Michel Platini e la Juventus: il regno di Le Roi

Platini - Puntero

Gli italiani ricordano l’estate del 1982 per il Mundial in Spagna e l’Italia campione. L’anno in cui un’intera nazione iniziò a ripetere a memoria gli undici titolari di quella spedizione in terra spagnola e urlarono all’unisono insieme a Tardelli dopo il gol alla Germania. Ma quell’estate ha portato qualcosa di più al nostro calcio. Perché da oltralpe è arrivato un giovane francese dalla folta chioma riccia, che ben presto sarebbe diventato una delle poche persone al mondo a tenere testa all’Avvocato Agnelli. L’andatura caracollante, una parvenza d’indolenza in campo, come se correre per lui fosse quasi un obbligo imposto. Ma soprattutto un campione dalla classe infinita. Michel Platini è stato il lucido sogno della Juventus.

Bonjour, Michel Platini

Il 23 febbraio 1982 a Parigi era fissata un’amichevole tutt’altro che banale tra l’Italia e la Francia, in preparazione del Mondiale programmato in estate. Agnelli e l’allora presidente della Juventus Giampiero Boniperti, come del resto la maggior parte degli italiani, erano davanti alla tv, per seguire la nazionale e i giocatori bianconeri impiegati. In quell’amichevole muta (la stampa italiana scioperava e l’incontro fu trasmesso senza telecronaca) i due rimasero impressionati dal francese con la numero dieci sulle spalle. Di Platini si parlava già un gran bene in Francia, dopo i risultati raggiunti con il Nancy, la squadra della sua città natale, e il Saint-Étienne.

La Juventus non fu la prima a interessarsi a Platini. Già nel 1978 l’Inter aveva adocchiato il francese, che giocava ancora al Nancy, tanto da riuscire a ottenere un precontratto. All’epoca la questione legata alla riapertura delle frontiere teneva banco in Italia, con la Federazione che diede la possibilità di tesserare un solo giocatore straniero a partire dal 1980. Tuttavia nel 1979 Platini si trasferì al Saint-Étienne e lì si infortunò gravemente: una tripla frattura alla gamba destra che fece vacillare l’Inter, al punto da testarne le condizioni in un’amichevole organizzata a Cesena. Alla fine le titubanze superarono le tentazioni e la società nerazzurra virò su Herbert Prohaska, forse meno adatto a far sognare i tifosi ma più solido e inquadrato tatticamente.

Torniamo a quell’amichevole. Boniperti e Agnelli rimasero ammaliati, con il secondo convinto che fosse l’uomo giusto, il tassello che mancava per completare quella Juventus. Terminata la partita, l’Avvocato telefonò a Edouard Seidler, l’allora direttore de L’Équipe e il giorno dopo un uomo della società bianconera fece visita a Bernard Genestar, il procuratore di Platini. La trattativa doveva essere condotta a fari spenti, per non destabilizzare la Juventus stessa, che si trovava in piena lotta per lo scudetto. Ma soprattutto doveva essere portata a termine nel più breve tempo possibile, perché il tesseramento dei giocatori stranieri doveva avvenire entro il 30 aprile di quell’anno.

In quell’anno la Federazione aveva innalzato a due il numero di tesseramenti di giocatori stranieri, con la Juventus che ne aveva approfittato e si era già assicurata le prestazioni di Zbigniew Boniek, il polacco che l’anno prima, con il Widzew Łódź, aveva eliminato i bianconeri dalla Coppa UEFA segnando il rigore decisivo.

Due giorni prima del gong finale, Boniperti chiamò Genestar e fissò un appuntamento a Torino per firmare il contratto. Nel frattempo l’Avvocato comunicò alla stampa che dalla stagione successiva la Juventus avrebbe avuto un solo giocatore straniero, Boniek. Alle 10 del mattino di quel venerdì 30 aprile 1982, Platini raggiunse gli uffici della Juventus per siglare l’accordo. Una trattativa interminabile, perché Michel era in scadenza di contratto con il Saint-Étienne e dovevano essere risolte alcune questioni legali, ma al calar del sole, Platini firmò per la Juventus. Strette di mano, abbracci e una maratona iniziata a febbraio ufficialmente conclusa. Il primo contatto con l’Avvocato per Platini avvenne in quelle ore frenetiche, come ricordò lo stesso calciatore anni più tardi:

E poi, una volta in sede, erano proprio le ultime ore del calciomercato, Boniperti mi passa al telefono l’Avvocato. L’Avvocato? Per me non era nessuno, non sapevo chi fosse, per me gli avvocati erano già presenti per la stesura del contratto. Avvocato Agnelli, mi spiega Boniperti. E l’Avvocato mi parla in francese, perfetto, e da quel momento per sempre si è rivolto nella mia lingua. Forse non vedeva l’ora di poter parlare francese liberamente, e non di affari, con qualcuno.

