Agosto 1957. Da dieci anni la cittadina di Williamsport, in Pennsylvania, è diventata il centro del mondo del baseball giovanile americano. Ma in questa calda estate qualcosa è destinato a cambiare: la Little League World Series sta per raggiungere una fama sin lì insperata, grazie a una formazione esordiente. Sono i Monterrey Industriales, una formazione di ragazzini tra i 10 e i 12 anni, nonché la prima squadra messicana ad essersi mai qualificata a questa prestigiosa rassegna. Sembra incredibile per un torneo giovanile, ma un Paese intero si ferma e accende le proprie radioline, pronte a trasmettere un appuntamento storico. Sul monte di lancio c’è un ragazzino messicano, Ángel Macías Barba. Ha dodici anni ma non lo dimostra, è decisamente più piccolo dei coetanei americani, esattamente come i suoi compagni di squadra.
Ma là dove manca la forza fisica, interviene la determinazione. Macías quel giorno macina record e porta a casa la prima e unica partita perfetta nella storia delle finali del torneo. È una vittoria dal sapore epocale, il Messico diventa protagonista del mondo del baseball dopo anni da spettatore, mentre il monopolio statunitense crolla. Un risultato che sovverte i pronostici al punto da diventare fonte di film e documentari: è la storia di un sogno diventato realtà ma, soprattutto, della rivincita sociale di chi troppo spesso era stato confinato ai margini. Un riscatto arrivato grazie a degli insospettabili “piccoli giganti”.
La Little League World Series e la prima volta del Messico
La Little League World Series nasce nel 1947 come torneo nazionale americano, una sorta di festa popolare finalizzata a mettere uno di fronte all’altro i migliori talenti delle varie zone del Paese. Una kermesse che per un decennio mantiene un’impronta quasi esclusivamente nazionale: solo due squadre canadesi – anche oggi spesso ammesse alle leghe professionistiche americane – hanno rappresentato un’eccezione e hanno avuto accesso al torneo, pur restando marginali nel progetto fortemente nazionalistico della competizione. Nello specifico, le squadre di Valleyfield e Windsor sono state entrambe eliminate al primo turno, senza mai arrivare alla vittoria. In sostanza, nessun match vinto da squadre straniere nella storia della LLWS: il torneo è un’icona americana, fortemente condizionata dalla scelta della Little League di operare principalmente nelle stesse regioni.
Fino al 1957, anno in cui viene istituita una qualifica per la zona meridionale degli Stati Uniti, allargata all’America Latina. Alla luce di questa espansione, anche Monterrey entra nel tabellone. Per spiegare meglio la percezione del valore della squadra, nessuno si aspetta che una squadra messicana possa anche solo partecipare, figurarsi vincere e qualificarsi alla LLWS. Ma i critici si devono ricredere: la formazione del Nuevo León si aggiudica 14 partite consecutive ai campionati sub‑regionali della zona sud (che comprende anche Texas e Kentucky) e si qualifica per la fase finale del 21-23 agosto a Williamsport. Nonostante la grande striscia vincente nella fase zonale, i Monterrey Industriales vengono visti ancora come un corpo estraneo rispetto al valore delle avversarie, più un incidente di percorso che un underdog.
I piccoli giganti nati dalla polvere
È il 1956 quando César Faz, ex addetto agli spogliatoi dei St. Louis Cardinals, decide di avviare una piccola lega giovanile presso le fabbriche di Monterrey. Con il supporto di Padre Esteban, seleziona quattro squadre locali: Botelleros, Mineros, Tubitos e Incas. I ragazzi lavorano in fabbrica, vivono in quartieri di periferia e spesso si allenano in campi desolati: terra battuta piena di sassi e vetri, senza erba, con guanti e palle improvvisati. In questa lega segnata da difficoltà evidenti e denominata Industrial Little League nasce una nuova formazione di dodici ragazzi, i Monterrey Industriales. Come detto, non è una situazione facile a livello sociale: i ragazzi, provenienti da famiglie molto povere, si rimboccano le maniche nonostante la giovane età per garantire sostentamento ai familiari. Ai loro lavori, principalmente attività di bassa manovalanza, spesso affiancano sessioni intensissime di baseball, in varie forme: cinque ore di allenamento al giorno, cui fanno seguito le ore passate ad ascoltare le cronache via radio dei Dodgers e della MLB, rigorosamente in spagnolo. Tutti loro sognano una carriera professionistica, ma sembra più una fantasia infantile che una reale prospettiva. Eppure, per inseguire ciò che pare inarrivabile, mostrano un’autodisciplina sorprendente.
