La NBA alla resa dei conti: è tempo di play-in e playoff 2025

Playoff NBA 2025 - Puntero

I carri armati del tanking hanno spento i motori, la corsa agli ultimi posti per i playoff diretti nel selvaggio ovest si è interrotta e adesso resta solo una cosa sulla quale concentrarsi in NBA: la postseason 2025.

Alcuni accoppiamenti del tabellone che si dirama intorno al Larry O’Brien Trophy sono già definiti, mentre sono otto le squadre che dovranno lottare fino all’ultimo sangue per sopravvivere al play-in Tournament: Orlando Magic contro Atlanta Hawks e Chicago Bulls contro Miami Heat nella Eastern Conference; Golden State Warriors contro Memphis Grizzlies e Sacramento Kings contro Dallas Mavericks nella Western. Per i meno familiari con la struttura del torneino di qualificazione ai playoff, è piuttosto semplice. In ciascuna Conference si procede con gare secche, così:

  • settima contro ottava: chi vince va ai Playoffs come settima, chi perde va allo spareggio finale
  • nona contro decima: chi vince va allo spareggio finale, chi perde è eliminato
  • spareggio finale: la perdente tra settima/ottava e la vincente tra nona/decima si affrontano, chi vince si qualifica ai Playoffs con l’ultimo posto disponibile

Per tutte le altre squadre, dunque quelle arrivate tra la prima e la sesta posizione, il quadro è già delineato:

Western Conference

La sconfitta patita dai Golden State Warriors all’ultima giornata in casa per mano dei Los Angeles Clippers ha condannato i Dubs a giocarsi l’accesso ai Playoffs come settima testa di serie. Una situazione che chiunque, a San Francisco, voleva evitare, per molteplici ragioni.

In primis, perché una gara secca non offre mai garanzie e gli Warriors lo sanno bene. Sono stati eliminati dal play-in sia nella scorsa stagione, uscendo subito come decima classificata contro i Kings, sia nel 2021, con due sconfitte consecutive, prima contro i Lakers, poi contro gli stessi Grizzlies. Il record di Golden State nella competizione è dunque negativo: 0-3.

In secondo luogo, perché qualche giorno in più di riposo mentale e fisico – con i playoff alle porte – avrebbero fatto benissimo. E infine, soprattutto, perché un’eventuale sconfitta significherebbe giocarsi l’accesso ai playoff solo per trovarsi al primo turno contro i Thunder, vera schiacciasassi della regular season 2025 e reduce da una stagione storica, con 68 vittorie e con uno scarto complessivo di +1.055 punti, il più alto mai registrato. Insomma, non che i Rockets al secondo posto non facciano paura, ma si tratta di una squadra composta per grossa parte da esordienti ai playoff.

Due elementi che valgono anche per Memphis, nel bel mezzo di un tracollo sorprendente. Dopo la trade deadline, il record recita 13 vittorie e 18 sconfitte e i Grizzlies hanno chiuso la stagione con soltanto 5 successi nelle ultime 14 partite. Ma al di là di questo, a sconvolgere totalmente l’ambiente è stato il licenziamento inatteso di coach Taylor Jenkins, arrivato quando la squadra aveva un record di 44-29, valido per il quarto posto a ovest. Una vicenda dai retroscena degni di un giallo, secondo quanto emerso su ESPN, che rivelano come la frattura fosse già in atto con la società, ancor prima che con i giocatori.

Assieme a Jenkins, è stato allontanato anche Noah LaRoche, architetto del nuovo attacco proposto dai Grizzlies in questa stagione, quasi del tutto privo di consegnati e blocchi sulla palla, sostituito da un maestro del pick&roll, Tuomas Iisalo, nuovo head coach ad interim. Il tutto, nella speranza di favorire Ja Morant, per il quale il pick&roll da portatore rappresentava quasi il 50% del suo coinvolgimento offensivo. Sotto la gestione LaRoche è sceso al 26%, e non a caso la sua produzione è la più bassa dall’anno da sophomore, così come la sua efficienza – 56,3% di true shooting, sotto la media della Lega.