E Brady?

La convinzione di essere riusciti a portare a termine un capolavoro – il costo del trasferimento fu di 250 milioni di lire, circa 208 mila euro oggi, una cifra irrisoria – in totale segretezza, venne spazzata via da una telefonata fatta a Radio Europe 1. Qualcuno aveva avvistato Platini all’aeroporto di Torino, accompagnato dai dirigenti della Juventus, in procinto di tornare in Francia. La notizia divenne di dominio pubblico in poche ore e ben presto tutti vennero a conoscenza della trattativa che avrebbe portato Michel Platini alla Juventus.

L’unica vittima della situazione fu Liam Brady. L’irlandese, numero dieci di quella Juventus, prelevato solo due anni prima dall’Arsenal, di fatto si trovò da un giorno all’altro senza squadra. E per di più scoprendolo dalla stampa. La delusione fu enorme, soprattutto perché Brady era convinto di rimanere almeno un’altra stagione, vista la conferma iniziale del solo Boniek come altro giocatore straniero in squadra. Nonostante la pugnalata alle spalle, Brady chiuse nel migliore dei modi la sua avventura alla Juventus, ma soprattutto lo fece da professionista esemplare. Fu lui a trasformare il rigore decisivo contro il Catanzaro, che consegnò alla Juventus il ventesimo scudetto e la seconda stella sul petto, prima di trovare nuova vita alla Sampdoria.

Un inizio poco convincente

Terminati i festeggiamenti, era tempo di pensare alla nuova stagione. Lo sapevano bene Boniperti, Trapattoni e soprattutto l’Avvocato. Fu lui a volere Platini a tutti i costi: l’obiettivo era la Coppa dei Campioni. Così spinse sull’acceleratore affinché il francese di Nancy arrivasse a farcire una torta resa ricca già da Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli e Rossi, la spina dorsale dell’Italia campione del mondo.

La prima perla di Platini in bianconero non tardò ad arrivare. In un’afosa domenica di agosto, per la precisione il 22 agosto 1982, Platini si presentò al pubblico accorso in gran numero allo Stadio Comunale di Torino, in occasione della partita di Coppa Italia contro il Pescara. Il francese si prese ulteriormente la scena controllando una palla allontanata di testa dalla difesa abruzzese con un tocco morbido e calibrato, prima di piazzarla sotto la traversa. Un gol bellissimo, che fece ben sperare tutti i tifosi. Ma, in prima battuta, si rivelò un abbaglio.

Alla prima giornata di campionato la Juventus perse di misura contro la neopromossa Sampdoria per mano proprio di Brady. Lo scivolone contro la Sampdoria non fu un caso isolato. La squadra sembrò girare a vuoto, con gli eroi azzurri svuotati di ogni energia dopo le fatiche del mondiale. In più Platini faticò e non poco a ingranare, complice una pubalgia fastidiosa che continuò a tormentarlo per buona parte della stagione.

La prima perla in Italia di Michel Platini

L’ombra di Atene

La scossa arrivò dai piani alti all’alba del nuovo anno. Era da poco terminata in pareggio Juventus-Sampdoria, con Brady ancora in gol. Rispondendo alle domande dei cronisti, Agnelli si lasciò andare a un breve commento, che però racchiudeva buona parte delle difficoltà avute dalla Juventus sino a quel momento:

Se Furino è il regista della nuova Juventus, è inutile farsi illusioni.

Un riferimento tutt’altro che velato alla scelta di Trapattoni di insistere con Giuseppe Furino, 36 anni, centrocampista che non aveva certo nell’impostazione e nel fraseggio le sue doti migliori. Agnelli voleva che la Juventus facesse perno sulle giocate di Platini, che nel frattempo sembrava aver accantonato la pubalgia. Il messaggio venne recepito forte e chiaro dal Trap, che fece orbitare la squadra attorno a Platini. E nel girone di ritorno il fuoriclasse francese irruppe in tutto il suo splendore, mettendo a segno 14 gol in appena nove partite e vincendo il titolo di capocannoniere a fine stagione con 16 gol. Con lui a dirigere il traffico, la Juventus ritrovò un equilibrio credibile. Tuttavia i punti persi dalla squadra in precedenza pesarono sul computo complessivo, tanto che la Juve terminò il campionato al secondo posto, distanziata di quattro punti dalla Roma campione d’Italia.

Forse però la mazzata più pesante arrivò in campo europeo. La Juventus perse inspiegabilmente la finale di Coppa dei Campioni contro l’Amburgo, primo in Bundesliga ma non di certo al livello dei bianconeri. Ai tedeschi fu sufficiente un gol di Magath al 9′ da distanza improbabile per laurearsi campioni d’Europa. La Coppa Italia vinta in rimonta sul Verona grazie a una doppietta – con il secondo segnato nei supplementari – rese meno amara la prima stagione di Platini in Italia. Nonostante tutti gli sforzi e i 28 gol messi a segno in 51 presenze, il francese finì nell’occhio del ciclone, trattato più come una comparsa di lusso che come la stella della squadra.

