Eterea per natura esistenziale, matronale nei modi e nell’affermare un’indiscussa autorevolezza ma profondamente umana in quanto madre premurosa e custode di saggezza. Nel marasma di personaggi cantati da Omero nell’Iliade c’è anche colei che, pur non rappresentando certo uno dei protagonisti assoluti del poema, lega il suo nome a colui che del conflitto sarà l’autentico deus ex machina, l’ago della bilancia che darà un senso al decennale assedio greco sotto le poderose mura troiane: Achille, suo figlio. Lei è ovviamente Teti, dal cui grembo era nato l’invincibile piè veloce. Ed è lei che, a suo modo, decide un pezzetto di guerra e di leggenda quando profetizza al proprio figlio il destino che avrebbe incontrato combattendo a Troia. Laggiù, tra la polvere, il sole e il fango, il Pelide sarebbe andato incontro a morte certa.
Così, di fronte a lui, si spalanca il più classico dei dilemmi destinati ad essere elemento di dibattito morale per tante generazioni a venire. Che fare? Stare a casa, rinunciare e abbracciare un lungo cammino, dilatato fino alla vecchiaia, in compagnia dei propri cari fino all’ultimo giorno ma, proprio per questo, effimero e condannato all’oblio col passare dei secoli? Oppure morire in giovane età, con una vita intera ancora da vivere, ma consegnando il proprio nome e le proprie gesta in battaglia al mito e alla leggenda nei secoli e nei millenni a venire? Achille tentenna, cerca la via di fuga: in fondo è pur sempre un semidio, muscolarmente e atleticamente straripante come una divinità ma con un sentire umano e dunque fragile.
Alla fine si convincerà, andrà incontro al suo destino e proprio quando riuscirà a entrare nella fino ad allora inespugnabile città nemica troverà la morte a causa di un dardo scoccato da Paride, guidato da un vendicativo dio Apollo, che trafiggerà il suo tanto famigerato tallone. Come promesso da Teti, la sua figura ha continuato a sopravvivere nella mente delle generazioni che son venute dopo di lui e il suo tracotante eroismo ne ha fatto uno dei più illustri eroi dell’immortale letteratura classica.
Tuttavia, Achille permettendo, il punto della questione è l’abbandono nel fiore degli anni, al massimo delle possibilità fisiche e motivazionali. Che sia una scelta volontaria o imposta, che termini con la morte o con un semplice ritiro dalle scene. Dire basta proprio quando il volo esistenziale tocca le vette più alte, lo zenit dell’umana realizzazione. Non possiamo sapere se tali pensieri trafficassero la mente di una poco più che teenager australiana a cavallo tra l’agosto e il settembre del 1972, non sappiamo se Shane Gould avesse già in programma una fuga dai riflettori alla fine delle Olimpiadi estive bavaresi. Una meteora, abbacinante e abbagliante come la folgore di Zeus, ma pur sempre transitoria e debitrice di sogni interrotti bruscamente.
Shane Gould e il prezzo della leggenda: ascesa e pressione
Solo qualche mese prima Shane Gould ha iniziato a stupire con le sue vittorie. Tra l’aprile del 1971 e il gennaio del 1972 inserisce il proprio nome sulla mappa geografica di questo sport. Tutte le categorie, dai 100 ai 1500 metri stile libero, sono roba sua. È il primo caso di atleta in questo sport, sia a livello maschile che femminile, che arriva a detenere contemporaneamente tutti e cinque i record delle distanze dello stile libero. Pare davvero essere l’alba di un regime tirannico fatto di medaglie monopolizzate e primati gelosamente custoditi in terra australiana.
La grande opportunità arriva, come detto, nel 1972. Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre gli occhi del mondo, non solo sportivo, sono puntati su Monaco di Baviera e sui primi Giochi del nuovo decennio. Trattasi, inoltre, delle prime Olimpiadi nella Germania divisa del dopoguerra, delle prime in terra teutonica successivamente alla Seconda guerra mondiale e post Berlino ’36. Per queste e per tante altre motivazioni è l’evento dell’anno, atteso come pochi e messo in piedi dalla storica organizzazione tedesca ai limiti del maniacale.
Ma il contesto storico non è esattamente dei migliori: sono gli anni post ’68, anni di terrorismo e conflitti, fatti di guerra fredda e di tensione alle stelle tra Israele e Paesi arabi. E sarà proprio nel villaggio olimpico bavarese che tra il 5 e 6 settembre si consumerà uno dei peggiori massacri di sempre nella storia dello sport: un gruppo di terroristi filo palestinesi provenienti dall’organizzazione “Settembre Nero” irrompe negli alloggi degli atleti e rapisce undici membri della delegazione israeliana. Due di questi, Moshe Weinberg e Yossef Romano, vengono freddati durante il blitz. Gli altri nove verranno invece assassinati dopo che le trattative per il loro rilascio con il governo tedesco naufragheranno in un nulla di fatto.
Questo episodio sarà uno dei momenti di tensione che porteranno allo scoppio della Guerra del Kippur nell’ottobre dell’anno successivo tra Israele e la coalizione araba guidata dall’Egitto, ma nel frattempo l’Olimpiade viene mestamente portata a termine in un clima a dir poco surreale. Dopo una giornata di stop delle attività, i Giochi riprendono e il CIO fa mettere le bandiere delle nazioni partecipanti a mezz’asta in segno di cordoglio. Ma al di là del finale malinconico, c’è già stata tutta una competizione capace di regalare, come da consumata tradizione a cinque cerchi, momenti di grandezza sportiva destinati a rimanere scolpiti nelle menti degli appassionati.