Già da marzo, quando Jenkins ha cominciato a fiutare guai, si sono riprese le azioni classiche per Morant, che nelle ultime 13 è tornato a girare a 29,8 punti di media con il 60,3% di true shooting, ampliando anche il proprio “armamentario” di esultanze.

Le chiavi della sfida consisteranno nella capacità di Golden State di limitare le incursioni al ferro dello stesso Morant, rivelatesi un problema per esempio nelle semifinali del 2022, fino all’infortunio della stella dei Grizzlies in Gara 3 – serie nella quale stava girando a 38,3 punti di media, tirando con il 50,6% dal campo e il 43,3% da fuori.

Sul fronte opposto, vista l’assenza del lungo di riserva Brandon Clarke per infortunio, i Grizzlies avranno meno opzioni per schierare quintetti versatili capaci di arginare le classiche azioni off-ball per liberare Stephen Curry. Un lungo solido ma poco mobile, come Zach Edey, sembra il prototipo di giocatore che gli Warriors puntano a tirare fuori dalla serie, cercandolo costantemente. E se, a quel punto, i Grizzlies andranno troppo “small” con Jaren Jackson Jr. da lungo primario, si libereranno maggiori opportunità a rimbalzo per Golden State, oltre alla nuova arma: i mismatch creati per Jimmy Butler.

Quest’ultimo ama bullizzare le ali più leggere fra gli avversari, prendendosi il suo tempo e facendo uscire la palla coi tempi giusti su eventuali raddoppi, rendendo l’attacco degli Warriors un rebus per le difese. Per comprendere quanto Golden State ami sfruttare le ricezioni nel pitturato e i mismatch per Butler, basti sapere che l’ex Miami Heat ha segnato il 37,4% dei suoi punti con la nuova canotta tirando dalla lunetta, in una squadra che era terzultima per tiri liberi tentati fino alla trade deadline.

In sostanza, per quanto questa sia la sfida più interessante in assoluto del Play-In Tournament, sembra abbastanza indirizzata verso i Golden State Warriors, al completo, mentre i Grizzlies devono fare a meno anche di Jaylen Wells e fanno i conti con tensioni interne. La perdente, in ogni caso, avrà buone chances di passare al turno successivo.

Difficile anche solo cominciare a parlare dei Dallas Mavericks in ottica postseason 2025, dal momento che senza Kyrie Irving non rappresentano un attacco credibile in ottica playoff. Anthony Davis è un ottimo “play finisher”, cioè un realizzatore abile a chiudere il possesso una volta innescato, ma non sa crearsi il tiro con costanza dal palleggio o generare vantaggio per i compagni, il che significa che potrebbe essere autore di prestazioni realizzative importanti, ma inefficienti. Ciò su cui i texani punteranno è la difesa, specialmente dopo il recupero di Dereck Lively e Daniel Gafford, che completano un reparto lunghi tra più profondi della Lega, già di per sé circondato da ali mobili ed enormi.

I Sacramento Kings, invece, arrivano come la squadra sulla carta più “debole” delle quattro della sponda occidentale del play-in Tournament. La cessione di De’Aaron Fox e il cambio di un coach così polarizzante come Mike Brown hanno reso ancora più incerta una stagione già nata sotto il segno della mediocrità. Senza Malik Monk, fuori per infortunio, il carico offensivo aumenterà per Zach LaVine, che sta viaggiando a 22,4 punti di media con un impressionante 44,6% su 7,2 triple tentate a partita dall’arrivo a Sacramento.

