Il fair play finanziario spiegato bene

L’arrivo dei mesi autunnali segna la fase calda dei gironi di Champions League. Le classifiche dei campionati nazionali iniziano a delinearsi in modo più chiaro e definito. Tuttavia, le società calcistiche devono focalizzarsi non soltanto sul rettangolo verde, ma anche su attività altrettanto importanti che si svolgono negli uffici e dietro le scrivanie. È solitamente questo, infatti, il periodo in cui vengono predisposti i bilanci relativi alla stagione sportiva precedente. La maggior parte delle squadre di Serie A chiude i propri libri contabili al 30 giugno. A partire da questa data, ci sono quattro mesi di tempo per presentare i risultati annuali all’assemblea degli azionisti. Negli ultimi anni, in particolare dopo che la UEFA ha varato il Financial Fair Play, l’area economico-finanziaria ha assunto un ruolo fondamentale per ogni società di calcio professionistico. Gli obiettivi sportivi viaggiano di pari passo con quelli di bilancio e anzi ne sono fortemente influenzati. Sono ormai lontani gli anni in cui generose proprietà gestivano la quasi totalità dei club di serie A. I presidenti erano i primi tifosi delle proprie squadre e, in quanto tali, allargavano i cordoni della borsa – spesso e volentieri con poco raziocinio – tentando di costruire rose quanto più possibile competitive. Questo modus operandi non sempre portava a risultati sportivi di rilievo, ma certamente era causa di perdite di bilancio multimilionarie che venivano ripianate stagione dopo stagione.

La parola d’ordine di questi anni è, invece, diventata sostenibilità, cioè puntare a una situazione di equilibrio tra costi e ricavi in modo da rendere le società di calcio autosufficienti e non più dipendenti dalle iniezioni di denaro delle proprietà. Anche i tifosi si sono abituati a questo nuovo trend, diventando dei veri e propri esperti contabili: i commenti che si leggono sui social o si ascoltano al bar sono sempre più spesso incentrati sulla temuta plusvalenza da realizzare nella sessione di mercato alle porte, piuttosto che sul cambio sbagliato dell’allenatore o sul gol incredibilmente mancato dall’attaccante.

 

Michel Platini spiega i principi che hanno dato vita al il Financial Fair Play

Nascita ed evoluzione del Financial Fair Play

La prima versione di Financial Fair Play risale al 2009, per volere dell’allora presidente UEFA Michel Platini. In quell’anno venne infatti inserita una normativa per far sì che le società calcistiche europee puntassero all’autofinanziamento e alla riduzione dei debiti che tendevano a salire in modo preoccupante. Da un punto di vista di governance, si istituì un gruppo di esperti che avrebbe monitorato i risultati dei bilanci per un periodo di tre anni inserendo dei limiti nelle perdite cumulate. La prima versione, ad esempio, prevedeva una perdita complessiva di 45 milioni di Euro per il periodo 2011-2014.

Nonostante i buoni propositi iniziali e gli indubbi benefici che questo nuovo regolamento avrebbe potuto portare al sistema calcio, forti critiche sono state mosse al Fair Play Finanziario già dai primi anni dalla sua introduzione. L’operato di molte società sembrava non curarsi troppo delle nuove limitazioni. Come non ricordare le spese folli, tra le altre, di Paris Saint Germain e Manchester City che sono sempre riuscite a evitare sanzioni? I bilanci presentavano ricche sponsorizzazioni che altro non erano che elargizioni dirette da parte delle proprietà arabe.

 

Ammorbidire le regole non è bastato

Nel corso degli anni, il FFP ha subito numerose modifiche, sino ad arrivare alla versione redatta nel 2018. La UEFA ha stabilito di analizzare i bilanci su base quadriennale, continuando a basarsi sull’obiettivo del pareggio di bilancio. L’organismo del calcio europeo non ha potuto fare a meno di considerare in quella fase gli effetti del periodo Covid. La pandemia ha messo a dura prova i conti delle società calcistiche di tutto il continente. Basti pensare che per una stagione e mezza gli stadi europei sono rimasti sostanzialmente chiusi o con capacità ridotta. È difficile quantificare la perdita complessiva derivante dalla mancanza dei tifosi allo stadio, ma un riferimento può darlo Deloitte. Nel suo studio annuale “Football Money League 2020” la società di consulenza ha calcolato in un miliardo e mezzo di euro i ricavi da stadio delle prime 20 squadre europee per fatturato. Questi dati sono stati considerati nel corso della stagione 2018/19, quella precedente alla pandemia. La UEFA ha quindi concesso alcuni allentamenti alle normative vigenti, vista la situazione di oggettiva difficoltà e al fine di limitare l’impatto della pandemia.

