El Dorado, la Liga Pirata colombiana che anticipò la Superlega

liga pirata - Puntero

Quella che vi stiamo per raccontare è la storia di un campionato di calcio costruito ad arte, nel nome del vil denaro e in barba alle federazioni internazionali e alle loro regole, capace di attirare critiche e sanzioni dalle istituzioni del calcio e addirittura dagli Stati che ne sono stati in qualche modo toccati. Se state pensando alla Superlega, sappiate che vi state sbagliando di grosso. Perché circa 70 anni prima del disegno a opera dei club europei, il mondo del calcio aveva già conosciuto qualcosa di simile. Stiamo parlando di El Dorado, ossia dei cinque anni in cui la Colombia diventò l’ombelico del mondo sportivo grazie alla sua Liga Pirata.

 

DIMAYOR, dal professionismo allo scisma

Seppure possa apparire incredibile alla luce del preambolo di cui sopra – e soprattutto per via dell’utilizzo del termine Liga Pirata, ma su questo punto torneremo più tardi – tutto nasce da un traguardo storico, quello del professionismo. Nel 1948, infatti, il massimo campionato colombiano diventa il primo campionato professionistico al mondo, la cui partecipazione comporta la stipula di contratti tra le società e i loro calciatori, con conseguente determinazione di uno stipendio fisso. A regolamentare il neonato campionato professionistico sarebbe stata la División Mayor del Fútbol Colombiano, nota come DIMAYOR, di fatto la lega calcio colombiana appena formatasi e presieduta da Humberto Salcedo. Ad assicurarsi la prima, storica edizione del Campeonato Profesional, disputato tra 10 squadre, è l’Independiente Santa Fe, squadra della capitale che rifila quattro punti all’Atlético Junior di Barranquilla, secondo.

Un campionato che si è disputato in un clima tutt’altro che idilliaco e decisamente in controtendenza rispetto ai piani iniziali. La DIMAYOR, infatti, è nata per far fronte allo status estremamente scadente del calcio colombiano, con la nazionale dei Cafeteros reduce dalle prime due partecipazioni tutt’altro che memorabili in Copa América e con la fermissima intenzione di perseguire il modello argentino, dove il livello era ben più alto. A spalleggiare il progetto della lega calcistica nazionale sono, ovviamente, le istituzioni. Ma il 1948 è l’anno del Bogotazo, il movimento insurrezionista che ha portato a violenti scontri urbani successivi all’omicidio del leader liberale Jorge Eliécer Gaitán. In buona sostanza, il progetto che avrebbe dovuto portare in Colombia campioni stranieri che alzassero il livello complessivo incontra un muro difficilmente risolvibile.

Una questione che, affiancata alle immancabili problematiche economiche, tutt’altro che banali in un sistema professionistico con costi fissi, porta alla rottura. Nel 1949, al vertice della DIMAYOR si issa un nuovo presidente, Germán Ocampo, decisamente meno accomodante del suo predecessore. Alzare il livello del campionato nazionale diventa una necessità al punto da arrivare a parlare con le singole società e tentare la strada delle spese economiche folli per l’epoca, non approvate da Adefútbol, la federazione calcistica colombiana. L’idea era quella di offrire, grazie alla garanzia del professionismo, ingaggi fuori mercato per gli altri Paesi, così da attrarre campioni internazionali. Lo scontro tra Adefútbol e DIMAYOR è talmente ampio da generare uno scisma in cui si infila la FIFA, che decide di sospendere la DIMAYOR. Quella che sembra la fine dei giochi è in realtà soltanto l’inizio.

 

Il casus belli: arriva il più grande di tutti

Siamo a fine maggio del 1949. Lo scenario del calcio mondiale è ben diverso da quello che possiamo immaginarci oggi. La Seconda guerra mondiale si è conclusa da poco, portando in dote lo stop dei Mondiali. Gli Europei e le varie coppe continentali ancora non esistono, l’unica grande competizione esistente è la già citata Copa América. In sostanza, stabilire quali siano le migliori squadre e i più forti calciatori al mondo è esercizio determinato principalmente dai risultati dei campionati nazionali. A livello pressoché unanime, però, la decisione sarebbe rimessa a un testa a testa tra due squadre.