Quanto al matchup, lo scontro sotto i tabelloni fra Domantas Sabonis e Anthony Davis sarà tutto da seguire, anche se il lituano – miglior rimbalzista, soprattutto offensivo, della Lega – potrebbe trovarsi a fare più fatica del solito contro i quintetti giganti dei Mavs. Questi ultimi sembrano avere anche il personale necessario in difesa per impensierire grandi shot maker come LaVine o DeRozan, perciò tanto dipenderà dalla capacità dei Kings di segnare, o meno, in situazioni estemporanee o di gioco rotto, e dai punti che Dallas saprà ricavare dagli eventuali stop difensivi.

Una piccola curiosità, che potrebbe essere un fattore, riguarda l’esperienza di Sacramento: la squadra ha già partecipato al torneo di qualificazione ai playoff lo scorso anno, ma anche LaVine e DeRozan sono stati spesso coinvolti nel play-in durante il loro periodo ai Bulls. E soprattutto i Kings hanno il vero re del play-in Tournament, Jonas Valanciunas:

Con queste premesse, sembra che Golden State sia la più quotata a uscire come settima, giocandosela contro i Rockets, mentre l’ottavo posto rimane il più incerto – anche se ci sono pochi dubbi sul fatto che, chi ne uscirà, sarà la vittima sacrificale di OKC.

Passando, invece, a chi il play-in lo ha evitato alla grande, i Los Angeles Clippers hanno buone chances di giocarsela contro i Denver Nuggets. Questi ultimi, in maniera simile a Memphis, sono stati scossi da un terremoto interno che ha portato all’allontanamento del GM Calvin Booth e di Michael Malone, il coach più vincente della storia della franchigia, e figura chiave nello sviluppo e nella crescita di Nikola Jokić. Con queste premesse, dovranno prepararsi a un primo turno che potrebbe trasformarsi rapidamente in un incubo.

I Clippers possono contare su uno dei migliori difensori che la Lega abbia da offrire per limitare Nikola Jokić, e cioè Ivica Zubac, reduce da una stagione da candidato al premio di Defensive Player of the Year. Con lui in campo i Clippers subiscono 6,9 punti in meno per 100 possessi rispetto a quando è fuori, segnandone allo stesso tempo 7,6 in più: il suo impatto on/off è quindi di +14,5 punti su 100 possessi, il secondo miglior dato della Lega – dietro, guarda un po’, al solo Jokić (fra i giocatori con almeno 1.500 minuti in stagione).

Il lungo di L.A. è abilissimo sia nel contestare le conclusioni avversarie al ferro, sia nel contenere i pari ruolo dominanti in post basso come il tre volte MVP dei Nuggets, affrontando anche le incursioni fronte a canestro con eccellente mobilità. Quando riuscirà a ricevere in post, per Jokić sarà dura segnare, ma non dovrebbe essere questo a preoccupare Denver.

I Nuggets sono ultimissimi nella Lega per frequenza di tiro da tre punti, solo il 32,1% dei tiri tentati dai Nuggets arriva da oltre l’arco. La partenza di un tiratore di movimento come Caldwell-Pope e l’arrivo di un non-tiratore con minuti importanti come Russell Westbrook hanno ridotto ulteriormente lo spazio attorno a Jokić, rendendo gli avversari più inclini a strategie difensive di collasso estremo nel tentativo di contenerlo, scommettendo sui suoi compagni. Questo è esattamente ciò che i Clippers possono fare, essendo dotati sia di un difensore primario di alto livello da mettergli addosso, sia di ali eccellenti in aiuto come Kawhi Leonard o Derrick Jones Jr.

In parole povere, per il serbo sarà complicato anche solo ricevere il pallone nella metà campo offensiva, mentre nell’altra sarà costantemente cercato nei pick&roll con James Harden da portatore e Zubac da rollante, oppure inserito il più possibile nei mismatch con Kawhi Leonard, reduce da un finale di stagione sontuoso: 26,5 punti di media convertendo il 49,4% delle sue triple e il 57,5% dei tentativi da due punti nelle ultime 15 gare, con 2,1 palle rubate nella metà campo difensiva. Come anticipato, un potenziale incubo per Denver.