Nonostante queste concessioni, l’organismo del calcio europeo ha continuato a svolgere le proprie analisi. Lo scorso anno otto squadre che avevano partecipato alle coppe europee nella stagione 2021/22 non hanno rispettato il requisito del pareggio finanziario nel quadriennio preso in esame. Tra queste, ben quattro sono società di Serie A: Inter, Roma, Milan e Juventus. La UEFA ha comminato delle sanzioni monetarie ai nostri club per un totale di 14,5 milioni di Euro. Il contributo finanziario è stato trattenuto dai premi derivanti dalla partecipazione alle coppe europee della stagione 2022/23. Un’altra quota, ben più sostanziosa, è stata prevista ma inizialmente sospesa. Si tratterebbe di ulteriori 30 milioni per la Roma, 22 milioni per l’Inter, 19,5 milioni per la Juventus e 13 milioni per il Milan. Questa multa diventerà effettiva solo nel caso in cui le società non dovessero rispettare gli accordi siglati. Tali norme sono definite nei settlement agreement, cioè accordi pluriennali che prevedono un piano di rientro dalla situazione di instabilità economica riscontrata.

Il Paris Saint-Germain ha subito la pena più severa. I campioni di Francia hanno dovuto versare una quota incondizionata iniziale di 10 milioni di euro. Non solo, il rischio è quello di dover effettuare un bonifico di ben 55 milioni nel caso in cui non riuscisse a rientrare nei paletti imposti dalla UEFA. Una cifra tutt’altro che irrisoria: basti pensare che sarebbe un ammontare di poco superiore a quello che i parigini hanno sborsato la scorsa estate per acquistare dal Barcellona il tanto talentuoso quanto incostante Ousmane Dembélé.

 

I settlement agreement e il nuovo FFP

I settlement agreement firmati lo scorso anno mirano ad accompagnare i club nel passaggio alla nuova normativa. Il vecchio regolamento, basato sul pareggio di bilancio, è terminato alla fine della scorsa stagione. La nuova versione, siglata lo scorso anno, si fonda sul concetto di “football earnings”, cioè la differenza tra costi caratteristici legati alla squadra (ammortamento dei cartellini dei giocatori acquistati, stipendi, commissioni ad agenti) e ricavi. Il nuovo regolamento entrerà gradualmente in vigore a partire dal 2023.

I quattro club italiani dovranno attenersi a piani di rientro concordati. Milan e Juventus hanno stipulato un piano triennale, mentre Roma e Inter avranno un anno in più per far fronte alle richieste della UEFA. Il limite principale posto alle singole società è quello di non superare i 60 milioni di perdita cumulata nel periodo stabilito.

In caso contrario, scatteranno le altre sanzioni: oltre alle multe sospese già descritte, i club subirebbero una limitazione all’elenco di giocatori che si possono inserire nella lista A. Dagli attuali 25 giocatori si scenderebbe a 23, ma sarebbe comunque obbligatorio inserire gli otto calciatori di formazione locale. Inoltre i nuovi acquisti potrebbero essere esclusi dalla lista UEFA. Questo avverrebbe nel caso in cui il saldo tra i ricavi registrati dai calciatori ceduti e i costi di quelli dei calciatori acquistati fosse negativo. Per i giocatori in entrata andrà tenuto conto di ingaggio, ammortamenti e commissioni, per quelli in uscita, oltre al risparmio sugli ingaggi e ammortamenti, si dovrà considerare l’eventuale plusvalenza ma solo nella misura di un terzo. Il massimo organismo del calcio europeo vuole in questo modo evitare che le plusvalenze generata dalla cessione dei giocatori, sempre più in voga negli ultimi anni, diventi una fonte di ricavo ordinaria. In questo modo si eviterebbe anche di utilizzare le plusvalenze come pratica contabile atta a gonfiare i ricavi in modo artificioso. In ultima istanza, le squadre rischierebbero anche l’esclusione delle competizioni europee.

 

Italiane virtuose, ma serve altro

La UEFA ha confermato all’inizio di questa stagione che tutte e quattro le società italiane hanno rispettato i parametri del Financial Fair Play, permettendo loro di non subire sanzioni nella stagione corrente. Il percorso per i nostri club è ancora lungo e non privo di ostacoli. La serie A sta attuando negli ultimi anni politiche più oculate. Sempre più spesso professionisti e manager con importanti esperienze extra-calcistiche arricchiscono gli organigrammi societari. Tuttavia non mancano le criticità, in particolare legate alla struttura dei ricavi dei nostri club. La fonte principale di ricavo resta quella legata ai diritti TV.

La recente cessione per il periodo 2024-2029 ha causato una spaccatura all’interno della lega calcio. Questo non è l’unico aspetto negativo. Gli introiti, infatti, sono diminuiti rispetto al ciclo precedente. Nella stagione 2022/23, infatti, le società di serie A hanno incassato poco più di un miliardo di euro. A partire dal 2024  si partirà da una cifra base di 900 milioni a stagione. Prospettive che devono far riflettere, se non preoccupare, gli attori principali del business del calcio.


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