In Africa la Superlega esiste già

Dalla tribuna del Loftus Versfeld di Pretoria, Gianni Infantino e Patrice Motsepe scrutano con relativo interesse le ultime, interminabili fasi della partita tra Mamelodi Sundowns e Wydad Casablanca. Senza staccare gli occhi dal telefono, alle loro spalle Pierluigi Collina sorride sornione mentre il suo vicino non si dà pace per le continue interruzioni che hanno portato il recupero ben oltre i 9 minuti chiamati dall’arbitro. Un replay, una transizione grafica che per poco non ci fa perdere il momento del fischio finale ed eccoci all’epilogo di ciò che nelle intenzioni della CAF (Confédération Africaine de Football) dovrebbe assurgere al più presto a main event del calcio continentale per club ma che nei fatti è parso tuttalpiù un episodio pilota: la puntata 0 di una sceneggiatura su quello che potrebbe diventare il calcio africano e non solo.

 

Prove tecniche di Superlega

Un Superbowl africano, come si sono affrettati a scrivere i cronisti, culmine di un disegno che risale almeno al dicembre 2019, da quando cioè, con un anno e mezzo di anticipo sui sinistri proclami di Superlega levatisi dall’Europa, il presidente della FIFA Gianni Infantino espresse i suoi favori circa la creazione di una competizione che comprendesse i 20 migliori club africani e che, a detta sua, avrebbe potuto generare entrate per 200 milioni di dollari. Seppur vaghe e aperte a interpretazione, le parole di Infantino furono immediatamente recepite da Patrice Motsepe che, compreso il significato dell’aggettivo «migliori», ha lavorato alacremente all’idea fin dalle prime settimane del suo mandato. Eletto – anche se sarebbe meglio dire nominato – presidente della CAF nel marzo 2021 al termine di un controverso procedimento mediato dalla FIFA e figlio dello scandalo che un anno prima aveva estromesso il suo precedessore, il malgascio Ahmad Ahmad, già in campagna elettorale Motsepe si era espresso in favore di una riforma delle competizioni continentali, tanto da farne il punto numero 2 del suo decalogo per il rilancio del calcio africano. «Migliorarne l’efficienza e la professionalizzazione» disse in una conferenza stampa tenutasi a Johannesburg nel febbraio 2021: parole che due anni più tardi avremmo tradotto con Superlega. O forse no.

Dopo il varo ufficiale dell’agosto 2022, meno di un anno dopo Motsepe annunciò come, su consiglio di non meglio precisati «amici in Europa», l’esecutivo della CAF avesse deciso di rinunciare alla denominazione “Superlega” – oramai compromessa dalla connotazione negativa assunta nel Vecchio Continente – in favore di un più prosaico “African Football League”. Il piano presentato ad Arusha, in Tanzania, prese decisamente le distanze dal progetto fallito in Europa l’anno precedente, sgombrando immediatamente il campo dalle polemiche sorte attorno ai criteri di accesso e alla coesistenza con le leghe nazionali e le altre competizioni CAF. La fase finale si sarebbe svolta nell’estate 2023 e a prenderne parte sarebbero state 24 squadre provenienti da una fase di qualificazione su base geografica in grado di garantire equa rappresentanza per le tre macro-regioni individuate (Nordafrica, Africa occidentale/centrale, Africa orientale/meridionale). Un calendario mastodontico di quasi 200 incontri tra qualificazioni, fasi a gironi e ad eliminazione diretta, preludio della grande finale – da giocarsi a partita unica – fatidico Superbowl in grado di rapire l’immaginario di un continente e attrarre investimenti milionari.

Un’altra Champions League potrebbe obiettare qualcuno, alla quale la CAF parrebbe intenzionata ad affiancare una gemella più grande e ricca. Grande perché – a dispetto dei propositi di difesa del principio di merito – l’idea alla base è quella di poter proporre con cadenza annuale un tabellone che comprenda i club più facoltosi e con maggiore seguito. Un compito al quale l’attuale Champions League evidentemente non sembra assolvere appieno, gravata da annosi problemi di natura logistica e con una fase finale che, sebbene sia stata portata da 8 a 16 squadre, non è stata in grado di generare gli introiti desiderati. Ricca perché dotata di un montepremi stimato inizialmente in 100 milioni di dollari, di cui 11,5 previsti per la squadra vincitrice: quasi tre volte il premio messo in palio dalla CAF Champions League. Una sproporzione di risorse confermata anche una volta constatata l’insostenibilità del piano.

