Un estratto dal libro “La seconda stella: racconto di una stagione memorabile” (2024)
La sua Inter ha dominato il campionato e messo in bacheca la Supercoppa Italiana. Lui nel giro di pochi mesi è passato dall’essere un allenatore con la valigia, pronto a lasciare Milano a seguito di una lunga serie di risultati deludenti, a rappresentare la pietra angolare di un ciclo vincente. Il calcio è strano, a volte basta una manciata di settimane perché tutto cambi, specie i giudizi di tifosi e addetti ai lavori. Simone Inzaghi resterà nella storia dell’Inter per aver condotto i suoi ragazzi alla seconda stella e aver annichilito il Milan per sei volte consecutive, eppure la stagione 2023/2024 del fratello di Filippo è densa di altri traguardi, non quantificabili con cifre e statistiche ma non per questo meno importanti.
Il Demone di Piacenza – soprannome che sa di meme ma che a ben guardare descrive alla perfezione l’approccio ai limiti della perfidia con cui umilia tatticamente buona parte dei colleghi – è a tutti gli effetti uno dei migliori allenatori del Mondo. A dimostrarlo non ci sono soltanto i riconoscimenti internazionali arrivati in serie e le parole al miele spese per lui da tecnici che stanno scrivendo la storia del calcio europeo, ma soprattutto quanto mostrato in campo dalla sua squadra.
Sulla carta l’Inter 2023/2024 ai nastri di partenza si presentava indebolita rispetto all’annata precedente: la rosa rivoluzionata, nuova per metà, e la partenza di elementi fondamentali come Brozović, Skriniar, Onana, Lukaku e Džeko lasciavano presagire un cammino accidentato verso quello che sin dall’estate era l’obiettivo dichiarato, cioè lo Scudetto. E invece a fare la differenza, al netto dei nomi arrivati durante la campagna acquisti, ci ha pensato un mister che è riuscito a plasmare un gruppo di ottimi giocatori che rendono quasi tutti al limite delle proprie possibilità. Infatti, a parte un paio di eccezioni – per quanto tale opinione possa risultare impopolare tra una fetta di tifosi – l’Inter che esprime un calcio spettacolare e maledettamente efficace in Italia e in Europa è il risultato delle doti sopra media di Inzaghi e delle scelte oculate operate dalla dirigenza molto più che merito dei singoli.
Giusto per fare qualche esempio, calciatori non più alle prime armi come Çalhanoğlu e Thuram semplicemente non avevano mai reso come fatto sotto la guida di Inzaghi. L’elenco si allunga se aggiungiamo la valorizzazione di prospetti che non sembravano per forza destinati a palcoscenici di altissimo livello come Dimarco e Bisseck e di alcuni veterani che sembravano sul viale del tramonto, tra cui spiccano Acerbi e Darmian, senza parlare della seconda, o forse sarebbe meglio dire terza giovinezza che sta vivendo Mkhitaryan. La memoria corta è una caratteristica peculiare di molti calciofili ed è giusto ricordare che questi ultimi tre ultratentenni, titolari nella stagione appena conclusa, erano arrivati a Milano tra lo scetticismo generale.
Ma quindi Inzaghi è un genio della tattica? Il migliore allenatore italiano? È soltanto all’inizio di un percorso che lo porterà ad uno status leggendario? Niente di tutto ciò o perlomeno non abbiamo abbastanza elementi per immaginare ciò che potrà diventare con il passare degli anni. Alcune certezze, però, le abbiamo. La prima è che, insieme a Xabi Alonso del Bayer Leverkusen, Inzaghi è il tecnico che a livello europeo ha più innovato nelle ultime stagioni, pur essendo ben ancorato alla tradizione italiana. I suoi principi di gioco rappresentano una svolta epocale per il 3-5-2, da sempre visto come uno schema difensivo. L’interpretazione di alcuni ruoli del suo scacchiere sono quanto di più moderno si possa trovare sui campi di calcio, basti pensare al supporto alla manovra che arriva dai due braccetti: Bastoni è a tutti gli effetti il regista ombra della squadra, Pavard un incursore che abbina una fase difensiva solida e continua alla presenza costante e fruttuosa nella metà campo avversaria. Anche per quanto riguarda il centrocampo, siamo di fronte a qualcosa di inedito: di fatto tre trequartisti (due se consideriamo Barella una mezzala con spiccate qualità tecniche e doti offensive) dettano i tempi della manovra e riescono a ribaltare l’azione con tempi ed efficacia mai visti prima in Italia, il tutto riuscendo, grazie a una perfetta occupazione degli spazi, a non andare quasi mai in sofferenza in fase di non possesso. In questo senso è straordinario ciò Inzaghi è riuscito a fare con Çalhanoğlu, un ex fantasista dalle grandi doti balistiche e terribilmente discontinuo, diventato oggi un playmaker di livello internazionale, un regista sempre al centro del gioco, sia quando è la sua squadra a palleggiare, sia nelle situazioni in cui gli viene richiesta dedizione difensiva da mediano d’altri tempi.
