Per assurdo sarebbe bastato anche perdere in finale per potersi rilanciare definitivamente in campo internazionale. E invece il Chelsea contro il PSG ha fatto il colpo grosso: 3-0, deciso nel primo tempo, contro la squadra più chiacchierata e incensata del momento. Contro l’allenatore, Luis Enrique, giustamente più celebrato per gioco e risultati. Il Chelsea sboccia sempre quando meno te lo aspetti, come quella volta in Champions con Di Matteo, aggiudicandosi il neonato FIFA Club World Cup e diventando l’unico club al mondo in grado di vincere tutte le competizioni FIFA e UEFA esistenti. Nel weekend che vede Sinner trionfare per la prima volta a Wimbledon, anche Maresca col suo capolavoro ci strappa più di un sorriso.
Il Chelsea e il legame indissolubile con l’Italia
Perché quello del Chelsea sulla scena internazionale è un ritorno che forse si è fatto attendere più del previsto e adesso culmina in un risultato che impedirà al club di nascondersi. Anzi, forse metterà addosso ai Blues più pressione di quanta ne avessero calcolata all’indomani della Conference League, obbligandoli a una riconferma. Tre a zero, meglio ripeterlo, scritto in lettere e non più in numero. Contro il PSG che era esploso con San Gigio Donnarumma e quei rigori contro il Liverpool, che poi aveva strapazzato l’Inter in finale e quindi messo fine all’era Modrić con un 4-0 al Real Madrid che ha fatto rumore. Decollati contro una squadra inglese, appunto i Reds, contro un’altra inglese i parigini sono tornati sulla terra. Sembrava che Luis Enrique – pessima figura nel siparietto con João Pedro a fine match – potesse aprire un ciclo esagerato, fondato su un calcio fatto di pressione, tecnica ed armonia, e invece la “miglior squadra al mondo” è questo Chelsea. Che nel percorso ha conosciuto anche la sconfitta col Flamengo, ma che soprattutto è una squadra ben allenata, straripante di talento, concreta, risoluta, cinica.
Spesso in Italia la si guarda con simpatia. Attualmente non è rappresentata da calciatori italiani, l’ultimo di fatto è stato Cesare Casadei, ceduto in prestito dopo mesi di scarso utilizzo e quindi tornato in patria per vestire la maglia del Toro. Di giocatori azzurri ne sono passati tanti; prima di tutti, meravigliosamente, Gianfranco Zola, in arte Magic Box, quindi Gianluca Vialli, Carlo Cudicini, Pierluigi Casiraghi, Roberto Di Matteo, fino ai giorni nostri con Davide Zappacosta, Emerson Palmieri e Jorginho.
Certamente c’è un filo sottile, quasi invisibile, che unisce il Chelsea all’Italia. L’ultimo garante di questo patto non scritto è proprio Enzo Maresca, che nel reparto dei manager italiani che si sono seduti sulla panchina blu è stato il settimo di una gloriosa stirpe portatrice di stile italiano e che adesso ha consegnato il suo nome alla storia del club. Tutto era cominciato nel 1998, quando Vialli, sostituendo Gullit, era diventato il primo tecnico non britannico a conquistare la Coppa di Lega, poi bissando con l’FA Cup, prima di cedere il suo posto a un decano del nostro calcio – in grado poi di scrivere la trama di un miracolo col Leicester – come Claudio Ranieri.
Anni più tardi arriva Carlo Ancelotti reduce dal ciclo in rossonero e porta subito a casa il campionato, diventando il primo italiano a riuscirci e il secondo straniero dopo Mourinho a farlo nella stagione d’esordio. Eppure a Carlo Magno non riesce l’impresa di spingere il club verso successi europei, cosa che si realizzò nella maniera più inaspettata nel breve ma intenso corso di Roberto Di Matteo. Una storia imprevedibile: da secondo di André Villas-Boas (oggi presidente eletto del Porto), vinse la Champions contro il Bayern Monaco, diventando – rieccoci con gli esordi vincenti – il primo manager a portare nella bacheca del Chelsea la più ambita competizione europea. Infine, ultime ma non meno importanti nel bilancio, arriveranno la Premier di Antonio Conte e in seguito l’Europa League firmata Maurizio Sarri.
Gli highlights della finale che ha laureato il Chelsea campione del mondo
Solidità ritrovata
Tornando al presente, ma soprattutto al futuro, è plausibile che la prossima stagione venga costruita sulle basi di Breslavia, dove il Chelsea ha vinto la Conference League in rimonta. Anche se dal più modesto livello di una competizione sulla quale aveva l’obbligo morale di apporre il proprio nome, ripartirà un club che promette soprattutto – a maggior ragione all’indomani del Mondiale – di essere la grande rivale del Liverpool campione d’Inghilterra e una possibile variabile impazzita. Al ritorno in patria, gli ingressi a Stamford Bridge saranno sempre accompagnati da Liquidator, ma che la musica sia cambiata lo si era già intuito nel corso dell’ultima stagione, nella quale – specialmente in Premier – finalmente il rendimento è tornato su livelli accettabili dopo un 12° e un 6° posto, quest’ultimo insufficiente per salvare Pochettino dopo innumerevoli ma fallimentari avvicendamenti in panchina.