Abbiamo detto “sarebbe”, il condizionale è d’obbligo perché a dirimere la controversia è sceso in campo un fato avverso e infame, che proprio all’inizio del mese di maggio ha eliminato una squadra dalla contesa. Il 4 maggio 1949, a Superga, il Grande Torino, la più grande squadra d’Europa e una delle due migliori al mondo, scrive l’ultima pagina della sua storia per colpa di uno schianto aereo. Una data che rimarrà tragicamente impressa nella storia dello sport, tanto che la FIFA sceglierà proprio il 4 maggio come “giornata mondiale del calcio”.

Dopo quel 4 maggio 1949 per tutti esiste una sola squadra che meriti di essere ritenuta la più grande al mondo: stiamo parlando de La Máquina, il River Plate che domina il campionato argentino. Il caso vuole però che in Argentina sia in corso uno sciopero dei calciatori, che tentano di vedersi riconoscere lo status di professionisti, esattamente come accaduto in Colombia. Una situazione scottante che vede la discesa in campo di Evita Perón per tentare di appianare le divergenze e sciogliere le tensioni. In questo scenario si innalza una guida che ha l’idea più controversa e, al contempo, geniale per dare al campionato colombiano l’abbrivio giusto per dar seguito alle ambizioni sottese alla sua creazione. Parliamo di Alfonso Senior, presidente dei Millionarios di Bogotà.

L’idea è semplice ma geniale: se la FIFA ha disconosciuto la DIMAYOR e il suo campionato, i suoi componenti non sono tenuti a rispettarne le regole. Pertanto possono andare a prendersi i giocatori altrui senza contrattare con le società per il prezzo del cartellino, semplicemente riversando la spesa su stipendi che avrebbero allettato i calciatori. E il primo obiettivo diviene un calciatore non banale, non solo un campione ma anche l’anima sindacalista della rivolta dei calciatori argentini. Parliamo di Adolfo Alfredo Pedernera, leader tecnico de La Máquina e, dopo la dipartita di Valentino Mazzola, il calciatore più forte del mondo. Il 30 maggio 1949, assieme all’allenatore dei Millionarios Carlos Aldabe, Senior si reca a Buenos Aires e piazza il colpaccio: Pedernera è un nuovo calciatore dei Millionarios nonché quello che dovrà essere il pioniere del movimento migratorio verso la Colombia. E sarà effettivamente così.

 

L’ascesa dei Millionarios

La prima di Pedernera è indimenticabile: si gioca al Campín di Bogotà davanti agli occhi di oltre 30.000 spettatori, comprese alcune figure istituzionali che non ti aspetti alla luce del metodo tutt’altro che ortodosso con cui il campione è stato ingaggiato. Sugli spalti presenziano persino il sindaco e l’ambasciatore argentino in Colombia. D’altronde Pedernera è un campionissimo che ha vinto tre volte la Copa América, una sua partita val bene qualche tirata d’orecchi dal governo. Di fronte ai Millionarios si para l’Atlético Junior ma non c’è partita: un 5-0 senza appello che fa molto rumore. E ne farà ancora di più nel giro di pochi giorni.

Il River Plate è nel frattempo sbarcato a Torino per giocare al Filadelfia un’amichevole che funga da primo slancio per la ricostruzione del Grande Torino. Non solo un segnale di ripresa su proposta del presidente del club argentino Antonio Vespucio Liberti, ma anche un’occasione di mercato: il primo acquisto del nuovo corso granata, infatti, dovrebbe essere nientemeno che Alfredo Di Stéfano. Anche in questo caso è necessario il condizionale, perché sugli spalti del Filadelfia è atteso l’Avvocato Gianni Agnelli per cercare di soffiare il campione argentino ai rivali e portarlo alla Juventus. Tra i due litiganti godrà il terzo, dal momento che Di Stéfano sarà molto diretto: “Ho un accordo coi Millionarios”. L’esordio in pompa magna e l’ingaggio dell’ex compagno Pedernera hanno fatto effetto e l’iniziativa di Alfonso Senior è andata a buon fine. Con lui, sbarcherà in Colombia un altro pezzo de La Máquina, Néstor Rossi.

