Perché a Miami la Ferrari si è vestita d’azzurro

In occasione del Gran Premio di Miami e degli oltre 70 anni di presenza del Cavallino Rampante nel mercato nordamericano, la Ferrari ha tinto le sue due vetture di F1. L’Azzurro La Plata e l’Azzurro Dino rivivranno in una speciale livrea della SF-24 ed andranno a creare un connubio cromatico, insieme allo storico rosso della casa di Maranello, tanto ardito quanto efficace. La scelta rievoca vittorie, piloti memorabili e i numerosi lavoratori che li hanno indossati con orgoglio mentre costruivano i primi successi della scuderia.

livrea ferrari gp miami

La nuova livrea della Ferrari SF-24 per il GP di Miami

 

Nel blu dipinto di… rosso

La celebre canzone cantata da Domenico Modugno, in cui racconta la storia di un sogno, si accosta perfettamente alla ricerca da parte della Ferrari di recuperare qualcosa di diverso dal solito e che nel passato l’ha distinta sul palcoscenico internazionale. Un blu, o meglio due, che dipingono il rosso storico della Scuderia, che in questa stagione è pronta a “volare” inseguendo la scia di quelle Red Bull che le “ali” le hanno messe già da un po’ di tempo.

L’Azzurro La Plata, piuttosto chiaro, era il colore delle auto delle squadre argentine. È simile alla tonalità che Alberto Ascari portò in gara nelle sue stagioni più vincenti, considerato dall’italiano un portafortuna. Dello stesso colore erano le tute dei piloti negli anni Sessanta, come John Surtees e Lorenzo Bandini; inoltre, più avanti nel tempo anche la tuta di Niki Lauda nel suo primo anno con la scuderia sarebbe stata di quella tinta, così come i camici degli operai di Maranello.

L’Azzurro Dino, più carico, attirò l’attenzione di diversi piloti della scuderia e in particolare di Arturo Merzario e Clay Regazzoni, l’ultimo a indossarlo nel 1974. Da quel momento in poi sulle tute dei piloti l’azzurro ha lasciato il posto al rosso e a volte al bianco. Le due sfumature saranno presenti sul cofano motore con delle linee apposite, sull’halo, sugli specchietti retrovisori, sulle due ali, sui numeri di gara e sui copricerchi.

In più, ci sarà anche una leggera differenza tra le due vetture, perché in alcuni punti sarà presente una maggior presenza di “La Plata” per Charles Leclerc, come sull’halo, sugli specchietti o nel contorno del numero di gara, mentre per Carlos Sainz a dominare sarà l’azzurro Dino.

 

L’importanza del N.A.R.T.

Già lo scorso anno Ferrari ha celebrato una delle tre gare negli USA con una livrea omaggio al passato, in occasione del Gran Premio di Las Vegas, con dei dettagli bianchi che andavano a ricreare un legame con la storia della Scuderia negli anni Settanta. I colori NART, North American Racing Team, scuderia americana satellite del Cavallino Rampante, sono famosi proprio per la presenza di strisce bianche e blu sulla scocca rossa, in modo da unire le tinte da corsa americane e italiane.

Il bianco e il blu sbarcarono anche in Formula 1 nella stagione 1964: sul finire del campionato Enzo Ferrari, entrato in polemica con la federazione internazionale dell’automobile per la mancata omologazione di una propria vettura, che avrebbe dovuto partecipare a Le Mans, aveva restituito alla FIA la licenza di costruttore della Scuderia, che si trovava quindi impossibilitata a partecipare alle gare ufficiali. Un litigio quindi portò le Ferrari 158 di John Surtees e Lorenzo Bandini ad essere schierate nelle due gare di fine stagione (a Watkins Glen negli USA e sul circuito Magdalena Mixhuca in Messico) con un’inedita livrea bianco-blu anziché rossa. Fu dunque su una macchina NART che, il 25 ottobre, Surtees si laureò campione del mondo, a dimostrazione del fatto che la collaborazione tra Ferrari e gli americani era ed è ad oggi fondamentale per la diffusione del marchio di Maranello oltreoceano.

john surtees ferrari 1964

John Surtees alla guida della Ferrari 158 NART

 

La palette automobilistica

Nel mondo automobilistico potremmo paragonare i colori a delle vere e proprie carte di identità. Spesso, nella storia delle auto, è capitato che una determinata vernice diventasse un’icona, simbolo di prestigio per la fabbrica costruttrice e per le macchine prodotte da essa. Tuttavia non tutti sanno che molte delle tinte che vediamo ancora oggi risalgono a circa 100 anni fa.