Denver che l’anno scorso è stata eliminata dai Minnesota Timberwolves, reduci da un ottimo finale di stagione da 17 vittorie e sole 4 sconfitte nei mesi di marzo e aprile. Anthony Edwards ha chiuso la stagione come miglior tiratore per triple segnate nella Lega, arrivando a quota 520 triple realizzate con un mix assurdo di volume ed efficienza – 39,5% su 10,3 triple tentate di media, senza girarci intorno sono numeri da Steph prime. In questo modo, Ant è diventato il primo a non chiamarsi Stephen Curry, Klay Thompson o James Harden a condurre la Lega per triple segnate nelle ultime 13 stagioni. Di fronte, però, l’avversario sarà diverso da quelli affrontati di recente. I Timberwolves hanno avuto un calendario particolarmente favorevole nella seconda metà di stagione, ma in questo primo turno si troveranno davanti un vero e proprio enigma chiamato Los Angeles Lakers. O forse Luka Dončić, se preferite.

Lo scorso anno, coach Chris Finch e il suo staff gli hanno tirato addosso qualunque cosa, e nulla ha funzionato. Difensori elitari come McDaniels e Alexander-Walker sono stati spazzati via, Gobert e Towns sono stati regolarmente puniti sui cambi, lo stesso Edwards ha evitato costantemente l’accoppiamento. Se si aggiunge il fatto che di fianco a lui ci sarà un altro creator mostruoso come LeBron James, non si parla di un enigma ma di veri e propri Millennium Problems.

Dončić nella metà campo difensiva può nascondersi marcando McDaniels e, considerando le scarsissime spaziature dei Timberwolves, i Lakers possono collassare interamente su Edwards – non a caso, il più raddoppiato in stagione. Anche con il 40% da tre nell’ultimo mese e mezzo, il contributo di Julius Randle allo spacing resta nullo e, a meno che non segni triple con il 60% e giri a 30 punti di media, la difesa non gli darà mai credito. La differenza, casomai, la faranno i minuti di giocatori capaci di alzare il ritmo e più dinamici come Naz Reid e Donte DiVincenzo, unico tiratore di movimento che può creare scompiglio nella difesa dei Lakers in eventuali quintetti con Edwards.

E questo porta a un punto importante, che potrebbe essere il minutaggio ridotto di Mike Conley nella serie. Per quanto il suo playmaking sia fondamentale, non ha la pericolosità off-ball né la capacità di muovere la difesa come DiVincenzo e la sua taglia ridotta lo rende un bersaglio facile per Dončić e gli altri gialloviola, tutti enormi. Per questa ragione, coach Finch potrebbe pensare di pareggiare i suoi minuti con quelli di Austin Reaves, o qualcosa di simile, per aumentare la taglia media del quintetto con Alexander-Walker o, appunto, DiVincenzo.

L’impressione comunque è che se i Lakers giocheranno set a metà campo per innescare LeBron in movimento, cercando Randle e tirando il più possibile fuori Gobert, la serie sia indirizzata ampiamente verso i losangelini. Uno dei problemi di Minnesota contro Dončić ai passati playoff consisteva nelle dormite di Towns in aiuto e a palla lontana, questione tutt’altro che risolta con l’arrivo di Randle – forse ancora peggio sotto questo aspetto. La mancanza di una seconda opzione perimetrale credibile renderà inoltre complesso il compito di Edwards, chiamato a fare gli straordinari in termini realizzativi.

Eastern Conference

Dilungarsi sulla Western Conference era doveroso, considerando che a Est, a differenza dell’Ovest, è tutto molto più delineato. Gli Orlando Magic, a causa degli infortuni prima di Paolo Banchero, poi di Franz Wagner, si sono ritrovati a dover giocare un play-in molto scomodo, pur avendo chiuso al primo posto una Southeast Division in cui nessun’altra squadra ha finito con un record positivo.

