Gli infortuni di Sinner e il rapporto complicato con il proprio corpo

Gli infortuni di Sinner lo stanno influenzando molto di più di rispetto ai suoi avversari.

Gli infortuni di Sinner sono da tempo motivo di discussione. Nel 2024, all’indomani della rinuncia a disputare il torneo di tennis delle Olimpiadi di Parigi a causa degli strascichi di una tonsillite, Massimo Gramellini scriveva in un editoriale per il Corriere della Sera un’aspra invettiva nei confronti del tennista italiano. Secondo il giornalista, Jannik avrebbe dovuto rappresentare l’Italia nonostante il malanno, sfruttando il fatto di poter giocare contro un avversario abbordabile al primo turno e cercando di recuperare nel corso del torneo. O magari avrebbe potuto giocare solo il torneo di doppio, meno faticoso di quello in singolo. Al di là di alcuni passaggi fortemente retorici dell’articolo (come “Nel Grande Slam della vita, si diventa grandi «nonostante». Le imprese che ricordiamo con più piacere sono quelle che abbiamo compiuto quando la logica ci suggeriva di rinunciarvi”), Gramellini proponeva una chiave di lettura particolare:

Ognuno, qui al bar sport, ha la sua teoria. La mia è che Sinner, come tutti i talenti più costruiti che naturali, pensi di funzionare solo quando la macchina del suo corpo risponde alla perfezione. La minima crepa basta a fargli perdere certezze e a indurlo alla resa.

Forse, mettendo da parte le opinabili parole sul talento di Sinner, il giornalista non ci era andato troppo lontano, come le vicende degli ultimi mesi hanno raccontato, soprattutto tra Wimbledon e Cincinnati. In quest’ultima occasione, in particolare, Sinner si è ritirato dopo soli 23 minuti di gioco, sul punteggio di 5-0 a favore di Carlos Alcaraz nel primo set. Per l’azzurro si è trattato del sesto forfait in carriera a partita in corso, ma di certo il più doloroso da affrontare vista l’importanza del torneo e la forma dimostrata fino a quel punto.

Gli infortuni di Sinner e la gestione mentale

Sinner era entrato in campo concentrato come al solito, ma fin dai primissimi scambi si è avuta l’impressione che non si trattasse della migliore versione del numero uno al mondo, poco reattivo negli spostamenti laterali e impreciso nei colpi. Dopo la finale, Alcaraz ha ammesso di aver capito che qualcosa non andasse solo alla fine del terzo game, dopo aver conquistato il secondo break di fila.

Dopo aver confermato il proprio abbandono al giudice di sedia, uno sconsolato Sinner ha riferito solo di sentirsi male e di non riuscire a muoversi. Ha aggiunto poi di essere stato poco bene già il giorno precedente e di essere peggiorato nel corso della notte, ma di aver voluto giocare per rispetto nei confronti dei fan arrivati fino a lì. L’impressione era però che Sinner fosse entrato in campo già rassegnato, senza la minima speranza di potercela fare. Questo senza voler negare che un problema ci fosse effettivamente stato, né che la sua gravità fosse importante.

Già due giorni prima, nel corso della semifinale contro il francese Térence Atmane, Sinner aveva infatti accusato una qualche complicazione nel corso del secondo set, legata a evidenti difficoltà respiratorie. Nulla di strano, in apparenza, visto il grande caldo che ha afflitto il torneo di Cincinnati per quasi tutta la sua durata, con atleti colpiti da mancamenti nel corso delle partite e un alto numero di ritiri (ben otto, contando anche quello di Sinner in finale).

Secondo quanto riferito dall’allenatore Darren Cahill dopo la fine del torneo, si è trattato di un virus non meglio specificato. Come suo solito, il tennista azzurro ha preferito il riserbo sulla situazione, affermando di avere bisogno solo di due o tre giorni di riposo. Poche ore dopo però è già stato avvistato in giro per New York ‒ dove si trova in vista degli U.S. Open ‒ e giovedì ha ricominciato ad allenarsi, quindi tutto sembrerebbe essere sotto controllo.

Il ruolo fondamentale di Vagnozzi e Cahill

In semifinale era stato il suo allenatore Simone Vagnozzi a tenerlo mentalmente in partita, impartendogli una strategia precisa: impegnarsi in risposta solo per i primi due punti del game e poi valutare l’andamento, altrimenti avrebbe dovuto rifiatare per conservare un po’ di energie per il successivo turno in battuta. Alla fine è andato tutto bene per  il numero uno al mondo, che ha chiuso il match abbastanza in fretta, sfruttando anche l’inesperienza dell’avversario in match di tale livello.

Più in generale, però, sembra che Sinner vada in crisi mentale quando si tratta di gestire infortuni e malanni, anche solo temporanei, come se fossero un qualcosa che inceppa l’ingranaggio perfetto del suo gioco, basato essenzialmente su forza e precisione negli scambi. In apparenza, insomma, gli mancherebbe quella resilienza che ha invece caratterizzato altri grandi tennisti del recente passato come Rafael Nadal, Novak Djokovic o Andy Murray.

