Nella serata di venerdì 23 maggio 2025 è arrivato il verdetto più atteso della stagione: Napoli campione d’Italia. Un successo giunto al termine di un campionato estremamente combattuto e incerto, assegnato all’ultima giornata dopo due anni di domini pressoché incontrastati dei vincitori. Una serata di festa di un intero popolo, che si fonda sui grandi meriti dei partenopei ma anche su una lunga serie di rimpianti per le avversarie. E non solo per l’Inter.
Napoli campione d’Italia. Sfruttando la situazione, nonostante tutto
È innegabile che, alla vigilia, i partenopei non si presentassero esattamente tra le favoritissime. Il che, pur non essendo anomalo, suona abbastanza strano alla luce dello scudetto di due anni fa. Tutto ciò che è successo in mezzo – confusione societaria con la partenza di Giuntoli verso la Juventus, problemi in sede di mercato con alcuni big come Osimhen, annata disgraziata con tre allenatori e conclusa al decimo posto – ha portato a una generalizzata sottovalutazione di una squadra che, per buona parte, era la stessa che appena ventiquattro mesi fa aveva dominato senza appello la stagione.
Se la partenza di Spalletti, divino artefice del terzo sigillo azzurro, ha sicuramente tolto certezze, l’unico appiglio a inizio stagione pareva essere proprio la scelta del tecnico: Antonio Conte. La storia dell’allenatore leccese è piuttosto chiara: è un “allenatore da campionato”. Se nelle coppe il suo rendimento è stato piuttosto ondivago anche sulla panchina delle big – miglior risultato una finale di Europa League con l’Inter nel 2020 – lo stesso non si può dire dei campionati. Con il successo di ieri, su otto stagioni iniziate e concluse alla guida di una big, Conte ha portato a casa sei titoli, un secondo e un quinto posto. Quale scelta migliore, quindi, per una squadra che si affacciava all’inizio della stagione con il fardello di non disputare le coppe?
Conte ha sfruttato l’assenza di coppe europee e ha aggiunto il carico di un’eliminazione quasi “comandata” in Coppa Italia, ricevendo critiche dall’opinione pubblica circa una strategia suicida che avrebbe avuto senso solo portando a casa lo scudetto. A conti fatti, missione compiuta. Il Napoli si assicura il tricolore con merito – ha guidato la classifica in 20 giornate, ossia oltre la metà del campionato e più del doppio delle giornate passate in vetta dall’Inter, rivale principale – e anche sfruttando una stagione in cui, più che mai, il campionato ha assunto le sembianze di una “competizione delle circostanze”, una caratteristica che un tempo sembrava circoscritta alle coppe europee.
Lucrando sulla miglior difesa del campionato (27 gol subiti), la squadra di Conte ha trionfato con il punteggio più basso – al pari del Milan nel 2004 e nel 2011 e dell’Inter nel 2010 – fatto registrare in Serie A negli ultimi 22 anni. Una situazione che accende i rimpianti delle rivali. A maggior ragione considerando che, a differenza dello scudetto di due anni fa, considerato un capolavoro dirigenziale oltre che dello staff tecnico, stavolta i partenopei sembrano aver vinto nonostante le scelte societarie. Pur apparendo improprio parlare di miracolo a fronte di un calciomercato estivo da 150 milioni, la cessione di Kvaratskhelia a gennaio praticamente senza rimpiazzarlo – il prestito di Okafor, panchinaro del Milan che ha chiuso fuori dalle coppe, non è stata una sostituzione adeguata – evidenzia l’incredibile lavoro del tecnico, capace di tirare fuori il massimo da una rosa piuttosto corta e a tratti decimata dagli infortuni.
Il segreto di Pulcinella della festa è l’acquisto di Scott McTominay. Nonostante una immotivata sottovalutazione iniziale, pur a fronte di ottime stagioni in Inghilterra, l’impatto dello scozzese è stato dominante ben oltre le più rosee previsioni. Ha saputo dare sostanza alla mediana e qualità negli inserimenti, con un killer instinct impronosticabile per numero e peso dei gol: 12 centri in campionato, di cui otto che hanno sbloccato il risultato e un altro che ha dato il vantaggio ai partenopei, nel decisivo successo per 3-2 a Bergamo dopo l’iniziale vantaggio della Dea. L’ultimo sigillo, forse il più bello, è quello che ha sbloccato la festa al Maradona, una mezza rovesciata elegante e potente con cui ha inchiodato Sherri e il Cagliari prima del raddoppio firmato Romelu Lukaku.