 

Ricchi premi e cotillons

Settembre 2023. Nell’urna del Cairo, dove si svolge il sorteggio della prima African Football League, ci sono otto palline contenenti ognuna il nome di una delle partecipanti. Non sono emerse da una complessa fase di qualificazione regionale bensì sono state selezionate in base al ranking e tra di esse figura anche un club appena sospeso dalla propria Federazione come l’Atletico Petroleos de Luanda, condannato a due anni di squalifica per un presunto caso di combine nella Coppa d’Angola. La fase finale non prevede gironi ma uno scheletrico playoff con partite di andata e ritorno a partire dai quarti di finale. Gli sponsor, essenziali per una manifestazione che si vorrebbe appannaggio esclusivo di investitori privati, sono solo due ed entrambi saliti a bordo all’ultimo minuto: la Saudi Tourism Authority, con il suo marchio “Visit Saudi” in bella mostra su cartelloni e animazioni grafiche, e l’omologo ente nazionale ruandese, reso noto dalla dicitura “Visit Rwanda” che campeggia ormai da qualche anno sulle magliette dell’Arsenal. Sorte analoga per i diritti televisivi, la cui asta – disertata fin quasi a ridosso del calcio di inizio – si conclude con un accordo in extremis con BeIN Sports, network qatariota che si assicura i diritti di diffusione per il Medio Oriente e il Nordafrica (Marocco escluso) lasciando alla FIFA l’onore, ma soprattutto l’onere, di trasmettere gratuitamente gli incontri per il resto del mondo attraverso la piattaforma FIFA+. Il tutto nel mezzo di una disputa con la CAF in merito al rinnovo del contratto per le restanti competizioni. Ciononostante il montepremi, notevolmente ridimensionato rispetto ai proclami iniziali, rimane spropositatamente alto per una competizione così ridotta. Il premio per il vincitore, abbassatosi a 4 milioni di dollari, pareggia comunque quello della CAF Champions League, senza contare i 3 milioni previsti per il secondo classificato o la borsa da un milione di dollari destinata a tutte le partecipanti.

 

Le mani della FIFA sul progetto

180 minuti di gioco sono valsi a Enyimba, Simba SC, Petro Luanda e TP Mazembe – tutte eliminate al primo turno – 1 milione di dollari: cifra in grado di fare la differenza in quasi ogni lega a sud del Sahara e che pone la questione della sostenibilità di una formula che si propone di finanziare il calcio africano attraverso il più classico dei meccanismi trickle-down, ma che così concepito rischia solamente di aumentare il divario tra le poche potenze del continente e il resto. A dispetto dell’aria dimessa di questa “edizione 0” – che nella sua estemporaneità fa tornare alla memoria la prima, lontanissima edizione del Mondiale per Club che la FIFA impose durante la pausa invernale del 2000 in Brasile e che ora promette di tornare ancora più mostruosa a partire dal 2025 – è chiaro come Motsepe e Infantino intendano rilanciare. Il sito stesso della manifestazione riporta tuttora il progetto di un torneo a 22 squadre che si dipani lungo tutta la stagione parallelamente a Champions League e Confederation Cup, competizioni storiche che con la stessa volontà e simile investimento si sarebbero potute riformare e potenziare e che invece si vedono minacciate dalle stesse istituzioni che dovrebbero tutelarle. Il perché? Non è dato sapere, almeno per il momento. C’è chi ipotizza si tratti di un esperimento che vedrebbe la CAF vestire i panni della cavia nelle mani della FIFA, che in Africa starebbe testando una soluzione che da tempo solletica la fantasia di dirigenti e investitori ma che ha sempre destato diffidenza. Il comunicato congiunto con cui due anni fa alcuni dei maggiori club europei annunciarono la nascita di una Superlega estranea all’UEFA e in concorrenza con le competizioni da essa patrocinate potrebbe aver convinto più di qualcuno a prendere il toro per le corna provando a imbrigliare un processo che altrimenti avrebbe rischiato di sfuggire di mano. È così che potremmo leggere la recente riforma che dalla prossima stagione vedrà un ulteriore allargamento della Champions League. C’è chi arriva ad ipotizzare addirittura un piano per minare le basi stesse del progresso del calcio africano. A spingersi a tanto è il tecnico sudafricano Zipho Dlangalala, stupito del silenzio con cui la maggioranza delle confederazioni e dei club africani abbiano accettato che simili decisioni fossero prese sopra le loro teste. C’è chi infine, come il giornalista ruandese Njabulo Njidi, tira in ballo l’ego di Infantino e Motsepe, troppo grande per un semplice restyling della Champions League e a caccia di un’opera sulla quale continuare ad edificare le rispettive eredità nella storia del calcio.