È più facile infatti vedere Sinner reagire alle difficoltà tattiche e tecniche che non a un problema del suo corpo. In quel caso, il tennista tende a scivolare gradualmente verso la rassegnazione, che solo Vagnozzi e Cahill riescono talvolta a frenare. In passato, per esempio, è stato visto proprio il coach australiano alzarsi a urlare “dai, fatti forza e vai avanti”, probabilmente conscio delle peculiarità caratteriali del suo assistito. Ovviamente sarebbe sbagliato parlare di ipocondria, ma forse non ci andremmo nemmeno troppo lontani.

Wimbledon e la botta al gomito

Un ulteriore allarme da questo punto di vista lo si era avvertito negli ottavi di finale di Wimbledon, superati da Sinner solo in seguito al ritiro dell’avversario, il bulgaro Grigor Dimitrov, quando si trovava sotto di due set. A condizionare la partita era stata una scivolata nel corso del primo gioco, che gli aveva procurato un problema al gomito destro. Secondo quanto riferito in seguito da Cahill, con quella botta i colpi di dritto di Sinner avevano perso 10 km/h di velocità, ma l’impressione era che fosse più la paura dell’infortunio a condizionarlo, piuttosto che l’infortunio in sé, come avevamo già analizzato a caldo.

Dopo una giornata di completo riposo e una risonanza magnetica il cui esito non è mai stato reso noto, ma che ha di certo escluso problemi gravi, Sinner si è ripresentato regolarmente in campo in vista dei quarti di finale, fino alla storica vittoria del torneo di qualche giorno dopo.

Per proteggere l’articolazione, Sinner ha indossato un manicotto elastico bianco in tutti i turni successivi e anche a Cincinnati. Non come portafortuna dopo la vittoria sull’erba londinese, ma perché gli offrirebbe una sensazione di maggiore stabilità e comfort durante l’impatto con la palla, come da lui stesso affermato:

Mi sembra che l’impatto con la pallina sia leggermente diverso, quasi migliore da quando lo uso. Non indosso nulla soltanto per motivi estetici o per moda. Lo faccio perché mi fa sentire a mio agio e ritengo che sia utile. Ho provato anche un manicotto nero, ma con quello bianco non ho problemi nonostante il grande caldo.

L’infortunio di Sinner al gomito a Wimbledon e l’intervento medico

Il rapporto di Sinner con il proprio corpo

Più in generale, Sinner non si fa mai problemi a prendersi periodi di pausa più o meno lunghi quando sente che il suo organismo ne ha bisogno, anche a discapito di eventi importanti. Una strategia in controtendenza con un calendario sempre più fitto di eventi, al quale un po’ tutti i tennisti fanno fatica a stare dietro. Non senza qualche polemica, come nel caso dei Masters 1000 diluiti su dodici giorni, con una formula invisa a giocatori e pubblico, ma apprezzata dai vertici di ATP e WTA.

In passato, l’azzurro ha anche rinunciato ad appuntamenti di grande rilievo per preservare il proprio organismo da piccoli e grandi infortuni, come nel 2024 in occasione delle Olimpiadi francesi, ma anche degli Internazionali d’Italia di Roma di qualche settimana prima, ai quali diede forfait in seguito a un problema all’anca, non senza un pizzico di delusione:

È una decisione difficile per me non giocare qui, ma devo prima di tutto prendermi cura del mio corpo.

Quello della manutenzione della propria “macchina” è del resto un tema che torna spesso nelle interviste e nelle conferenze stampa del campione di San Candido, un vero perfezionista in questo ambito, che vive con una certa apprensione. Alla vigilia di Roma aveva dichiarato:

La priorità è curare il corpo. Se non si può guarire al 100% mi fermerò, perché non voglio rovinare tre anni di carriera.

Nel 2022, quando era poco più di una giovane promessa e non aveva ancora vinto il suo primo torneo dello Slam, Sinner parlava inoltre dei malanni fisici come qualcosa di slegato dalla semplice casualità:

Niente succede per caso. Se prendi una storta è sfortuna, altrimenti no. Bisogna essere ancora più bravi nel prevenire certe cose. Forse avere tanti tipi diversi di infortuni è stata anche una fortuna, così vedo su cosa devo migliorare. Io sono pronto a essere ancora più professionale.

In linea con questa mentalità, a giugno Sinner ha operato un cambio nel proprio staff, licenziando il preparatore atletico Marco Panichi e il fisioterapista Ulises Badio, che erano stati ingaggiati solo da pochi mesi. Al posto del primo è di recente tornato Umberto Ferrara, che era stato a sua volta allontanato dopo la vicenda della positività al Clostebol dello scorso anno. “Umberto ha svolto un ruolo importante nella crescita di Jannik fino ad oggi e il suo ritorno riflette una rinnovata attenzione alla continuità e alle prestazioni ai massimi livelli” recitava il comunicato ufficiale che ne annunciava il reintegro, con in evidenza una parola chiave come “continuità”. Un punto sul quale è intervenuto anche lo stesso Sinner, ribadendo come avesse bisogno di qualcuno che conoscesse al meglio il suo fisico, a seguito dei due anni insieme passati a lavorare su mobilità, stabilità e resistenza.

Un ritorno al passato, anche se molto vicino, che dimostra ancora una volta quanto sia delicato e costantemente sotto la lente di ingrandimento il rapporto del numero uno del tennis mondiale con il proprio corpo. E che ci ricorda come anche Sinner, nonostante a volte possa sembrare un computer vivente, resti un ragazzo con fragilità e limiti che appartengono a ogni atleta.

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