Il 23 gennaio 1900 una commissione sportiva istituita dall’Automobil Club francese veniva incaricata di organizzare la “Coppa Gordon Bennett”, promossa dall’omonimo editore di un quotidiano di New York appassionato della velocità. Bennett partecipava, insieme ad una commissione, alla stesura di un regolamento composto da ventiquattro articoli che fissava alcuni punti tecnici che sarebbero diventati la base per la futura formula internazionale.

La competizione assegnava, per la prima volta, a ogni nazione partecipante, un colore di gara; infatti, non tanto era rilevante la scuderia quanto più la nazionalità di provenienza delle vetture partecipanti. Non è tutto: all’epoca sussisteva un problema pratico, ovvero quello di poter distinguere con chiarezza i concorrenti, in un periodo in cui le auto andavano sempre più veloci e non esistevano teleobiettivi o altri sistemi tecnologici per rilevarle, se non appunto andando “ad occhio”. Si decise dunque di assegnare il blu alla Francia, il bianco alla Germania, il giallo al Belgio e il rosso all’Italia.

L’attribuzione dei colori divenne definitiva solo a fine degli anni trenta, quando i punti fondamentali del regolamento crebbero significativamente arrivando a circa 280 e si palesò un’altra importante vernice, quella inglese, con il British Racing Green nato dal colore che in quegli anni era presente sulle locomotive a vapore.

 

La Ferrari è gialla

Date a un bambino un foglio di carta, dei colori e chiedetegli di disegnare un’automobile, sicuramente la farà rossa.

Enzo Ferrari

Per quanto sia difficile da pensare, la Ferrari ha adottato il colore giallo per l’azienda e le vetture fin dalla sua nascita. D’altronde si nota in primis che, nel logo del marchio, il cavallino nero è su sfondo giallo, precisamente quello di Modena, città natale del fondatore Enzo Ferrari.

La domanda sorge spontanea: perché nell’immaginario collettivo si pensa che la tinta originale sia il rosso? E perché, secondo la celebre frase succitata del patron, noi dovremmo disegnarla di quel colore? Come detto in precedenza, la rappresentanza italiana per le corse è il rosso, dunque nelle competizioni automobilistiche, che hanno fatto la fortuna della fabbrica, è diventato un simbolo di vittoria, prestigio, ma soprattutto di italianità nel mondo.

Così come all’epoca, anche oggi accade che solo le vetture che gareggiano ufficialmente per la Scuderia di Maranello, costruite interamente in quella sede, sono verniciate di rosso. La NART, come detto in precedenza, utilizza il bianco e blu tipico delle corse americane, o per esempio, quando in Formula 1 negli anni sessanta correvano altre Ferrari “clienti” insieme alle originali, essi le tinteggiavano a piacimento: un noto costruttore belga, la Ecurie Francorchamps, utilizzava il giallo.

Ferrari Ecurie Francorchamps

Una Ferrari Ecurie Francorchamps del 1961

 

La tradizione centenaria dei colori in Formula 1 ha dato lustro alla competizione, ma ha portato anche visibilità a tutti i costruttori che vi hanno partecipato. Per gli appassionati del motorsport ed i tifosi, riconoscere una macchina dalla sua tinta ha un significato profondo, radicato nella storia, soprattutto se si considera che solo la Ferrari ha mantenuto sempre l’originario rosso, a volte di tonalità più o meno “aranciata”, per favorire il gradimento dello sponsor principale, e che le ha consentito di rappresentare un’icona dello sport.

 


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Di Valerio Serra

Scrittore appassionato ed aspirante giornalista. Approfondisco e amplio i miei orizzonti. La mia più grande passione è e sarà sempre l'automobilismo.