La Little League World Series è la prima finestra su ciò che in patria hanno sempre desiderato, cui si affacciano dopo una fatica difficile da immaginare per la loro età. Ma l’arrivo negli Stati Uniti non è semplice, per gli Industriales. Dopo aver disputato due amichevoli in Messico, i giocatori e lo staff ottengono un visto limitato a soli tre giorni per il torneo in Pennsylvania. Una scelta che suona come un pronostico: non ci sono aspettative su di loro, tre giorni possono bastare perché dopo una partita quel viaggio è destinato a finire. È uno dei tanti pregiudizi che la squadra deve affrontare, sebbene appaia ai più come quello maggiormente giustificato. Gli avversari infatti sono molto superiori fisicamente: in media, alti 163 centimetri – contro i 150 degli Industriales – e con un peso superiore di circa 15-18 chili rispetto ai giocatori messicani.
Una fisicità segnata dalla povertà che attanaglia il Nuevo León, in contrasto con l’opulenza consumistica dell’America anni Cinquanta, in piena espansione. La popolazione locale accoglie con derisione quei ragazzi venuti dal sud, in un contesto ancora segnato da segregazione e pregiudizio. E così gli Industriales vengono etichettati come “i piccoli”, per la statura e l’estrazione sociale, quasi a volerli raffrontare con la grandezza a stelle e strisce. Ma da quella piccola taglia derivano gambe rapide e riflessi prontissimi. E nascerà il mito dei “Los Pequeños Gigantes”, i piccoli giganti.
La partita perfetta e il trionfo
Dal 21 al 23 agosto 1957 Williamsport si anima di una tensione e di una passione inattese. Dopo aver lasciato il segno nei tornei statunitensi, Monterrey si presenta alla Little League World Series forte di una serie di ben 14 vittorie consecutive in Texas e Kentucky, alcune delle quali piuttosto perentorie, come il 13‑0 su Biloxi, il 3‑0 ai danni di Owensboro e l’11‑2 contro Texas State. Il 21 agosto si gioca una semifinale molto tirata contro Connecticut, un’eccellenza per il baseball giovanile. Nonostante i favori del pronostico, gli statunitensi devono arrendersi con il punteggio di 2-1. Contro ogni aspettativa, Monterrey approda in finale, dove affronterà i californiani di La Mesa. Ma non senza problemi: il traguardo raggiunto coincide con un problema burocratico, dal momento che il visto concesso per tre giorni è ormai scaduto.
Ma è qua che si manifesta la potenza dello sport: quei gracili ragazzini, dileggiati e anche un po’ osteggiati, riescono a catalizzare la curiosità degli appassionati e a conquistare il pubblico. Apprese delle difficoltà logistiche ed economiche, la popolazione locale si attiva in una catena di aiuti, offrendo cibo e ospitalità alla delegazione. Interviene l’ambasciatore messicano, che si attiva con il governo per ottenere l’estensione dei visti che consentono ai Monterrey Industriales di restare nel Paese e, conseguentemente, di scendere in campo contro La Mesa.
Il 23 agosto circa 10.000 persone affollano l’Howard J Lamade Stadium di Williamsport, teatro del torneo e, nello specifico, della sfida decisiva per il titolo. Che si preannuncia a senso unico: i californiani sono atletici e abituati ad allenarsi in strutture professionali, a differenza dei messicani. Il giovane chiamato a firmare l’impresa, come detto, è Ángel Macías, nato mancino ma ormai divenuto ambidestro grazie alla costante abnegazione mostrata nelle sessioni di allenamento in patria, alimentate da quella passione che ha spinto dodici ragazzi in terra straniera per tentare un miracolo sportivo.
Quel giorno, tuttavia, Macías sceglie di lanciare solo con il braccio destro. Lanciare con la mano apparentemente più debole avrebbe favorito la sua piena concentrazione in ciascuno dei propri lanci, consentendogli di esercitare un maggior controllo mentale su sé stesso e sugli avversari, che probabilmente si sarebbero aspettati qualcosa di diverso. La scelta si rivela più che azzeccata, perché il piccolo Ángel domina l’incontro, realizzando la partita perfetta: in sostanza, nei sei inning previsti per i match di Little League World Series, affronta diciotto battitori e nessuno di loro raggiunge la base, undici dei quali eliminati al piatto. I lanci di Macías sono impeccabili, l’incontro si chiude senza hit né basi su ball, mentre gli avversari vengono totalmente neutralizzati: nessun battitore tocca il campo esterno, ogni contatto resta confinato all’infield, nel quale i difensori di Monterrey dominano. Solo il primo battitore sfiora il foul, poi il nulla.
