Perché la Nazionale non riparte dai tecnici federali?

Riaffidarsi ai tecnici federali potrebbe essere la soluzione per rilanciare la Nazionale di calcio.

Dagli anni ’70 e per oltre due decenni, la storia della Nazionale italiana è passata spesso per le mani di tecnici federali, figure nate e cresciute all’interno del sistema. Oggi, in un momento di crisi d’identità e risultati, il confronto con quel modello torna d’attualità. Tra abbandoni improvvisi, scelte discutibili e giovani che faticano a emergere, ripensare la centralità del Club Italia potrebbe non essere solo nostalgia, ma un punto da cui ripartire.

Nazionale ai tecnici federali, una tradizione vincente

L’avventura dell’Under 21 azzurra all’Europeo di categoria si è fermata ai quarti di finale, ai supplementari, contro la Germania. Di certo il confronto con la crisi della Nazionale maggiore, culminata con l’esonero di Luciano Spalletti, è già di per sé stridente. La squadra guidata da Carmine Nunziata ha dimostrato che l’Italia non ha smesso di saper giocare a calcio e che nel movimento c’è del buono, quantomeno per fare figure migliori di quelle rimediate dai grandi contro Norvegia e Moldavia.

Non ce ne vogliano Spalletti e men che meno Gattuso, chiamato al suo posto. È evidente che è un problema generale, che parte dal 2006 in poi. In questo lasso di tempo, se si eccettuano il secondo posto dell’Italia di Prandelli all’Europeo 2012 e il trionfo, in pieno Covid, dell’Italia di Mancini nel 2021 nella stessa manifestazione continentale, i vertici del nostro calcio non sono riusciti a creare un programma di ricostruzione del nostro calcio. Cambiando ben otto commissari tecnici, con due eliminazioni ai gironi dei Mondiali 2010 e 2014 e addirittura saltando la qualificazione alla fase finale di quelli del 2018 e del 2022. Con il grosso rischio di proseguire il periodo nero mancando anche i prossimi del 2026 in Canada, Messico e Stati Uniti.

Se si vuole provare ad uscire da questo vicolo cieco, occorre fare un’analisi generale e qualche confronto con il passato. Dal quale emerge che nel secolo scorso, ovvero dalla disfatta dell’Italia di Edmondo Fabbri contro la Corea nel 1966, la Federazione si era quasi sempre avvalsa di selezionatori costruiti in casa e lanciati al timone della Nazionale senza paura. Cominciando da Ferruccio Valcareggi, che, pur proveniente dai club, ebbe la fiducia incondizionata della FIGC, che lo ha confermato al comando anche nei momenti peggiori, successivi al grande inizio di avventura nel quale diventò campione continentale nel 1968 e arrivò secondo dietro al Brasile a Messico ‘70. Al suo posto dal 1975 in poi venne chiamato Enzo Bearzot, che negli undici anni della sua gestione divenne campione del mondo nel 1982 e si piazzò quarto ai Mondiali di Argentina ‘78 e agli Europei disputati in Italia nel 1980.

Dal 1986 gli subentrò Azeglio Vicini, che due anni dopo guidò gli azzurri alle semifinali dell’Europeo e al terzo posto nel 1990, eliminati solo ai rigori dall’Argentina ma capaci di trascinare una nazione intera al grande sogno con le Notti Magiche firmate Totò Schillaci. Unica parentesi di commissario tecnico esterno con Arrigo Sacchi, preso dai trionfi col Milan, secondo per colpa dei rigori a USA 1994 e malamente eliminato ai gironi due anni dopo nel campionato continentale. Quindi il ritorno ai tecnici federali, con Cesare Maldini, sfortunato ai rigori con la Francia poi campione in casa nel 1998, e successivamente con Dino Zoff, forgiatosi nel Club Italia, che perse la finale di Euro 2000 sempre con la Francia a causa del Golden Gol di Trezeguet.