A questo punto la questione diventa un affare di Stato, con Evita Perón che in fretta e furia promana una legge che impedisca alle stelle del campionato albiceleste di recarsi in Colombia. Ma non ha fatto i conti con l’inventiva di chi ha il denaro e quella di chi lo brama. Passano poche settimane e Julio Cozzi, altro giocatore del River Plate, si sposa. La sede scelta per il suo banchetto è Montevideo, capitale dell’Uruguay e tra i partecipanti c’è anche un compagno di squadra, Antonio Báez. Finito il matrimonio, Cozzi e Báez prendono un volo che non è diretto a Buenos Aires ma a Bogotà: d’altronde la legge impedisce di volare in Colombia dall’Argentina ma nulla può essere fatto volando da altro Paese.

Altri due colpi da novanta dei Millionarios, che si uniscono ai tre connazionali già approdati in Colombia. I Millionarios sono una piccola riproduzione de La Máquina, tant’è che i loro spettacolari automatismi e la grazia nei movimenti valgono alla squadra il soprannome di Ballet Azul, ossia il “balletto azzurro”, giocando sul colore sociale e sull’eleganza del gioco, assimilato al balletto. L’associazione alla danza nasce a sua volta dal modo di dire dei tifosi del club, che quando gioca la loro squadra parlano di 5 y baile, traducibile con “5 e ballare”: in pratica i giocatori dei Millionarios, dopo il quinto gol, iniziano a ballare anziché a giocare, preferendo dare spettacolo piuttosto che tramortire i già provati rivali.

Eppure i Millionarios non dominano il campionato, anzi: a fine stagione, pur con la miglior differenza reti, non chiudono col miglior attacco e, soprattutto, non staccano tutte le rivali. Il Deportivo Calì ha tenuto botta e, al termine di un campionato nel frattempo divenuto a 14 squadre, le due squadre sono appaiate a quota 44. Per decidere chi vincerà il titolo servirà un doppio spareggio. Il 20 novembre 1949, a Calì, l’andata si chiude con un pareggio a reti bianche. A decidere la contesa è il ritorno, dove il maggior tasso tecnico dei Millionarios e dei suoi nuovi acquisti fa la differenza, tanto che le prime due reti del Ballet Azul nel 3-2 finale portano le firme proprio di Di Stéfano e Pedernera.

I Millionarios sono campioni, un verdetto che ha una duplice valenza: la classe dei suoi acquisti ha fatto la differenza ma al tempo stesso non c’è un solco così netto, pertanto tutti gli altri club tenteranno la strada portata avanti dal presidente Senior. Per tutte le partecipanti al campionato è arrivato il momento di infilarsi nelle pieghe del diritto calcistico internazionale e la massima serie colombiana diviene rapidamente nota come Liga Pirata.

 

El Dorado: l’Europa e il mondo bramano la Liga Pirata

Se lo sciopero del calcio argentino era stato lo spunto iniziale, di lì a poco tutto il Sud America e successivamente il mondo intero abbracciano la Liga Pirata. Le varie squadre, sedotte dal gioco dei Millionarios e soprattutto dall’esistenza di una coralità così spiccata, tentano di accentrare i loro tentativi d’acquisto in singole leghe, anziché spaziare nei vari Paesi sudamericani. I calciatori di vari Paesi del Sudamerica – tranne uno – vedono di buon occhio la possibilità di disputare uno contro l’altro un campionato che sta assumendo tale importanza, dal momento che il 1950 è anche l’anno del ritorno dei Mondiali in calendario e potrebbe essere una grossa chance di visibilità. Per questo il periodo viene denominato El Dorado, a sottintendere l’epoca aurea del calcio colombiano.

È proprio così che il Deportivo Calì, principale rivale dei Millionarios nella stagione precedente, fa incetta di argentini ma anche di peruviani, tra cui Valeriano López, attaccante noto per una stazza quasi anomala per il calcio dell’epoca, tale da renderlo uno dei migliori colpitori di testa al mondo. Deportivo Pereira e Boca Junior de Cali pescano in Paraguay, mentre il neonato Cúcuta Deportivo fa razzia di calciatori uruguaiani, compresi alcuni ex nazionali della Celeste e la coppia composta da Eusebio Tejera e Schúbert Gambetta, che saranno tra i protagonisti dell’Uruguay campione del mondo grazie al Maracanazo. Guarda all’Argentina anche l’Independiente Santa Fe, vincitore della prima edizione del campionato e nuovo club di René Pontoni e Héctor Rial, che in futuro assieme a Di Stéfano diventerà membro dello straordinario Real Madrid degli anni ’50.