Dopo aver recuperato le sue due stelle, la squadra dovrebbe cavarsela contro gli Hawks, nonostante le assenze di due importanti pezzi di rotazione come Mo Wagner e Jalen Suggs. Atlanta dipende da Trae Young, che ha chiuso la stagione come miglior assistman della Lega a quota 11,6 a partita – 23esimo miglior dato della storia NBA, davanti a Chris Paul 2007-08 – ma che non sembra avere il supporting cast necessario per mettere davvero in difficoltà quella che è stata la seconda miglior difesa NBA in regular season o comunque per una lunga corsa nei playoff 2025. Con un Jalen Johnson e un Clint Capela in più, forse, se ne riparlerà.

In ogni caso, e questo discorso si estende anche a Miami Heat e Chicago Bulls, qualunque squadra uscirà dal play-in della Eastern Conference si prospetta condannata a essere maciullata da Boston Celtics e Cleveland Cavaliers, le due principali contender per un posto alle NBA Finals. Le sole squadre in grado di impensierirle, sulla carta, dovevano essere New York Knicks e Milwaukee Bucks, ma per motivi diversi, né l’una né l’altra sembrano pronte per sfidarle davvero.

I Knicks avranno subito un primo turno subito impegnativo contro i protagonisti della più bella storia di questa stagione, i Detroit Pistons. Questi ultimi hanno portato a casa ben 30 vittorie in più rispetto alla scorsa stagione, il sesto più grande miglioramento per una squadra nella storia NBA passando da un anno all’altro. Guidati da Cade Cunningham – unico vero giocatore di calibro All-NBA della squadra, autore di una stagione da 26 punti e 9 assist di media – hanno fondato la propria identità su un approccio difensivo molto aggressivo, “brutto e cattivo”, in linea con lo spirito di Motor City e dei Bad Boys Pistons, come gli stessi giocatori amano sottolineare:

Una gruppo di cagnacci fastidiosi, come Isaiah Stewart, Ron Holland o Ausar Thompson, fa da cornice a un sistema eliocentrico con Cade Cunningham da unica stella nell’altra metà campo. Attorno, lunghi atletici che sappiano bloccare e rollare, catturando i lob come Jalen Duren; e soprattutto tanti tiratori, su tutti Malik Beasley, arrivato sotto Edwards per una sola tripla nella classifica di fine stagione (mettendo su un teatrino su X molto divertente con l’ex compagno di Minnesota).

New York, però, sembra avere un surplus di talento difficile da compensare, soprattutto nel quintetto titolare. La serie stagionale recita 3-1 per i Pistons, ma in due delle tre sconfitte i Knicks erano a mezzo servizio e nell’altra mancava ancora Mitchell Robinson. La squadra di coach Thibodeau ha passeggiato nella seconda metà di stagione, facendo intravedere una pallacanestro a tratti tanto – troppo – stagnante nella metà campo offensiva, al di là delle 15 partite senza Jalen Brunson. Quest’ultimo sarà molto più aggressivo ai playoff e, per quanto Detroit abbia difensori da alternargli addosso, la sua abilità nel decelerare e costruirsi il tiro nello stretto saranno un incubo da difendere per i giovani e inesperti Pistons. Senza dimenticare che anche Karl-Anthony Towns, nonostante la sua nota discontinuità, è un giocatore All-NBA che garantisce un certo tipo di prestazioni e soluzioni contro difese simili.

I problemi arriveranno – e sono arrivati fin qui in stagione – ricorrendo troppo spesso a isolamenti sterili senza costruire nulla. In assenza di Brunson, si è visto il potenziale del coinvolgimento di OG Anunoby, mentre Mikal Bridges ha sempre un po’ faticato, mantenendo comunque discreta efficienza. Il segreto è innescare i tagli di questi due facendo giocare KAT fuori dall’area per tirare via i lunghi dal ferro come a inizio stagione – quando i Knicks erano il migliore attacco della Lega – aprendo spazi per le ricezioni in area delle ali, oppure creando voragini nel pitturato per le incursioni palla in mano di Brunson.

