Settembre Nero: il conflitto tra Israele e Palestina alle Olimpiadi

Puoi partecipare a molte gare, ma le Olimpiadi sono un’altra cosa”. A dirlo è stato il mezzofondista statunitense Glenn Cunningham, medaglia d’argento nei 1500 metri piani a Berlino nel 1936. E pensare che sono passati già 128 anni dall’organizzazione dei primi Giochi Olimpici moderni ad opera del barone francese Pierre de Coubertin. Seppur ultracentenarie, bisogna riconoscere che le Olimpiadi continuano ad esercitare un certo fascino.

L’idea di fondo di de Coubertin era quella che il confronto sportivo tra le diverse nazioni del mondo potesse rimpiazzare ogni tipo di conflitto bellico e, in questo modo, sconfiggere ogni guerra. Una tradizione millenaria ripresa in chiave moderna, una competizione che pone al centro lo sport e l’uguaglianza sociale. De Coubertin aveva rimproverato ai suoi, per così dire, colleghi dell’aristocrazia francese la scarsa attenzione dedicata al corpo. Egli sosteneva che “il vostro errore è quello di sedervi troppo sul cervello, trascurando di coltivare il vostro fisico”.

Il barone, però, non pensava solamente all’aspetto sportivo, le Olimpiadi dovevano essere una celebrazione totalizzante dell’amicizia tra i popoli del mondo, esaltando i valori della cultura e della bellezza. La rassegna olimpica doveva rappresentare un fil rouge che legava la tradizione dell’antica Grecia al mondo moderno. Questa storia, però, ha a che fare con lo sport soltanto di riflesso. Una vicenda che parla di 11 atleti israeliani che stanno per coronare il sogno di una vita: partecipare alla ventesima edizione dei Giochi Olimpici.

Siamo a Monaco di Baviera tra l’agosto e il settembre del 1972 e nessuno di loro può immaginare che quello stesso sogno sta per sgretolarsi su un muro di terrore e di violenza, trasformandosi da un momento all’altro in un incubo terrificante. Undici persone che finiscono per ritrovarsi ostaggi di un commando armato di terroristi denominato Settembre Nero. Il punto di partenza di un vero e proprio thriller che semina il panico in tutto il villaggio olimpico.

 

Le Olimpiadi tornano in Germania

La nostra storia comincia in una giornata di primavera, il 26 aprile 1966. A Roma si sta tenendo la riunione del Comitato Olimpico Internazionale ed è prevista la votazione decisiva per scegliere la sede delle Olimpiadi del 1972. La scelta ricade, con netta maggioranza, su Monaco di Baviera. Una nomina in qualche modo storica quella della Germania, che non ospita la rassegna dei cinque cerchi dal 1936. Allora erano stati i Giochi Olimpici di Adolf Hitler, con l’assurda propaganda messa in atto dal nazionalsocialismo che aveva ingannato praticamente tutto il globo.

Persino i giornalisti inglesi e quelli americani non si fecero scrupoli ad esaltare in pompa magna l’accoglienza ricevuta nella Germania nazista. Una sorta di calma apparente, la quiete prima della tempesta. Ecco allora che la scelta di Monaco di Baviera è molto più di una semplice nomina, è l’occasione regina per mostrare al mondo il nuovo volto della Germania. Un Paese all’avanguardia e all’insegna della modernità, una nazione pronta a lasciarsi definitivamente alle spalle il periodo nazista.

I tedeschi non badano a spese e per l’occasione realizzano uno straordinario parco olimpico e uno stadio da circa 70mila posti a sedere, l’Olympiastadion, che sarà la casa del Bayern Monaco fino al 2005. Poi ancora piscine, palestre e palazzi dello sport, il tutto situato nei dintorni di un villaggio olimpico a contatto diretto con la natura e con il verde della città bavarese.

 

Olimpiadi da record

La cerimonia di apertura è un autentico spettacolo. Oltre 7mila atleti provenienti da 121 paesi sfilano nella pista di atletica dell’Olympiastadion, un record assoluto. La delegazione italiana prende parte ai Giochi con 239 atleti, di cui 210 uomini e 29 donne. I cavalli di battaglia degli azzurri sono quelli storici, ovvero tuffi e scherma, ma rimanendo in tema di cavalli siamo forti anche nell’equitazione. Tra i tanti nomi di spicco menzioniamo Klaus Dibiasi, Giorgio Cagnotto, Mario Aldo e Mario Tullio Montano. A loro si aggiungono due giovani speranze dello sport italiano che faranno parlare di loro: la 18enne Novella Calligaris per il nuoto e il 20enne Pietro Mennea, soprannominato “la Freccia del Sud”, per l’atletica leggera.

