Cristian Chivu è ufficialmente il nuovo allenatore dell’Inter. Dopo il rifiuto di Cesc Fàbregas, la società ha virato sul romeno, a tutti gli effetti una scommessa, vista la pochissima esperienza in Serie A. Sarà lui a dover dare continuità al lavoro di Simone Inzaghi, volato in Arabia al termine di un quadriennio in cui i nerazzurri hanno vinto uno Scudetto, due Coppe Italia e tre Supercoppe italiane, trofei a cui si aggiungono due finali di Champions League e due secondi e un terzo posto in campionato. Insomma, un’eredità pesantissima, che Chivu raccoglierà già tra pochi giorni quando esordirà nel Mondiale per Club.
Chivu e l’esperienza a Parma
L’ex capitano dell’Ajax ha percorso l’intera trafila del settore giovanile nerazzurro, partendo dall’Under 14 fino alla panchina della Primavera che ha guidato alla conquista di uno Scudetto: si tratta di un allenatore in costruzione, di certo non un integralista e – secondo Marotta, Ausilio e Baccin – in grado di ricalcare a grandi linee lo spartito tattico che ha reso l’Inter una squadra in grado di sfidare i mammasantissima del calcio europeo.
L’esperienza di Chivu a Parma, seppur breve, ha offerto spunti interessanti. Chiamato a stagione in corso, si è ritrovato tra le mani una squadra quasi impresentabile a livello difensivo ma con giovani di qualità. Nell’ultimo periodo dell’era Pecchia, i gialloblù erano irrimediabilmente fragili in fase di non possesso; con Chivu la media gol subiti si è assestata a uno per partita. Il dato in sé non fa gridare al miracolo ma lo fa il contesto, considerando il calendario complicato affrontato negli ultimi tre mesi di campionato, con avversari del calibro di Inter, Napoli, Atalanta e Juventus. La salvezza è arrivata all’ultima giornata. E con essa la sensazione che Chivu abbia qualcosa da dire anche nel calcio dei grandi.
Un allenatore senza dogmi
Nel suo percorso formativo, Chivu ha sempre mostrato una predilezione per un 4-3-3 elastico, capace di trasformarsi in 4-2-3-1 a seconda del contesto. Un’idea che aveva portato anche a Parma, salvo poi modificarla in corso d’opera. Anche nella sua Primavera si erano viste transizioni simili: nessun dogma tattico, ma un approccio adattivo e funzionale. Quando l’avversario è di pari livello tecnico o inferiore, le squadre dell’ex difensore della Roma tentano il recupero immediato del pallone e alzano il baricentro; a Parma però si sono viste intere partite con blocco basso e gusto per la ripartenza immediata.
Ora che si trova davanti un gruppo maturo, abituato a uno stile e a un sistema, Chivu dovrà trovare un equilibrio tra la necessità di rinnovare e il rispetto per ciò che già funziona. Inzaghi ha lasciato una squadra che sa perfettamente come muoversi a memoria in certe situazioni. Chivu, dal canto suo, ha già dato prova di saper fare restyling progressivi. Ha utilizzato il 4-3-3 come tela bianca, modificandolo a seconda delle caratteristiche dei giocatori a disposizione. In alcuni casi ha virato verso un 3-4-2-1 con mezzali che agivano quasi da trequartisti. In altri ha abbassato uno dei mediani sulla linea difensiva in fase di costruzione, creando superiorità centrale. La sua idea di calcio è molto meno vincolata al modulo di quanto possa sembrare. È una visione situazionale, quasi relazionale, dove la disposizione tattica è una conseguenza del contesto.
A Chivu non viene chiesto di cancellare Inzaghi ma di interpretarne l’eredità e di innovare in un recinto tattico ben delineato. E questa è una condizione tanto affascinante quanto insidiosa. Perché l’Inter post-Demone di Piacenza non è una squadra in rovina da ricostruire, ma una macchina efficiente, arrivata a un punto di esaurimento naturale e che dovrà abbeverarsi alla fonte del calciomercato estivo per ritrovare freschezza, abbassando l’età media che punta pericolosamente verso i 30 anni.
L’Inter riparte dal 3-5-2
Quel che sembra probabile è che, vista l’urgenza del Mondiale per Club, Chivu non abbia il tempo materiale per cambiare troppo il suo nuovo gruppo, sicuramente nel modulo e con tutta probabilità nemmeno in materia di principi tattici. La rosa è tarata sul 3-5-2 e gli automatismi sono radicati. Il mercato, poi, dirà se al nuovo tecnico nerazzurro verranno messi a disposizione gli uomini giusti per proporre un piano B in determinate situazioni di partita: durante tutte e quattro le sue stagioni interiste, a Inzaghi è stato rimproverato proprio di non aver messo a punto una strategia alternativa a quella base.
