con Raffaella Masciadri, ex capitana della Nazionale, 15 scudetti vinti in carriera, un Master in leadership e management e oggi Team Manager della Juventus Women.
La mancanza di diritti
Il nodo centrale è la mancanza di diritti: nel basket femminile, infatti, non viene ancora riconosciuto il professionismo. Le atlete, anche ai massimi livelli, sono considerate “lavoratrici sportive” e firmano contratti privi di garanzie minime: nessun salario base, tutele limitate in caso di infortuni o maternità, assenza di previdenza e di trattamenti di fine carriera.
Questo crea una forte disparità tra le società. Club come il Famila Schio o la Reyer Venezia, impegnate in Eurolega, possono offrire stipendi, strutture e condizioni di lavoro che non sono purtroppo paragonabili alle altre realtà. “È molto più facile per me – racconta Santucci – giocare qui a Venezia, dove tutto funziona. Gli stipendi sono buoni, ho tutti i comfort e posso concentrarmi solo sul campo. Ma so di essere una privilegiata: molte mie amiche che giocano in squadre fuori dalle coppe europee devono affrontare mille difficoltà.”
In questo contesto, come spiega Keys, è difficile creare compattezza: “Manca ancora quell’unità che ci permetta di dire “se succede questo, noi non scendiamo in campo”. Non tutte siamo coinvolte allo stesso modo, perché non tutte siamo tutelate. Le società che fanno contratti corretti sono poche e spesso non sappiamo nemmeno quali siano i nostri diritti. Io sarei per la ribellione, ma mi hanno tarpato le ali perché c’è anche un po’ di paura. Giorgia Sottana perché non è più stata convocata? Perché ha detto la sua.”
Santucci, però, vede un barlume di speranza: “Sappiamo che ci sono tante cose che non funzionano, ma ora siamo in un momento in cui cerchiamo di fare le cose silenziosamente e insieme. In passato quando ci siamo lamentate siamo state criticate, siamo arrivate a uno scontro che non è stato costruttivo. Ora cerchiamo soluzioni condivise che vadano bene a tutti: giocatrici, società, staff e federazione.”
Visibilità e disuguaglianze
La disparità economica tra i club mina l’unità del movimento e rende difficile la costruzione di una coscienza collettiva. La risoluzione di questo problema però è tutt’altro che semplice, perché è strettamente legato a un tema più ampio: la mancanza di visibilità.
Dopo la medaglia europea, l’interesse dei media e del pubblico è aumentato ma non in modo consistente. “Il punto — dice Santucci — è attirare persone che non ci conoscono e non conoscono il basket.” Un obiettivo difficile, se le partite non vengono quasi mai trasmesse sulla Rai o in chiaro e se mancano sponsor e investitori. Un’assenza che pesa anche sulle carriere individuali: “Nessuno ci calcola davvero” confessa Keys che racconta come dopo l’ottimo risultato dell’Europeo non sia cambiato niente dal punto di vista economico. Un dato che stride con la realtà internazionale, dove nella maggior parte dei casi gran parte degli introiti delle atlete proviene ancora dalle sponsorizzazioni: Al netto di uno stipendio modesto di 76.535 dollari l’anno, si stima che i guadagni di Caitlin Clark — atleta dell’anno per Time nel 2024 e volto della pallacanestro mondiale — possano raggiungere i 2 milioni complessivi nello stesso lasso di tempo. Nella lista stilata da SportsPro dei dieci atleti più influenti e redditizi dal punto di vista del marketing (più marketable) figurano quattro donne: Simone Biles, Ilona Maher, Caitlin Clark e Coco Gauff.
Per questo, racconta ancora Santucci, “ora siamo concentrate sulla visibilità. È la cosa più importante: farci vedere, far vedere che siamo un gruppo che vuole vincere. Solo così potremo ottenere attenzione, pubblico e, finalmente, passare al livello successivo.”
Prospettive future
Il passo successivo potrà realizzarsi solo se ai risultati sportivi (in primis la qualificazione ai Mondiali e poi la partecipazione a Los Angeles 2028) si uniranno investimenti concreti e una visione strategica di lungo periodo. Il presidente della Federazione, Gianni Petrucci, ha annunciato uno stanziamento di tre milioni di euro destinati al comparto femminile, ma non ha ancora chiarito in che modo queste risorse verranno utilizzate. Come racconta Keys: “Noi non sappiamo nulla su cosa si vorrà fare con questi soldi. Da un lato spero che vengano spesi in strutture, progetti di minibasket e formazione per chi allena; dall’altro non sarebbe male se anche una piccola parte fosse destinata a noi.”
Per Raffaella Masciadri, la chiave è una prospettiva d’insieme che sappia unire tutti i puntini di questo complicato puzzle per “creare un ciclo virtuoso di sviluppo, visibilità e competitività. Investire nella base — giovani e infrastrutture — ma anche nel livello professionale — squadre e allenatori — e nella promozione — marketing e media. Questo può davvero far decollare il basket femminile in Italia e costruire una cultura di maggiore parità e rispetto verso le atlete.”
Ma per trasformare queste promesse in realtà servirà una spinta costante e organizzata da parte delle protagoniste stesse. Come ribadisce Keys, “il movimento dove va senza la Nazionale? Siamo noi che abbiamo il potere. E dobbiamo iniziare a usarlo”.