Proprio il belga è stato un altro dei grandi protagonisti, riscattando le deludenti stagioni al Chelsea e all’Inter e quella alla Roma dove ha avuto un rendimento sufficiente ma forse al di sotto delle enormi attese del tifo giallorosso. 14 gol e 10 assist sono un bottino assolutamente rilevante, anche tenuto conto che accanto a lui, ad eccezione del già citato McTominay, non ci sono stati giocatori con le qualità giuste per segnare con regolarità. Oltre ad aver messo il timbro sul 40% dei gol stagionali degli azzurri, Lukaku ha avuto il merito di contraddire chi lo riteneva troppo molle nei big match: due gol al Milan e alla Fiorentina, uno a testa a Roma, Atalanta e Juventus e il gol nel match dell’ultimo turno mostrano una ritrovata serenità nell’incidere anche quando la temperatura si alza.
Il trionfo è arrivato nonostante un po’ di “braccino” mostrato dai ragazzi di Conte, che stavano per buttare tutto sul +3 a tre giornate dalla fine, pur a fronte di un calendario apparentemente molto favorevole. Ma dove finisce la paura del Napoli inizia il rimpianto delle rivali.
Scatta la festa: Napoli campione d’Italia per la quarta volta nella sua storia
L’Inter l’ha buttato via
Impossibile non partire dalla seconda classificata, nonché campione d’Italia in carica alla vigilia di questo torneo. I rimpianti maggiori riguardano l’Inter, che bissa il suicidio del 2022 e regala uno scudetto che sembrava alla portata. Non solo per l’organico a disposizione, il più forte della Serie A e sicuramente più profondo di quello del Napoli – benché sia un aspetto in parte mitizzato, stante la totale assenza di riserve credibili in alcuni ruoli, soprattutto in attacco. Ancorché a fronte di un mercato principalmente orientato sui parametri zero, il monte ingaggi nerazzurro è il chiaro indice di una squadra costruita per vincere in Italia e competere in Europa. Anche nei momenti peggiori, lo scudetto era sembrato alla portata.
A maggior ragione era parso una formalità dopo la ventinovesima giornata, quando i nerazzurri si portavano a +3 vincendo a Bergamo e sfruttando il clamoroso passo falso del Napoli a Venezia. Ma è mancato il colpo del KO, la freddezza necessaria per chiudere i conti. Si dice che lo scudetto si vince con le piccole ma l’Inter l’ha perso contro le big: tolto il doppio successo sull’Atalanta, il rendimento nerazzurro è stato decisamente insufficiente nei match di cartello. Due punti contro il Napoli, addirittura uno solo contro Juventus, Bologna e Milan, peraltro spesso buttandosi via nel finale. Pesano infinitamente i due gol di vantaggio dilapidati a San Siro contro la Juventus a 19’ dalla fine, nonché il pari subito da Billing a Napoli all’87’ e il gol-partita di Orsolini in pieno recupero a Bologna.
Senza dimenticare gli inciampi in casa contro le romane nel finale di stagione, la sconfitta contro la Roma e, soprattutto, il pari contro la Lazio. Un finale di stagione che evidenzia un problema forse non abbastanza dibattuto: in situazioni di distrazione da altre competizioni, meglio riserve motivate o titolari con la testa altrove? Pur precisando che buona parte del problema risiede in un calo di energie nel momento clou del campionato, l’Inter si è ritrovata in finale di Champions al termine di 210’ di battaglia contro il Barcellona rocamboleschi quasi quanto la volata scudetto. Archiviata la qualificazione e con un poco rassicurante -3 sul Napoli a fronte di un calendario peggiore, Inzaghi ha preservato i titolari tranne nel match contro la Lazio. Incredibilmente l’unico incontro non vinto e che, in caso di tre punti, avrebbe determinato il sorpasso in vetta.
Infatti, mentre il Napoli – reduce dall’inatteso pari interno con il Genoa già salvo – sbatteva sul pari a Parma, l’Inter andava due volte in vantaggio contro i biancocelesti, facendosi raggiungere in entrambi i casi, l’ultimo dei quali con un rigore concesso al 90’. Al netto delle polemiche arbitrali sollevate dalla società e della scusante Champions League, il rimpianto è inevitabile. A Monaco, nella finale contro il PSG, l’Inter è chiamata a chiudere col botto una stagione che sembrava potesse regalare un triplete e rischia di terminare con un nulla di fatto (Mondiale per Club permettendo).
What if… un campionato di occasioni perse
I meneghini non sono gli unici nerazzurri ad avere rimpianti. Prima dell’ultimo turno, l’Atalanta si affacciava alla volata finale già certa del terzo posto e della qualificazione ma con un -5 dalla vetta capace di lasciare l’amaro in bocca. Soprattutto considerando che dall’inizio del 2025 gli orobici hanno vinto appena due partite in casa sulle dieci disputate, lasciando punti preziosi e inattesi soprattutto contro Torino, Cagliari, Venezia e Lecce.