Dal monte di lancio partono palle curve e veloci, oltre a drop ball: una varietà sorprendente per un ragazzo di dodici anni. I battitori di La Mesa non vedono la direzione della palla fino a quando è troppo tardi. Il culmine arriva nel sesto inning: Macías colleziona due out, quindi il suo avversario, Byron Haggard, affronta tre ball. L’ultimo lancio è quello che decide tutto: una palla curva millimetrica, che elude lo swing del giocatore di La Mesa e scatena il boato sugli spalti. Il punteggio dice 4‑0, firmato da un grand slam (un home run con tutte le basi occupate) di Enrique Suárez durante il quarto inning. Un successo costruito con disciplina e intelligenza tattica, come dimostra la scelta di Macías di utilizzare il destro per concentrare il gesto in un solo braccio. È un epilogo altrettanto storico: Ángel resta l’unico pitcher ad aver realizzato una partita perfetta in finale e Monterrey diventa il primo team internazionale a vincere la LLWS: i Pequeños Gigantes hanno scritto la storia.
📜 | Un Día Como Hoy pero de 1957 un grupo de niños regiomontanos se convirtieron en leyenda, al convertirse en el primer equipo no estadounidense en conquistar #Williamsport.
📌 El equipo mexicano consiguió el título 🏆 gracias al juego perfecto lanzado por Ángel Macías ⭐️⚾️ pic.twitter.com/09yyyxEajg
— Sultanes de Monterrey (@SultanesOficial) August 23, 2022
La LLWS e Ángel Macías dopo il 1957
Dopo il miracolo arriva la gloria: i Monterrey Industriales vengono accolti in Messico con una celebrazione degna di un capo di Stato, tra parate e tributi pubblici. Il governo istituisce borse di studio ai ragazzi: Macías e un compagno proseguiranno gli studi universitari, gli altri troveranno occupazione nel lavoro o nell’industria. E i dodici giovani eroi diventano presto dei pionieri, segnando l’inizio dell’internazionalizzazione della LLWS: da allora diverse squadre da Asia, Europa, America Latina e Caraibi hanno preso parte e vinto la competizione, trasformando il torneo in un vero palcoscenico mondiale, in linea con l’ambizione del suo nome.
Macías viene ingaggiato dai Los Angeles Angels ma non riuscirà mai a esordire in Major League: rimane nelle squadre delle Minors collegate alla franchigia losangelina, quindi torna in patria nel 1963. E il movimento del baseball in Messico continua a crescere: nel 1958 un’altra formazione del Nuevo León vince ancora la LLWS contro Kankakee, Illinois, quindi due nuovi successi nel 1997 e 2017, ancora di squadre provenienti dalla regione di Monterrey, proseguendo un’eredità nata nel 1957. E che nel tempo raggiunge anche il grande schermo: nel 2009 esce il film The Perfect Game, che racconta la squadra, le tensioni culturali, l’umanità di coach Faz e Padre Esteban e il momento culmine di quella partita perfetta. Una pellicola capace di far conoscere questa storia oltre i confini del Messico, in cui nel 1960 era stato già distribuito Los Pequeños Gigantes, un film-documentario con i giocatori originali come protagonisti.
Ángel Macías Barba prosegue la propria carriera nei campionati professionistici messicani: gioca con i Broncos de Reynosa, i Puerto Mexico Portenos, gli Hermosillo Naranjeros, con cui partecipa alla Serie del Caribe del 1971 e i Monterrey Sultanes (di fatto eredi diretti degli Industriales). Negli anni successivi si dedica al potenziamento delle Little League in Messico, come volontario e direttore dell’Accademia messicana. Nel 2017 è stato inserito nella Little League Hall of Excellence, un riconoscimento raro per un giocatore latinoamericano: nella stessa occasione riceve il medesimo riconoscimento anche José Maiz García, compagno di Macías nei Monterrey Industriales del 1957 e successivamente divenuto deputato del Nuevo León.
Dopo essere stato affetto da Alzheimer per anni, il 27 luglio 2025 proprio la Little League ne ha annunciato la scomparsa a 81 anni, definendolo il solo lanciatore ad aver concluso una finale della lega con una partita perfetta e celebrandone la carriera di atleta oltre all’impegno nella diffusione del baseball giovanile. Ma soprattutto onorando un ragazzino e il suo sogno che, sebbene non sia bastato per esordire nella massima lega americana, gli ha permesso di guadagnarsi l’immortalità sportiva.
Ángel Macías introdotto nella Hall of Excellence della Little League