E in mezzo al marasma di discipline e bandiere, Shane Gould brilla di luce propria. Il 28 agosto, nella prima giornata ufficiale delle gare di nuoto in vasca, trionfa nei 200 metri misti e anche stavolta conquista la ribalta: per lei è medaglia d’oro e nuovo record mondiale col tempo di 2’23”07. Nonostante un argento negli 800 e un bronzo nei 100 metri stile libero, nei giorni seguenti continua a prendersi la gloria. Nei 400 frantuma un altro primato del mondo e con un debordante 4’19”04 lascia solo le briciole alla concorrenza, in primis all’azzurra Novella Calligaris, distanziata di più di tre secondi.
I conclusivi 200 metri stile libero non sono altro che un’ulteriore conferma della sua supremazia in acqua: altro tempo da record mondiale e altro oro, stavolta ai danni della rivale americana Shirley Babashoff. Il Monaco ’72 di quella che è già a tutti gli effetti la miglior nuotatrice australiana di sempre si conclude con un medagliere fatto di tre ori, corredati da altrettanti primati, un argento e un bronzo. Sedici anni, gli occhi del mondo addosso, una carriera e una vita intera davanti a sé. Ma soprattutto una marcatura a uomo sempre più soffocante, esercitata dai media e alimentata dal pubblico.
Il debordante successo di Shane Gould nei 400 stile libero, davanti alla nostra Novella Calligaris
Il ritiro e il lascito
Come spesso accade per gli enfant prodige dello sport, il talento e le qualità atletiche di poco più che adolescenti vengono tramutati in carne da macello per la stampa e l’opinione pubblica. La mercificazione del prodigio, l’affannosa ricerca di ponderare ciò che non può essere ponderabile, a maggior ragione a 16 anni. La sovraesposizione mediatica a cui Shane deve far fronte dopo le Olimpiadi di Monaco diventa una spada di Damocle di fronte alla quale è difficile restare indifferenti. Decide così di abbandonare. Il macigno psicologico è troppo ingombrante per una giovane ragazza come lei, innamorata del nuoto e non certamente pronta a un’esposizione mediatica così accentuata. Come accaduto al Pelide Achille, anche lei finisce per pagare caro il prezzo della gloria e il successo scaturito dopo le sue imprese. Seppur con dinamiche differenti, anche lei si ritira dalle scene, si lascia alle spalle quel mondo.
Opta per uno stile di vita più normale e normalizzante, per certi aspetti meno tossico. Si dedica allo studio, si appassiona alla fotografia (le sue opere sono esposte all’Art of the Olympians Museum di Fort Myers, in Florida), vive ciò che nei primissimi anni Settanta non ha mai potuto vivere davvero. Ma soprattutto fa da apripista, più o meno consapevolmente, a quella che è tutt’oggi una delle dicotomie più discusse nel mondo dello sport, ovvero quella tra il condurre a pieno la carriera da atleta professionista e la salute mentale dell’atleta stesso. La sua scelta in direzione ostinata e contraria sembra quasi essere figlia del suo tempo, di quegli anni Settanta fatti di paure e tensioni ma anche e soprattutto di libertà e lotta contro dogmi percepiti ormai come compassati e suscettibili di revisione storica e sociale.
Solo a molti anni dal ritiro, Shane si è riaffacciata al mondo dello sport come mentore per giovani atleti, per permettere loro di coniugare la carriera con uno stile di vita attivo e sano anche mentalmente. Una scelta che ha riaperto quel libro chiuso nel 1972, di fatto rendendola ancor più, se possibile, una figura di riferimento per quegli atleti che puntano a raggiungere l’eccellenza senza sacrificare il proprio benessere. Le sue apparizioni sulla scena pubblica si sono rivelate sporadiche. Nel 2000, in occasione delle Olimpiadi disputate a Sydney – sua città natale – è stata selezionata come tedofora nel corso della cerimonia d’apertura, mentre nel 2023 è stata una delle venticinque figure premiate come Australiano dell’anno (vinto nel 1972) a sostenere il referendum Indigenous Voice, che avrebbe permesso di riconoscere quali cittadini australiani gli aborigeni dello stretto di Torres e di permettere loro di presentare osservazioni al Parlamento Federale.
La parabola di Shane Gould, facilmente assimilabile ai pochi secondi di apparizione di una cometa, tanto sfavillante nel cielo della notte quanto sfuggente e non apprezzabile appieno, viene ancora oggi percepita come senza eguali nell’archivio storico dello sport mondiale, un intreccio di mito agonistico e struggente umanità. Chissà cosa avrebbe potuto fare Shane se avesse continuato, chissà se avrebbe continuato ad abbattere primati per anni o se invece avrebbe ceduto, assistendo a un doloroso declino delle proprie prestazioni in piscina. Sinceramente non importa. Quei mesi dei primi anni Settanta e quelle settimane tra l’agosto e il settembre del 1972 saranno per sempre patrimonio mnemonico degli aficionados del mondo dello sport. Perché forse è vero che niente attira più di ciò che può sfuggirci in un baleno.