I Giochi proseguono in un clima di grande festa e il protagonista assoluto della competizione è il nuotatore statunitense Mark Spitz. L’americano è capace di entrare nella storia aggiudicandosi 7 medaglie d’oro in 8 giorni. Nel farlo, stabilisce il record del mondo in tutte le gare disputate. Un primato che durerà per ben 36 anni, quando un altro nuotatore a stelle e strisce, Michael Phelps, riuscirà a superarlo con 8 ori.

Insomma, un’Olimpiade da record sotto diversi punti di vista. L’australiana Shane Gould stupisce il mondo intero portando a casa 3 ori nel nuoto a soli 16 anni di età, per poi ritirarsi clamorosamente solo pochi mesi dopo. La coetanea Ulrike Meyfahrt per la Germania Ovest diventa la più giovane campionessa in una gara di atletica leggera individuale e l’egemonia degli Stati Uniti nel basket viene interrotta dopo una emozionante finale con il successo dell’Unione Sovietica. Anche gli italiani non deludono le aspettative, portando a casa 5 ori, 3 medaglie d’argento e 10 di bronzo.

 

L’irruzione del 5 settembre

I XX Giochi Olimpici della storia moderna proseguono senza intoppi, gara dopo gara e in un clima disteso e rilassato, la solita atmosfera di festa che si crea durante ogni edizione della rassegna dei cinque cerchi. La Germania sta riuscendo nel proprio intento, dimostrando al mondo intero di essere una nazione veramente all’avanguardia, un paese rivolto verso il futuro e il progresso tecnologico.

Poi, il baratro. 5 settembre, è ancora notte, l’orologio segna le 4.30 quando Yossef Gutfreund, arbitro di lotta greco-romana, viene svegliato da alcuni rumori. Insospettito si alza in tutta fretta e apre la porta della propria camera. Appena vede spuntare le canne dei fucili ha l’istinto di gridare. Tutto accade in pochi, frenetici secondi. Un commando di terroristi ha appena fatto irruzione nel villaggio olimpico e più precisamente al numero 31 di Connollystrasse, la palazzina dedicata agli alloggi della delegazione di Israele.

I sequestratori sono travestiti da atleti, hanno dei borsoni pieni di armi e di bombe. Entrano velocemente e si scontrano con gli atleti israeliani, ci sono delle colluttazioni. Due di essi provano a disarmare la banda ma vengono brutalmente colpiti a morte. Si tratta dell’allenatore di lotta greco-romana Moshe Weinberg e del pesista Yossef Romano, rispettivamente 33 e 31 anni. Seguono diversi colpi di arma da fuoco ma uno degli atleti, il lottatore Gad Tsobari, riesce a fuggire e a dare l’allarme.

 

Settembre Nero

Nel frattempo è trascorsa solamente un’ora. I terroristi sono riusciti a catturare nove ostaggi e sono le 5.08 quando il corpo di Moshe Weinberg viene lasciato davanti all’edificio. Dal balconcino compare un uomo con il capo coperto da un passamontagna che diventerà protagonista di una foto simbolo di questa vicenda. Qualcuno di loro lascia cadere due pezzi di carta su cui sono scritte le loro richieste e tutto, in quel momento, diventa più chiaro.

I terroristi si dichiarano dunque appartenenti al gruppo palestinese Settembre Nero. Nessuno sa con certezza quanti possano essere all’interno della palazzina. Uno di questi si fa avanti in qualità di capobanda e mediatore, sostiene di chiamarsi Issa, indossa un vistoso cappellino bianco ed ha il volto cosparso di lucido da scarpe.

 

Le contromosse

Il capo della polizia di Monaco Manfred Schreiber viene nominato a capo dell’unità di crisi, mentre il cancelliere tedesco Willy Brandt prende immediatamente contatti con il premier israeliano Golda Meir. Il villaggio olimpico viene presidiato da moltissimi poliziotti ma anche da un enorme numero di giornalisti e tifosi.

In tutto questo caos le Olimpiadi vanno incredibilmente avanti per qualche ora come se nulla fosse. Ma la notizia non tarda molto a diffondersi attraverso i media di tutto il mondo e spinge le autorità tedesche a sospendere per un giorno le gare dei Giochi Olimpici. Per rendere l’idea, un fatto del genere non era mai accaduto nemmeno nell’antichità.