Il riscatto di Michel Platini

Ai nastri di partenza della stagione successiva, Platini si presentò in forma smagliante. Responsabilizzato ulteriormente dalle partenze di grandi uomini spogliatoio come Zoff, Bettega e Furino, l’asso francese divenne il leader tecnico assoluto e la formazione bianconera mise subito in chiaro le proprie intenzioni, chiudendo il girone d’andata da campionessa d’inverno. Il fuoriclasse di Nancy mise a segno 10 gol in 14 partite, chiudendo il suo 1983 nel migliore dei modi con la vittoria del Pallone d’Oro, il primo dei tre conquistati.

Il 1984 fu l’annata che mise d’accordo tutti e Platini divenne definitivamente Le Roi. Nonostante gli impegni europei – che terminarono con la vittoria della Coppa delle Coppe contro il Porto per 2-1, e la concorrenza agguerrita della Roma, la Juventus si laureò campione d’Italia per la ventunesima volta con un turno d’anticipo, nonostante il pareggio interno contro l’Avellino all’ultima giornata. Il primo scudetto bianconero per Platini, che vinse nuovamente il titolo di capocannoniere con 20 reti, battendo la concorrenza di un altro grande numero 10 bianconero, Zico.

La festa però non finì lì, perché Platini sfruttò il momento magico e vinse da protagonista assoluto l’Europeo con la Francia, disputato proprio in terra transalpina. Le Roi, autore di 9 gol, detiene ancora oggi il record di realizzazioni in una singola edizione di un Europeo.

La strage dell’Heysel

Seppur con il secondo Pallone d’Oro in tasca, la seconda metà del 1984 si rivelò piuttosto difficile non tanto per Platini, che continuò a segnare e a incantare, quanto per la Juventus. La Vecchia Signora era una squadra che si stava avvicinando alla fine del proprio ciclo. Il campionato si rivelò un clamoroso buco nell’acqua, con la Juventus che terminò addirittura al sesto posto. I gol di Platini, 18 a fine stagione, che gli valsero nuovamente il titolo di capocannoniere, non bastarono a risollevare le sorti di una squadra apparsa stanca, che conquistò comunque la Supercoppa Europea contro il Liverpool. Con grande fatica per trovare una data utile, la partita venne disputata per la prima volta in gara secca e in casa dei bianconeri.

Le cartucce migliori vennero sparate nella Coppa dei Campioni, dove la Juve raggiunse nuovamente la finale per ritrovare il Liverpool, già battuto pochi mesi prima in Supercoppa. La sera del 29 maggio 1985 è difficile anche solo da raccontare, alla luce dei tristi eventi che chiunque ami il calcio conosce fin troppo bene. Le certezze in quel momento erano poche: dai giocatori ai telecronisti, all’Heysel nessuno sapeva cosa stesse succedendo. La testimonianza rilasciata anni più tardi da Bruno Pizzul è da brividi:

Sentimmo il tonfo, vedemmo la gente sciamare all’interno del campo di gioco, ma le notizie che ci arrivavano erano centellinate, contraddittorie e prive di qualsiasi certezza. A lungo nessuno parlò di morti, poi si seppe che c’era qualche ferito, anche se le immagini che fluivano lasciavano presupporre un bilancio più grave.

In un clima tristemente surreale, nonostante la volontà della Juventus di non voler giocare quella partita, Scirea provò invano a tranquillizzare il pubblico dagli altoparlanti dello stadio:

Giochiamo per consentire alle forze dell’ordine di organizzare l’evacuazione del terreno. State calmi, non rispondete alle provocazioni. Giochiamo per voi.

Quella che doveva essere una partita per decretare il vincitore della più importante competizione europea, diventò quindi un tentativo di distogliere l’attenzione dalla strage appena accaduta. La Juventus vinse per 1-0 grazie a un rigore trasformato da Platini, diventando campione d’Europa per la prima volta nella sua storia. In campo la squadra festeggiò il titolo appena conquistato, finendo per essere bersagliata dalle critiche. La verità è che in campo nessuno aveva la percezione reale del disastro che si era appena consumato. Al ritorno in Italia, una volta che le notizie diventarono ufficiali, la gioia scomparve definitivamente.