Negli ultimi 25 anni invece si è sempre pescato dalle squadre di club: Giovanni Trapattoni (2000-2004), Marcello Lippi (2004-2006 e poi 2008-2010), Roberto Donadoni (2006-2008), Cesare Prandelli (2010-2014), Antonio Conte (2014-2016), Gian Piero Ventura (2016-2017), Roberto Mancini (2018-2023), Luciano Spalletti (2023-2025) e ora Gennaro Gattuso. Al di là dei risultati ottenuti, tra i quali spicca il successo in Germania con Lippi nel 2006, l’impressione che se ne trae è che la Federazione abbia progressivamente perso importanza e anche fiducia in sé stessa.

Un tempo, seppur in mezzo alle critiche esasperate, aveva il coraggio di difendere fino alla fine le proprie scelte. Come fece con Valcareggi nel 1970, confermato nonostante gli azzurri fossero stati accolti a pomodori dai tifosi all’arrivo a Fiumicino – malgrado il secondo posto – per il 4-1 subito dal Brasile e la discussa staffetta Mazzola-Rivera. Anche Vicini rimase in sella nonostante i Mondiali di Italia ’90 avessero quasi come unico obiettivo il successo degli azzurri.

Rimettere il progetto al centro di tutto

Saranno pure cambiati i tempi e non vogliamo entrare nelle questioni personali. Tuttavia se pensiamo che Conte nel 2016 e Mancini nel 2023 si sono dimessi per approdare a lidi economicamente più importanti, diventa poi difficile far passare il messaggio che i giocatori non sentono più l’azzurro sulla pelle come i loro predecessori. E non si può nemmeno sperare che Gattuso, di certo caratterialmente forte, possa d’incanto far tornare la voglia d’Italia a chi convocherà.

Come sempre si dovrebbe partire dalle idee. Nunziata, ad esempio, è nei quadri della FIGC dall’ormai lontano 2012, allenando più o meno tutte le selezioni giovanili. Va bene solo per i ragazzi? Non si poteva rischiare, naturalmente difendendolo, un tecnico che ha tanti anni di esperienza internazionale con il Club Italia affidandogli la Nazionale maggiore? Del resto nel 2023, quando Alberto Bollini vinse l’Europeo di Malta con l’Under 19, quel trionfo venne celebrato come una sorta di nuovo inizio. Tanto che il presidente Gabriele Gravina lo gratificò affidandogli la carica di vice di Roberto Mancini.

Un paio di mesi dopo, però, l’allora ct si dimise e iniziò la caccia al nuovo tecnico. “Abbiamo scelto il migliore che c’è in giro” dichiarò Gravina presentando Spalletti fresco di scudetto al Napoli. Il quale però, per accettare la carica, volle che insieme a lui arrivasse in Nazionale tutto il suo staff, compreso ovviamente il secondo. Con buona pace del povero Bollini, rimandato prima in Under 20 e successivamente di nuovo in Under 19. Sostanzialmente tornando nei ranghi e sparendo dalla circolazione.

Puntare su un allenatore federale potrebbe anche aiutare a risolvere – o almeno tentare di farlo – l’annoso problema dei talenti che non decollano mai. Nel 1978 Bearzot in Argentina fece debuttare un certo Paolo Rossi, 22enne, reduce dal secondo posto col Vicenza, e pure Antonio Cabrini, di un anno più giovane, nemmeno titolare nella Juventus. Per non parlare di Giuseppe Bergomi che nel 1982 a 18 anni fu campione del mondo dopo solo qualche apparizione nell’Inter in campionato.

Oggi prima di approdare alla Nazionale maggiore occorre fare una trafila infinita, tra selezioni giovanili e squadre di club. Con il risultato che i talenti non si aspettano o non vengono messi in condizione di sbocciare. I risultati ottenuti da Spalletti sono sotto gli occhi di tutti, ma al di là di ciò rimane l’immagine di una Federazione in balia dei risultati e che soprattutto si rimangia le proprie decisioni invece di assumersene la responsabilità. Rimettendo tutto in discussione ad ogni evento negativo senza avere di fatto già preparato un piano B. Serve coraggio. E una pianificazione strutturale che tenga conto anche delle delusioni lungo il percorso. Ma la strada tracciata deve essere battuta e perseguita con convinzione. Con le idee chiare ed una risposta esauriente ad ogni eventuale critica.

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