Il governo di Israele è inamovibile, non libererà nessuno dei detenuti. Golda Meir mette anzi a disposizione un’unità di intelligence che si incarica di liberare gli ostaggi in territorio tedesco. Schreiber cerca di prendere tempo e, come un abile stratega, utilizza le scuse più svariate. Dice che non funzionano le linee telefoniche o che lo stesso governo israeliano ha preso tempo. Fatto sta che Issa acconsente, e sposta l’ultimatum prima alle ore 12, poi alle 15 e infine alle ore 17.

L’unità di crisi passa al vaglio diverse ipotesi di intervento. La più accreditata vedrebbe alcuni agenti tentare un’irruzione attraverso i condotti di ventilazione della palazzina accessibili dal tetto. Gli uomini sono già in posizione ma l’operazione viene annullata all’ultimo istante. La polizia tedesca aveva sottovalutato, in quel momento, il potere dei media che stavano riprendendo in diretta il tentativo di ingresso. I terroristi osservano ogni mossa delle forze dell’ordine direttamente in televisione ma nonostante questo si sceglie inspiegabilmente di non allontanare i giornalisti dal villaggio olimpico.

 

L’ultimatum dei terroristi

Schreiber e i suoi uomini sembrano brancolare nel buio. L’intervento delle forze speciali israeliane potrebbe essere di grande aiuto ma la Germania vuole farcela con le proprie forze. L’ultimatum sta per scadere, mancano pochi minuti alle 17 quando arriva una nuova richiesta: i sequestratori chiedono di poter essere trasferiti a Il Cairo insieme agli ostaggi per la prosecuzione delle trattative. Le autorità tedesche cercano inutilmente il supporto del governo egiziano, mentre Issa sposta di nuovo l’ultimatum alle ore 21.

Portare gli ostaggi al di fuori della palazzina potrebbe essere una grande opportunità, Schreiber è disposto ad accontentare Issa ma prima vuole la conferma che tutti gli ostaggi siano in vita e in buone condizioni. Il capobanda dei terroristi fa così entrare il delegato del villaggio olimpico Walther Troeger e il Ministro federale degli Interni Hans-Dietrich Genscher.

Ai due uomini Schreiber ha fatto una richiesta ben precisa: è di fondamentale importanza che riescano a capire il numero esatto degli ostaggi. Una volta condotti all’interno degli appartamenti, Troeger e Genscher riescono a dialogare per pochi minuti con l’allenatore di scherma Andrè Spitzer, uno degli ostaggi, che conosceva il tedesco.

Poi vengono guidati al secondo piano e si trovano di fronte il corpo martoriato di Yossef Romano, esposto agli altri ostaggi quasi come un monito per non provare a ribellarsi. I due uomini cercano di cogliere ogni possibile dettaglio, ma sono inevitabilmente sconcertati dalla brutalità della situazione che stanno vivendo. Troeger riferisce di avere visto quattro, al massimo cinque terroristi in totale. A quel punto, le autorità tedesche danno l’autorizzazione. Gli ostaggi saranno scortati fuori dal numero 31 di Connollystrasse, insieme ai terroristi di Settembre Nero.

 

La causa palestinese

L’obiettivo dei sequestratori non è tanto il rapimento gli atleti in risposta al diniego da parte del Comitato dei Giochi Olimpici alla partecipazione della federazione giovanile della Palestina, il loro scopo ultimo è dettato da delle ragioni più profonde. Il loro vero obiettivo è sottolineare con forza la causa palestinese, una terra contesa e martoriata dalle guerre da più di un secolo.

Settembre Nero sarebbe quindi in sostanza un gruppo di resistenza, un baluardo per la causa palestinese. Lo stesso nome dell’organizzazione era stato scelto in seguito al conflitto del 1970 in Giordania, tenutosi proprio in settembre, nel quale migliaia di palestinesi avevano perso la vita. Non è stato mai chiarito fino in fondo quali siano le relazioni tra Settembre Nero e Al-Fatah, organizzazione paramilitare per la liberazione della Palestina guidata da Yasser Arafat.

Uno degli stessi leader di Settembre Nero, la mente di quell’attacco terroristico, Mohammed Oudeh conosciuto come Abu Dawud, dichiarerà a posteriori che in sostanza Settembre Nero non esiste, sarebbe solo un bluff per mascherare le azioni terroristiche di Al-Fatah. Egli sostiene addirittura che lo stesso Arafat sarebbe stato al corrente del piano.