L’ultimo tassello

Forse non è un caso che l’annata 1985-86 della Juventus coincida con l’ultimo vero acuto di Platini, apparso stanco sin dalle prime battute della stagione. Qualcuno sosteneva che stesse cominciando ad avere la pancia piena, altri dicevano che dopo l’Heysel qualcosa si era rotto. Sta di fatto che il Platini di quell’anno non splendette come le stagioni passate, ma di certo non fece mancare il suo apporto. In campionato le cose si misero subito per il verso giusto: anche senza Rossi, Tardelli e Boniek – passati rispettivamente a Milan, Inter e Roma – la Juventus ottenne otto vittorie consecutive nel girone d’andata, prima della rimonta della Roma, che si fece sotto verso il finire del campionato, prima di perdere contro Lecce e Como e consegnare lo scudetto ai bianconeri.

Il francese non si mantenne sugli stessi livelli degli anni precedenti, ma la sua classe bastava per essere davanti agli altri. Il 1985 si chiuse anche con la conquista del terzo Pallone d’Oro consecutivo, il quarto di seguito per un calciatore della Juventus dopo la vittoria di Paolo Rossi nel 1982. Ma la vera gioia è datata 8 dicembre 1985: la Juventus disputò a Tokyo la finale di Coppa Intercontinentale contro l’Argentinos Juniors, l’ultimo trofeo internazionale che mancava nella bacheca bianconera.

La Vecchia Signora si trovò a rincorrere gli argentini, avanti per 0-1 prima che Platini mettesse il risultato in parità su rigore. Lo stesso francese che poco più tardi mise a segno uno dei gol più belli della sua carriera. Sugli sviluppi di un calcio d’angolo, Platini stoppò il pallone di petto, il tanto che bastava per eseguire un sombrero di destro al difensore, prima di disegnare un arcobaleno diretto in porta con il sinistro. Tre tocchi, tutti al volo, per un gol che esprime l’essenza più pura del talento di Platini.

La gioia, ma anche l’incredulità nel vedere una giocata simile, vennero ben presto cancellate dal fischio dell’arbitro, il tedesco Volker Roth, che vide un fuorigioco inesistente di Brio e assegnò un calcio di punizione all’Argentinos Juniors. Una decisione presa con troppa fretta e che si rivelò un errore piuttosto grossolano. La svista però non cancellò la magia di quel gol, con Platini che tutto sommato la prese con filosofia. Semplicemente si distese sul campo, reggendosi il capo con la mano sinistra, a contemplare l’errore arbitrale:

Sono reti che girano il mondo, che restano nella storia. Quel giorno faccio un gol così bello e tu me lo annulli per un fuorigioco passivo segnalato da un guardalinee di Singapore? Era da ammazzarlo. Mi sono sdraiato a terra, mi sono appoggiato su un gomito, l’ho guardato. Era un gesto di protesta non violenta. Non era per la televisione, era pura disperazione.

Poco male, perché la Juventus vinse ai calci di rigore la Coppa Intercontinentale, con Le Roi che insaccò il rigore decisivo, ottenendo l’ultimo trofeo internazionale che gli mancava a livello di club. La Juventus divenne la prima squadra al mondo a conquistare almeno una volta tutti i trofei ufficiali previsti dalla confederazione di appartenenza.

Gli highlights della vittoria contro l’Argentinos Juniors, con la posa di Platini

Au revoir, Monsieur Michel Platini

Dal tetto del mondo, la vista era meravigliosa. Ma la consapevolezza di essere alla fine cominciò a offuscarla. La Juventus non aveva più niente da chiedere e lo stesso valeva forse per Platini. A 32 anni, dopo aver vinto tutto quello che poteva vincere, per la prima volta il francese si scoprì fragile. Non solo fisicamente – il corpo cominciò a presentargli il conto in maniera sempre più frequente – ma anche mentalmente: stanco del calcio, stanco della vita da calciatore, ma soprattutto solo, come racconta nella sua biografia:

Provo nostalgia. Quella della Juventus di un tempo, in cui giocavo a fianco dei campioni del Mondo di Spagna. Se ne sono andati via, lasciandomi solo. Unico di una grande squadra.

L’addio di Platini al calcio giocato arrivò il 17 maggio 1987, giorno della partita contro il Brescia al Comunale di Torino, vinta per 3-2. Poco importava del risultato, perché al triplice fischio il mito svanì per sempre. La pioggia che cadeva copiosa sul campo, la corsa sotto gli spalti, i fiori come omaggio a una carriera incredibile. Si respirava una tristezza condivisa. Nella sua biografia, Le Roi ricorda il momento dell’uscita di scena, in cui recrimina un trattamento non all’altezza della storia d’amore con l’ambiente bianconero:

Qualcuno dirà: “Platini se n’è andato troppo presto, troppo in fretta”. Sì, è vero. Ma anche troppo solo. Ho servito la Juventus per cinque anni, ho dato alla società i trofei più belli, e proprio la sera della nostra separazione… nulla. O quasi. Come se fra di noi non ci fosse mai stato nulla. Mi aspettavo una festa, non ci sono stati che battimani. 

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