Un Chelsea tornato in sé proprio nel momento in cui serviva, quando tra marzo e maggio le “sorprese” Nottingham Forest e Aston Villa hanno provato a prenotare il pass per l’Europa delle grandi. È stato Maresca, proveniente da una gloriosa e meritata promozione del Leicester dalla Championship, a restituire equilibrio, solidità – clamorosa in questo senso la crescita del reparto difensivo passato dai 63 gol subiti nella stagione 2023-24 ai 43 dell’ultima – e credibilità a un gruppo che ne aveva bisogno, perché ha rischiato sempre più di essere, e a tratti lo è stato, un’accozzaglia di giocatori strapagati e, seppur talentuosi, incapaci di creare sinergie e dunque di produrre gioco e vittorie.
Sì, solo determinati successi avrebbero restituito un senso a investimenti che sembravano non averne e a rendere il quadro complessivo più sostenibile, con buona pace del proprietario statunitense Todd Boehly, che ha versato per il mercato quasi due miliardi di euro (fonte Calcio e Finanza) nel giro di quattro stagioni, salvo ottenere soltanto recentemente i primi esiti apprezzabili, anche economicamente (la vittoria al Mondiale porterà nelle casse circa 100 milioni di euro).
La vittoria in rimonta sul Betis aveva fregiato il Chelsea del titolo di prima squadra in grado di vincere le tre principali competizioni europee, mentre il quarto posto in campionato ha riportato l’appuntamento della Champions League sul calendario. Ma ciò non può esaurire l’ambizione di una squadra costretta dalla storia, dal blasone e ormai anche da motivi economici a vincere con continuità, anche e soprattutto in Inghilterra.
L’imminente stagione: e se il Chelsea fosse l’anti-Liverpool?
Anche il mercato in corso si muove in sintonia con gli obiettivi che il club è tenuto a porsi. Movimenti di grande spessore in entrata, dall’Inghilterra e dall’estero. Liam Delap sarà il nuovo attaccante (mentre Madueke e Nico Jackson sono dati in uscita): cresciuto nel Manchester City che lo ha sedotto, ceduto in prestito e poi snobbato, ha chiuso in doppia cifra di gol la sua prima Premier, senza tuttavia riuscire a salvare dalla retrocessione l’Ipswich Town caro a Ed Sheeran.
Quindi João Pedro, gioiello del Brighton pagato più di 60 milioni e reduce da un approccio devastante: doppietta in semifinale e gol della certezza contro il PSG. In più Jamie Bynoe-Gittens prelevato per 55 milioni dal Borussia Dortmund con cui nell’ultima stagione si è messo in evidenza sia in Bundesliga, sia in Europa: 4 gol in Champions, tra cui uno al Real Madrid, sempre coinvolto e protagonista fino ai quarti contro il Barcellona. Senza dimenticare che la squadra blu di Londra era già ricca di valore. Cole Palmer – a proposito – è ripartito dalla maglia numero 10, da una doppietta in finale che lo consacra nel duello con Dembélé (candidato al Pallone d’Oro) e ripaga con buone probabilità un’annata opaca fatta di numeri per lui troppo umani.
E le altre di Premier cosa faranno? Inutile negare che sarà giustamente il Liverpool – in questi giorni travolto dalla tragedia umana che ha colpito l’attaccante Diogo Jota e il fratello André Silva – la squadra da battere. Ma la corazzata di Arne Slot non sarà l’unica tra le giganti. Basti pensare al City che, dopo una prima parte di campionato imprevedibilmente negativa che sembrava l’inizio di una sorta di anno sabbatico, ha addirittura chiuso a ridosso dell’Arsenal (-3). Quei Gunners che con Arteta hanno creato una realtà promettente, sempre elogiata dalla critica ai blocchi di partenza, ma che sono chiamati a scrollarsi di dosso la nomea di “eterni secondi”, sempre incompiuti, prima alle spalle di Guardiola e poi di Slot.
Le sorprese? Non mancheranno, ma quanto potranno davvero essere attendibili? Il Bournemouth trascinato da Semenyo e Kluivert sembrava poter chiudere tra le “big four”, poi è crollato. Il Newcastle ha pagato un avvio poco convincente, per raggiungere infine un quinto posto garantito dalla continuità di risultati della seconda parte di stagione, che però sembrava l’obiettivo massimo per Tonali e compagni. E allora in questo contesto piacevolmente sfuggente a ogni pronostico, perché non potrebbe essere il Chelsea il cavallo su cui puntare? I tempi sono maturi per poter dire che sì, probabilmente il Blues è tornato a far tendenza, anche in campo.