In particolare, i match contro Cagliari e Venezia sono arrivati nel periodo in cui l’Atalanta era attesa dal doppio confronto dei playoff di Champions League contro il Bruges, concluso con un’eliminazione senza appello – anch’essa contro pronostico – nonostante il turnover e l’atteggiamento visti in campionato, che parevano andare nella direzione di concentrarsi esclusivamente sulla massima competizione europea. Senza contare il periodo in cui il rapporto con Gasperini ha iniziato a vacillare, destabilizzando lo spogliatoio. A conti fatti, oggi avremmo potuto raccontare la favola del primo, clamoroso tricolore bergamasco. Una storia non scritta, nonostante due calciatori sul podio dei cannonieri di Serie A e una difesa all’altezza delle altre contendenti, Napoli escluso.
Ma non c’è solo l’Atalanta, tra le deluse del tricolore. 70, 72, 71: non sono numeri casuali, sono i punti portati a casa – penalizzazioni escluse – dalla Juventus nelle tre stagioni precedenti, sotto la guida di Allegri. Tre punteggi che, senza la sopra menzionata penalità, sono valsi la zona Champions League e che avrebbero potuto essere facilmente ritoccati al rialzo grazie anche al dispendioso mercato estivo programmato dalla proprietà. Che, tuttavia, aveva preventivato anche la totale cesura dei ponti con il tecnico livornese, affidandosi a un nuovo progetto nelle mani di Thiago Motta.
Progetto che non ha dato alcuno dei frutti sperati: l’italo-brasiliano è stato esonerato, la Juventus raggiungerà al massimo i 70 punti ottenuti nella peggior stagione del triennio allegriano e dovrà sudarsi la Champions League fino alla sera del 25 maggio. Né si può ignorare l’aspetto della valorizzazione dei singoli: Allegri era stato criticato per il rendimento di Chiesa (ceduto), Vlahović (nettamente calato) e per la gestione di alcuni giovani: Huijsen, ceduto a 18 milioni, è appena passato al Real Madrid per 60 mentre la Juventus fatica a trovare centrali affidabili, Cambiaso è vistosamente calato rispetto agli standard con Allegri, Soulé è stato ceduto e sta recitando una parte da protagonista nella Roma.
Roma che, con Ranieri, ha costruito una rimonta insperata, mettendo insieme la bellezza di 43 punti nel girone di ritorno prima dell’ultima giornata. Chissà cosa sarebbe accaduto se alla quarta giornata, anziché affidarsi a Jurić per un breve e fallimentare interregno, i giallorossi si fossero messi nelle mani del tecnico di Testaccio. Chiudiamo con il Milan: ha tenuto sempre testa all’Inter nei cinque derby stagionali, vinto la Supercoppa Italiana, è arrivato in finale di Coppa Italia, partiva con buoni auspici alla luce del valore dell’organico. Ma in campionato troppe cose non hanno funzionato. In estate poteva arrivare Conte in panchina, si è scelta una soluzione dettata dall’algoritmo anziché dall’esperienza, quella di Fonseca, poi esonerato in favore di Conceiçao. Pur con troppi punti di ritardo, anche a Milanello il retrogusto amaro del rimpianto è difficile da allontanare.
Chi succederà al Napoli? Il regno dell’incertezza
Chi salirà sul trono tra un anno? Troppo presto da dire, troppe variabili, ovviamente. Ma, alcune, possono spingere a una riflessione. In primo luogo, l’unica panchina che appare salda – manco troppo, viste le recenti voci di sirene arabe – è quella dell’Inter. Conte ha palesato malcontento prima della volata finale e il suo futuro coi campioni d’Italia è tutt’altro che sicuro, Gasperini ha iniziato l’ennesimo tira e molla con la dirigenza bergamasca e potrebbe lasciare dopo un regno quasi decennale, Juventus e Milan quasi certamente cambieranno allenatore, mentre la Roma è già alle prese con il dopo-Ranieri, in vista della sua meritata pensione.
Senza dimenticare il Mondiale per Club: da una parte, gli introiti che ne deriveranno potrebbero fornire un sostegno significativo sul mercato e per il FFP, dall’altra la competizione si concluderà quando le altre avversarie si saranno già radunate, determinando un ritardo nell’inizio della preparazione per la nuova stagione o un sovraccarico eccessivo nei confronti dei giocatori. Insomma, vige l’incertezza, tranne che per una cosa: ci attende un’altra grande stagione, ricca di sorprese e colpi di scena.