Il calcio di Inzaghi è liquido e lo scambio continuo di posizione tra i calciatori è un rebus che pochi avversari riescono a risolvere. I tagli in area dei quinti di centrocampo sembrano presi dal basket, sport in cui è fondamentale produrre punti dal lato debole; l’inserimento delle mezzali, veri barometri dell’intero 11, sono un marchio di fabbrica dell’Inzaghi ball. La fluidità della manovra messa in mostra in inverno dall’Inter, capolista che ha fatto collezione di successi rotondi e clean sheet, è stata da applausi e ha pochi precedenti: persino l’Inter di Mourinho, infarcita di leggende del Gioco e capace di infilare un record dopo l’altro, non esprimeva un calcio piacevole come quello orchestrato da Simone da Piacenza.
Insomma, ripercorrendo la stagione che ha portato alla seconda stella, i meriti di Inzaghi sono evidenti e la marcia trionfale in campionato, tolto lo scivolone interno col Sassuolo di fine settembre, è un insieme di perle una più lucente dell’altra, soprattutto perché, come detto, un’ottima rosa ha reso come una rosa stellare. Almeno in Serie A.
Si perché, venendo all’unica nota dolente del 2024 nerazzurro, in Champions le cose sono andate decisamente meno bene. Senza girarci troppo intorno, il girone andava vinto. La Real Sociedad era un avversario alla portata ma alla fine ha chiuso in testa il raggruppamento grazie soprattutto al turnover massiccio a cui Inzaghi si è affidato durante le notti europee. La scelta di concentrare sin da subito la maggior parte delle risorse tecniche e delle energie mentali a disposizione per raggiungere l’obiettivo dichiarato ha pagato, è vero, ma la sensazione è che, con un anno di esperienza in più, nel 2024/2025 Inzaghi possa calibrare meglio gli sforzi dei suoi ragazzi. Anche l’eliminazione agli ottavi con l’Atletico Madrid, probabilmente, è figlia della smania di ammazzare il prima possibile il campionato. Perché se è vero che in fondo gli spagnoli hanno avuto la meglio soltanto ai rigori, è altrettanto innegabile che l’Inter di Champions si è dimostrata una versione depotenziata di quella che giocava in Serie A. Se la pagella di Inzaghi non arriva al 10 è perché oggettivamente la squadra aveva le carte in regola per giocarsi almeno i quarti di finale. Un discorso simile si può fare per la Coppa Italia, competizione ampiamente alla portata ma su cui, a differenza delle due stagioni precedenti, il Demone ha palesemente puntato meno. L’eliminazione contro l’ottimo Bologna di Thiago Motta ci può stare, ma è comunque un peccato non aver proseguito il percorso in una competizione ampiamente alla portata.
Dopo aver parlato degli aspetti meno positivi della stagione, veniamo ora al vero capolavoro di Inzaghi e cioè la sua crescita esponenziale dal punto di vista della comunicazione. Le prime due stagioni in nerazzurro avevano messo in evidenza pecche evidenti nel modo di raccontarsi e di raccontare la propria squadra ma, già dalla fine del 2022/2023, le musica è cambiata. L’Inzaghi perennemente impacciato davanti alle telecamere che spesso dava l’impressione di essere sull’orlo di una crisi di nervi, ha lasciato il posto ad una figura molto più equilibrata e soprattutto rilassata. La conferma della società dopo il campionato delle 12 sconfitte ha evidentemente rafforzato le convinzioni del tecnico, che ora si presenta in conferenza stampa con la consapevolezza di essere saldamente il condottiero di un gruppo vincente. Le risposte standard ai cronisti che un tempo servivano da scudo, in un rapporto con i media che somigliava a una partita a scacchi in cui il tecnico puntava soprattutto a non prenderle, sono solo un ricordo e negli ultimi mesi Inzaghi si è sciolto, ha iniziato a parlare di tattica e di tecnica, risponde con più naturalezza alle domande e qualche volta si lascia andare a risposte ironiche che gli donano un aspetto più umano e robotico del passato. Certo, vincere aiuta a presentarsi più sereni in sala stampa, ma la crescita dell’allenatore nerazzurro è risultata evidente anche quando ha dovuto commentare le eliminazioni in Champions e in Coppa Italia. Non parla più di arbitri né lancia frecciate più o meno velate alla stampa o agli avversari di turno, semplicemente racconta ciò che può raccontare, senza violare la privacy dello spogliatoio ma comunque aprendosi quel tanto che basta per risultare credibile e allo stesso tempo empatico con i tifosi.
Insomma, Inzaghi merita un 9 pieno per aver condotto l’Inter alla seconda stella e il voto ai limiti della perfezione vuole premiare anche la sua cresciuta come figura pubblica che rappresenta l’Inter. Grazie ai trofei messi in bacheca, il Demone è già di diritto nella storia dell’Inter, ma la sua scalata dell’Olimpo nerazzurro potrebbe essere soltanto all’inizio. Le premesse ci sono tutte.