Ma come hanno fatto i terroristi ad organizzare un’azione così precisa ed individuare gli alloggi della squadra israeliana? Quanti e chi sono i membri del commando armato?

 

Il piano di Settembre Nero

L’azione era stata pianificata per mesi. Il capobanda dell’operazione è Luttif Afif, nativo di Nazareth e conosciuto con il soprannome di Issa, coadiuvato da Yusuf Nazzal, il cui pseudonimo è Tony. Sanno bene come muoversi perché hanno  addirittura lavorato alla costruzione del villaggio olimpico di Monaco.

Lo stesso Abu Dawud si è recato più volte a Monaco nel periodo precedente i Giochi. Durante le Olimpiadi riesce ad entrare all’interno del villaggio olimpico accompagnato da Issa e da Tony. I tre si fingono tifosi brasiliani che vogliono fare visita alla squadra di Israele. Vengono fatti entrare al piano terra della palazzina e memorizzano tutto, dalla posizione dei telefoni alla locazione delle vie di fuga.

Il livello di sicurezza all’interno del villaggio era volutamente basso, la federazione tedesca aveva scelto di eliminare tutti i possibili ricordi della Germania di Hitler. Gli addetti alla sorveglianza erano disarmati e poco addestrati, ma d’altronde non c’era apparentemente bisogno di altro, nessuno avrebbe potuto turbare il clima di festa di quei giorni.

I membri di Settembre Nero che fanno irruzione presso il villaggio olimpico sono in realtà otto e non cinque, come viene riportato dal delegato Walther Troeger. A parte Issa e Tony, nessuno degli altri terroristi è a conoscenza del piano. Si accerterà anni dopo che Abu Dawud ha informato gli altri membri soltanto poche ore prima dell’esecuzione. Il messaggio alla banda è chiaro “da ora in poi consideratevi fedayyin, il vostro è un sacrificio di sangue per la causa palestinese”.

 

Luttif Afif, meglio conosciuto come Issa

 

L’uscita da Connollystrasse

Sono passate da poco le 20 di quel fatidico 5 settembre quando le autorità tedesche raggiungono un accordo con Issa e la sua banda. I terroristi e gli ostaggi saranno trasferiti presso la base aerea di Fuerstenfeldbruck con due elicotteri. Da lì un Boeing 727 li porterà a Il Cairo, in Egitto. Il capo della polizia di Monaco Schreiber decide di rimanere dentro il villaggio olimpico e delega il suo vice Georg Wolf all’organizzazione del piano di salvataggio alla base aerea.

Si valuta inizialmente di fare fuoco sui terroristi mentre abbandonano l’edificio ma Issa, temendo un agguato, chiede che il breve percorso dagli appartamenti ai due elicotteri venga condotto su un bus. Poco dopo le 22, i nove ostaggi e i terroristi escono dal caseggiato 31 di Connollystrasse. Solo a quel punto Schreiber realizza che il commando armato è composto da otto membri e non da cinque, come si era creduto fino a quel momento.

Un clamoroso errore di valutazione, dato che i piani della polizia tedesca si fondavano sulla certezza che i terroristi fossero solamente, appunto, cinque. Si scoprirà in seguito che un gruppo di postini avesse visto la banda dei sequestratori la notte precedente e ne avesse già fornito il numero alle autorità, sostenendo che fossero circa una decina. Inspiegabilmente, però, la loro testimonianza non venne ritenuta attendibile.

 

L’arrivo a Fuerstenfeldbruck

Il volo in elicottero degli ostaggi e dei sequestratori dura solamente 20 minuti, troppo poco il tempo per cambiare il piano in corso d’opera. In quegli attimi di concitazione succede però qualcosa di davvero imprevedibile. Il Boeing 727 che aspettava gli elicotteri sulla pista era occupato da una squadra di poliziotti travestiti con l’uniforme della Lufthansa posizionati all’interno. Gli agenti però realizzano che, in caso di conflitto a fuoco, andrebbero incontro a morte certa, poiché l’aereo era privo di carburante per il decollo oltre che di vie di uscita.

Gli agenti mettono ai voti le opzioni e decidono di annullare l’azione, scendendo dal velivolo mentre i terroristi stanno per arrivare. Le sorti degli atleti sono quindi riposte in cinque tiratori scelti che la polizia aveva fatto posizionare ai bordi della pista e sulla torre di controllo. Sarà poi accertato che i cecchini erano in realtà semplici poliziotti e non esperti tiratori, oltretutto mal equipaggiati e privi di giubbotti antiproiettile e visori notturni.