 

Il verdetto del campo

La fetta più grande dell’eredità di Patrice Motsepe, a dire il vero, è quella che il facoltoso imprenditore minerario – nonché nono uomo più ricco d’Africa – ha messo da parte negli ultimi vent’anni, da quando cioè è alla guida dei Mamelodi Sundowns. Società originaria del centro di Pretoria e successivamente trasferitasi nella township orientale di Mamelodi, la sua traiettoria è radicalmente cambiata da quando nel 2004 Motsepe ne acquisì il pacchetto di maggioranza diventandone via via l’unico proprietario. È durante gli anni della sua presidenza infatti che i Brazilians – così chiamati per i colori volutamente ispirati a quelli della Seleçao – scalano le gerarchie del calcio sudafricano, storicamente dominato da Johannesburg e dalla rivalità tra le sue squadre principali: Kaizer Chiefs e Orlando Pirates. La conquista della CAF Champions League nel 2016 è il coronamento dell’avventura di Motsepe alla testa del club, che sotto la gestione di Pitso Mosimane ha progressivamente acquisito l’attuale dimensione internazionale e che oggi, con la guida tecnica di Rulani Mokwena, promette di farsi conoscere anche al di fuori dei confini continentali.

Gli higlights della finale di ritorno

 

La vittoria dei sudafricani in questa, seppur ridotta, prima edizione dell’African Football League conferma infatti quanto visto nelle ultime edizioni della Champions League, ovvero come la solidità societaria e la proposta di gioco dei Mamelodi Sundowns rappresentino oggi l’unica alternativa credibile allo strapotere dei top club nordafricani. Al netto della non brillantissima performance dei campioni continentali in carica dell’Al Ahly, capaci di vincere un solo incontro sui quattro disputati, le prove di forza mostrate in casa da Wydad Casablanca ed Espérance Tunisi, rispettivamente contro Enyimba e TP Mazembe, sono indice del divario esistente tra le due sponde del Sahara oltre che del peso notevole che il fattore campo sembra conservare in Africa. Chiave di volta del torneo è stata la semifinale di ritorno che i Mamelodi Sundowns hanno avuto la forza di pareggiare con un uomo in meno e un arbitraggio discutibile di fronte ai 50.000 del Cairo contro l’Al Ahly. L’1-0 dell’andata è bastato per accedere alla finale, dove gli uomini di Mokwena hanno prima contenuto i danni nella sfortunata gara di andata contro il Wydad – persa 2-1 in Marocco con il concorso di un autogoal – e poi ribaltato il risultato con un 2-0 oltremodo meritato nella partita di ritorno giocata in casa.

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Mokwena sulle orme di Diniz e Pep

Una vittoria figlia di un gioco che già da qualche tempo sta catturando l’attenzione degli osservatori internazionali e che va ad alimentare il corrente dibattito attorno al cosiddetto “relazionismo”. Giovane tecnico di 36 anni formatosi nello staff di Mosimane e nipote della leggenda del calcio sudafricano Jomo Sono, è Mokwena stesso a dirsi estimatore della filosofia applicata al Fluminense da Fernando Diniz. Sovraccarichi generati in determinate zone del campo e una struttura talvolta poco ortodossa d’altra parte non rinnegano i principi del gioco di posizione fondato sul possesso ai quali Mokwena dichiara di essere stato educato citando Pep Guardiola e Roberto De Zerbi quali suoi modelli di ispirazione. Uno stile camaleontico, come usa ripetere il tecnico sudafricano, risultante da tendenze sviluppatesi in Europa e Sudamerica ma che non vuole rinunciare all’estro che lo folgorò in gioventù sui campi di Soweto.

Dove va il calcio del futuro? Non è dato sapere, ma la volontà mostrata nel portare a compimento questo progetto di superlega procedendo per tappe forzate, così come l’emergere di un modello originale come quello dei Sundowns – che sull’onda del Fluminense di Diniz o del Malmö di Henryk Rydström comincia timidamente a bussare alle porte del dogma posizionalista – suggerisce dove potremmo trovarne le tracce. Ex Africa semper aliquid novi.

 


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