Detto in soldoni, l’Inter andava in difficoltà quando doveva scardinare quei sistemi difensivi in grado di attutire l’effetto delle giocate codificate, prima tra tutte la creazione di gioco sul lato sinistro del campo prima del cambio repentino a destra per innescare Dumfries. Inzaghi stesso, in realtà, nelle ultime stagioni aveva chiesto alla società calciatori in grado di far saltare il banco puntando l’uomo, ma gli esperimenti in tal senso hanno dato esiti negativi (Buchanan) o comunque non hanno inciso in maniera determinante, vedi l’inserimento a gennaio di Zalewski (su cui la società vuole continuare a puntare). Stiamo parlando di due calciatori non certo di primissimo piano, ma giovani che venivano visti come carte da giocarsi nella ripresa per provare a mischiare le carte.
I primi innesti: Luis Henrique e Sučić
Al netto delle perplessità della tifoseria, che di certo si aspettava un nome più di grido, il progetto tecnico della società sembra chiaro: continuare con lo zoccolo duro che ha conquistato sei trofei nelle ultime quattro stagioni. Il mercato servirà per ringiovanire la rosa senza stravolgerla. Luis Henrique, ad esempio, è un esterno a tutta fascia che di fatto mette fuori gioco Darmian, destinato a un ruolo sempre più marginale, probabilmente come braccetto e molto raramente da quinto. Il brasiliano è adatto a un calcio verticale, è un buon dribblatore: l’Inter spera che possa seguire un percorso di crescita simile a quello di Dumfries.
L’arrivo di Petar Sučić, mezzala dal profilo offensivo, sembra un investimento in chiave futura ma anche ossigeno immediato per Mkhitaryan: l’armeno dovrebbe restare un’altra stagione, ma la sua centralità andrà per forza di cose ridiscussa.
Il destino di Frattesi
Chi ha tutto per tornare in auge dopo l’addio di Inzaghi è Davide Frattesi. Le sue doti negli inserimenti sono fuori discussione, ma resta da capire come inquadrarlo in un sistema dove il possesso sarà ancora centrale. Frattesi non ha la visione di gioco di Mkhitaryan, né la capacità di dettare i tempi all’intero reparto quando la pressione degli avversari si concentra su Çalhanoglu. È un’arma, ma non universale. Se Chivu riuscirà a costruire un sistema che lo protegge e lo esalta, potrà diventare importante nello scacchiere nerazzurro, altrimenti rischia di rimanere uno spaccapartite di lusso, ruolo che ha già dimostrato di digerire male.
Servono due attaccanti
Le necessità principali, comunque, restano quelle dell’attacco, dove manca un’alternativa credibile alla coppia Lautaro-Thuram. L’Inter ha bisogno di un giocatore che possa reggere il confronto con la Thu-La, almeno nelle fasi della stagione in cui il calendario si infittisce. Correa si è accasato al Botafogo, Arnautović potrebbe salutare e pure per Taremi il Mondiale per club potrebbe rappresentare l’ultimo ballo in nerazzurro (anche se l’ingaggio pesante potrebbe rendere difficile la sua cessione). Verosimilmente l’Inter aggiungerà due punte alla propria rosa, una delle quali potrebbe essere Højlund in prestito con obbligo o diritto di riscatto dal Manchester United.
Sul taccuino ci sono anche Jonathan David e Ange-Yoan Bonny: il canadese è svincolato ma richiede uno sforzo importante in termini di ingaggio e bonus alla firma (si parla di 25 milioni). Il centravanti del Parma costa meno ma rappresenta una scommessa solida per allungare le rotazioni. Da monitorare la situazione di Francesco Pio Esposito, che Chivu conosce bene avendolo fatto esordire in Primavera e su cui l’Inter potrebbe decidere di puntare, forte della splendida stagione in B con lo Spezia.
Difesa da svecchiare
In porta, intanto, la successione è tracciata: Josep Martínez dovrebbe avere sempre più spazio nel corso della stagione 2025-26, con l’obiettivo di sostituire Sommer, ancora saldamente titolare, l’anno successivo.
Fluida al momento la situazione in difesa. Acerbi potrebbe essere ai saluti dopo la partenza di Inzaghi. De Vrij non può garantire continuità ad altissimi livelli: viene visto come un’ottima alternativa ma, bilancio permettendo, dovrebbe giocarsi il ruolo di centrale con un nuovo acquisto più giovane (Beukema e Lucumì tra gli indiziati). Bisseck è una plusvalenza che cammina e partirà in caso di un’offerta irrinunciabile dalla Premier. Bastoni e Pavard sono al momento le certezze da cui ripartire, a cui si aggiunge Carlos Augusto, in grado di coprire più ruoli. Negli ultimi giorni ha ripreso quota il nome di Giovanni Leoni, su cui però ci sono molte delle big italiane: il ragazzo, 19 anni a dicembre, è stato valorizzato da Chivu a Parma, elemento questo che può avvantaggiare i nerazzurri.
La linea verde che piace a Oaktree
Al di là delle necessità dei singoli reparti, a Chivu viene richiesta la valorizzazione dei giovani che avrà in rosa. La linea dettata da Oaktree in questo senso è chiara ed è stata ribadita da Marotta subito dopo la separazione con Inzaghi. Non è un caso quindi che al Mondiale per club l’Inter porterà sia Francesco Pio che Sebastiano Esposito, oltre a Tomas Palacios e Valentín Carboni. Almeno un paio di loro potrebbero far parte della nuova Inter.