Solo in Brasile c’è poco interesse nella Liga Pirata. Vuoi per l’alta reputazione del campionato carioca, vuoi per il fatto che l’allenatore della Seleçao è quel Flávio Costa che guida anche il Vasco, sta di fatto che quasi tutti i brasiliani vedano la possibilità di lasciare il proprio Paese come ostativa per un posto tra i convocati al Mondiale del 1950 che si gioca proprio in Brasile. L’unica squadra che riesce, seppur in maniera minima, a farvi breccia è l’Atlético Junior, che si accaparra l’anziano ex Nazionale Tim, chiamato anche a fare l’allenatore e un calciatore fortissimo ma molto problematico, che ha mandato in fumo le proprie chance di partecipare al Mondiale tra sostanze stupefacenti, belle donne – perfino Evita Perón, si narra – e soprattutto storie tese proprio con il ct brasiliano. Parliamo di Heleno de Freitas, di cui abbiamo già dettagliatamente raccontato l’appassionante storia.

La Liga Pirata è ormai la sensazione del calcio mondiale e se ne interessano anche insospettabili cronisti, come quel Gabriel García Márquez che, per El Heraldo, segue le gesta proprio del club di Barranquilla e della sua nuova star Heleno de Freitas, un personaggio che riceve amore incondizionato dalla propria gente grazie a una classe senza pari. La cassa di risonanza del nuovo campionato arriva fino all’Europa, tanto che molti giocatori abbracciano la causa colombiana: dalla Gran Bretagna arrivano lo scozzese Bobby Flavell e l’inglese Billy Higgins, che passano ai Millionarios, oltre a Cornelius Franklin, George Mountford e Charlie Mitten che raggiungono Pontoni e Rial all’Independiente Santa Fe. Ci sarà spazio anche per il portiere lituano – ma stabilito in Argentina – Vytautas Kriščiūnas, che sceglie il Deportes Caldas, e perfino un italiano, l’ex Venezia Luigi Di Franco, chiamato come allenatore-giocatore dal Deportivo Pereira.

Ma lo Stato europeo che più di tutti contribuisce alla crescita della Liga Pirata è l’Ungheria. La Seconda guerra mondiale è terminata da poco e il regime comunista instauratosi in Ungheria, come in molti altri Stati dell’Europa orientale, è un giogo troppo stretto per molti cittadini magiari, compresi alcuni ex calciatori che decidono di fuggire o di ricusare il governo centrale che, per tutta risposta, li priva della cittadinanza. Una manciata di questi calciatori ormai ridotti ad apolidi o rifugiati decide di fondare l’Hungaria Fbc Roma, un club con base nella capitale italiana ma di fatto composto da soli giocatori stranieri, non solo ungheresi ma comunque dell’est, come il romeno Nicolae Simatoc, ex Inter.

Oltre a lui spiccano Ferenc Nyers, ex Lazio e fratello minore del più celebre István Nyers che per anni ha gonfiato le reti della Serie A vestendo le maglie di Inter e Roma, e László Kubala, che in seguito sarebbe divenuto uno straordinario campione con la maglia del Barcellona. L’Hungaria Fbc Roma, non essendo un club riconosciuto, è chiamato a giocare solo amichevoli per permettere ai suoi giocatori di tenersi in forma e magari trovare un nuovo tesseramento. Organizza prima una prestigiosa tournée in Spagna, quindi va in Colombia e lì la storia viene riscritta. Gli stipendi offerti nel Paese degli smeraldi cambiano la percezione di tutto e, tolti Kubala e pochi altri, per i quali ci sono offerte allettanti anche nel Vecchio Continente, gli apolidi decidono di restare e continuare a giocare insieme, fondando un club che si iscrive alla Liga Pirata, il Deportivo Samarios, divenuto poi l’attuale Unión Magdalena.