Almeno contro i Pistons, questo dovrebbe comunque essere sufficiente, ma la squadra ha dimostrato enormi limiti contro i top team (Thunder, Rockets, Celtics e Cavaliers): 1 vittoria e 11 sconfitte il saldo totale, 0-7 contro le due rivali di Conference, e sono stati quasi tutte sconfitte nette. La scarsa flessibilità di Thibs sembra un po’ troppo antiquata per una squadra potenzialmente modernissima, che però resta ancorata a principi vetusti in attacco e si occupa quasi esclusivamente del pitturato in difesa, con coperture profondissime: un azzardo contro specialisti in pull-up (tiro dal palleggio) quali Celtics e Cavs. Ecco perché in molti si aspettano un cambio in panchina, in ogni caso, a fine stagione. E nel frattempo l’umore non sembra proprio al massimo.

Come non è alle stelle quello dei Milwaukee Bucks, che si ritrovano senza Damian Lillard a causa di un coagulo di sangue al polpaccio destro. A fare gli straordinari dovrà essere il solito Giannis Antetokounmpo, alla terza stagione di fila da 30+ punti di media (nel 2021-22 si è fermato a 29,9), striscia che gli ha permesso di entrare in una cerchia esclusiva di grandi realizzatori storici. Soprattutto le ultime otto partite hanno fornito un’anticipazione di quello che (ri)vedremo da parte sua in assenza di Lillard, e cioè un ritorno al suo ruolo di creatore principale di gioco e di vantaggio per sé stesso e i compagni, con medie che recitano 31,5 punti, 11,3 rimbalzi e 10,4 assist, con una palla rubata e poco meno di una stoppata a partita. Resta solo da capire se sarà abbastanza, anche perché di là i Pacers sono lanciatissimi.

Indiana ha chiuso la stagione con 50 vittorie, frutto di 15 successi nelle ultime 19 partite. Come lo scorso anno, Tyrese Haliburton fa da catalizzatore con un’efficienza mostruosa – gira a 9,2 assist con solo 1,6 palle perse di media, uno dei migliori rapporti assist/palle perse in relazione al volume; al suo fianco Pascal Siakam è il solito finisher di altissimo livello, da 20 punti di media con il 60% di true shooting. E come lo scorso anno, la forza è nel ritmo, dimostrato dal settimo posto sia per pace che per frequenza di transizione offensiva, dalla quale Indiana produce 130,4 punti per 100 possessi, quarto miglior dato NBA.

I Pacers corrono soprattutto da palla rubata, sfruttando una serie di difensori molto attivi nello sporcare passaggi e mettere le mani sulle palle vaganti, quali Haliburton, Nembhard e Nesmith, senza dimenticare McConnell e Walker dalla panchina. Ed è proprio qui che si nasconde il vero segreto della squadra, l’incredibile profondità fra gli esterni, con una serie di giocatori pronti a entrare e ad essere subito impattanti.

I Bucks dovranno mantenere il ritmo soprattutto nella metà campo difensiva, senza aprirsi o concedere canestri facili per disattenzioni o transizioni da palla perse. Se limiteranno questi errori, allora forse la sola presenza (inarrestabile) di Antetokounmpo potrebbe portare a cose buone, dando potenzialmente vita a una serie lunga, combattuta. E magari anche un po’ frizzante, visti i numerosissimi trascorsi – tutt’altro che amichevoli – fra le due squadre, tra cui un Haliburton che si fa uscire un “Dame Time” in faccia a Lillard all’In-Season Tournament 2024, e l’inseguimento di Antetokounmpo negli spogliatoi. I presupposti per i fuochi d’artificio ci sono tutti.

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