In sostanza, un vero e proprio disastro organizzativo. Uno degli agenti è addirittura posizionato sulla linea di tiro degli altri.

Il tempo delle considerazioni è finito, gli elicotteri stanno per atterrare. Gli unici ad uscire sono Issa e Tony che corrono ad ispezionare l’aereo ma, trovandolo vuoto, comprendono che si tratta di un agguato.

 

Il conflitto a fuoco

Sono le 23 circa quando la base aerea di Fuerstenfeldbruck si trasforma in un campo di battaglia, si innesca un violento conflitto a fuoco fra terroristi e poliziotti che durerà quasi un’ora mentre gli ostaggi, rimasti legati all’interno degli elicotteri, provano disperatamente a rimanere attaccati alla vita, mordendo le corde che li imprigionano.

La situazione è totalmente ingestibile. All’interno della torre di controllo ci sono anche Zvi Zamir, il capo dei servizi segreti israeliani, insieme ad un assistente. Provano a prendere il megafono e ad intimare la resa ai terroristi ma di tutta risposta la banda armata spara contro l’edificio. Il conflitto a fuoco va avanti, mentre l’area circostante la base aerea si riempie di giornalisti e curiosi. Alcuni veicoli corazzati giungono in supporto dei tiratori con forte ritardo, già dopo la mezzanotte. I terroristi non hanno più scampo e i due leader, Issa e Tony, prendono una decisione estrema.

 

They are all gone

Il primo dei due elicotteri viene avvolto dalle fiamme, mentre all’interno del secondo velivolo il terrorista conosciuto come Denawi uccide tutti gli ostaggi. Mentre la sparatoria è ancora in corso, viene diffuso un comunicato che annuncia la liberazione di tutti gli ostaggi e la morte dei terroristi e, per motivi di fuso orario, i media israeliani vanno in stampa con questa notizia.

Solo un’illusione che viene interrotta dal drammatico e commovente annuncio ufficiale, diramato alle 3.45 del mattino dal giornalista della ABC Jim McKay: “They are all gone”. Non c’è più nulla da fare. Il mondo apprende che due atleti inizialmente presi in ostaggio erano già morti durante l’assalto, mentre gli altri nove hanno perso la vita nel corso della sparatoria alla base aerea. Muoiono anche cinque degli otto componenti di Settembre Nero e un poliziotto tedesco. La strategia di Manfred Schreiber e dei suoi collaboratori ha fallito su tutta la linea.

 

La fine di Settembre Nero

I tre superstiti del commando armato vengono arrestati e incarcerati in Germania ma saranno clamorosamente rilasciati soltanto un paio di mesi dopo a seguito del dirottamento di un volo aereo. I terroristi a bordo chiedono e ottengono il rilascio dei tre fedayyin responsabili dell’agguato ai Giochi Olimpici. I tre vengono accompagnati in Libia, dove viene indetta una conferenza stampa durante la quale spiegano, con grande freddezza, le motivazioni dietro il loro gesto. Sostengono che Israele è il nemico e la Germania ha sostenuto il loro nemico, ed è pertanto da ritenersi responsabile dei 17 morti che hanno insanguinato le Olimpiadi.

Una questione complicata, quella che affligge Israele e Palestina. Le conseguenze di quel tragico giorno a Monaco di Baviera saranno terribili. Nel periodo immediatamente successivo ai Giochi, i servizi segreti del Mossad e il governo di Israele presieduto da Golda Meir organizzano l’operazione “Ira di Dio”. L’obiettivo è vendicare gli atleti che hanno perso la vita uccidendo i responsabili diretti e indiretti del massacro delle Olimpiadi.

Vicenda, questa, che ha ispirato l’immortale pellicola di Steven Spielberg, “Munich”. Un film che può aiutare a comprendere cosa abbia rappresentato Monaco 1972 per entrambe le parti.

Per ogni civiltà arriva il giorno in cui è necessario scendere a compromessi con i propri valori

                                   (Lynn Cohen nei panni di Golda Meir – Munich, regia di Steven Spielberg)

Le undici vittime di Settembre Nero

 


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catenaccio

Di Alessio Castagnoli

Scrivo articoli, realizzo podcast sui personaggi e gli avvenimenti controversi del mondo dello sport. Il mio ultimo podcast si chiama Tempi Supplementari, puoi ascoltarlo qui: https://rb.gy/d8rtz3