Un’unione di intenti che di fatto durerà poco, perché il richiamo dei soldi è troppo allettante. Il già citato Nyers e quattro compagni – Imre Danko, Béla Sárosi, László Szőke e Mihail Uram – decidono di tradire gli altri e accordarsi con l’Atlético Junior di Heleno de Freitas. A sorpresa, nel 1950 i Millionarios cedono il passo al Deportes Caldas, che stacca il Ballet Azul di soli 2 punti e vince il titolo, trascinati dai 24 centri dell’argentino Julio Ávila – vice capocannoniere alle spalle di Casimiro Ávalos, attaccante paraguaiano del Deportivo Pereira. Sembra l’alba di un’era splendente per il calcio in Colombia. Ma El Dorado non durerà a lungo.

 

Il Patto di Lima e la fine di El Dorado

Nel 1951 arriva il primo atto di avvicinamento della DIMAYOR alla FIFA, con il divieto per i club di offrire contratti illegittimi a calciatori stranieri tesserati per altri club. Di fatto un colpo durissimo al disegno di una sorta di antesignana Superlega. Quello della lega calcistica nazionale è un tentativo fatto maldestramente passare per un buon ufficio nei confronti della federazione internazionale ma che cela una motivazione ben più terrena rispetto agli elevati ideali che sembrano determinare una pace federale. In buona sostanza, i soldi stanno finendo, troppo alte le cifre elargite per gli ingaggi di calciatori stranieri.

Seguono mesi di dialoghi tra DIMAYOR, Adefútbol e le altre federazioni nazionali sudamericane per trovare una risoluzione di una vicenda che ha avvelenato i pozzi del calcio continentale. Il tutto mentre, di fatto, la Liga Pirata si appiattisce: a fare la differenza è il livello dei calciatori che già ne fanno parte, al netto di invecchiamento e addii che inevitabilmente finiscono per indebolire alcune contendenti. Ovviamente a spuntarla sono i Millionarios, che forti di un nucleo sopra la media e neanche particolarmente anziano – a parte Pedernera che non è giovanissimo ma che dispensa ancora classe in campo e fuori nel suo nuovo ruolo di allenatore-giocatore – dominano senza appello per tre anni consecutivi, fino al 1953: +11 e +6 nei primi due anni, quindi un più modesto +2 sul Deportes Quindío nel 1953.

Ma la storia di El Dorado ha, nei fatti, già conosciuto la parola fine da due anni. A ottobre del 1951 si è tenuto a Lima il congresso annuale della Confederación Sudamericana de Fútbol – l’antenata della CONMEBOL – il quale diede seguito ai fitti dialoghi tra federazioni con il cosiddetto Patto di Lima: entro il 15 ottobre 1954 sarebbe avvenuto il deflusso di tutti i calciatori stranieri verso il loro Paese d’origine. I campionati fino al 1954 compreso sono stati il canto del cigno di una federazione che conosceva già la propria data di morte.

Il torneo del 1954 è un triste epitaffio su El Dorado: le squadre sono solo 10, in controtendenza rispetto ai picchi degli anni precedenti. Un campionato vinto senza particolari affanni dall’Atlético Nacional, lontano dai riflettori e dai volti noti degli anni precedenti, che nel frattempo avevano già iniziato a togliere le tende per andare a giocare altrove, come Di Stéfano finito già al Real Madrid nel 1953 o Rial che lo avrebbe raggiunto l’anno seguente ma dopo un biennio speso in Uruguay tra le fila del Nacional Montevideo. Il preludio al ritorno alla normalità e a una posizione di mediocrità nel panorama sudamericano spezzata solo da un nuovo momento di gloria sul finire degli anni ’80, con la Libertadores vinta proprio dall’Atlético Nacional di Pablo Escobar.

 


Puntero è gratis e lo sarà sempre. Vive grazie al sostegno dei suoi lettori. Se vuoi supportare un progetto editoriale libero e indipendente, puoi fare una piccola donazione sulla piattaforma Gofundme cliccando sulla foto qui sotto. Grazie!

 

Sostieni Puntero

Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.