Giacomo Losi meritava più rispetto

Partiamo dalla fine, dal 6 febbraio. È uno di quei momenti tristi ma capaci di unire una tifoseria, quello del funerale di una bandiera. Perché Giacomo Losi lo è stato per la Roma, tanto da guadagnarsi il soprannome di Core de Roma nonostante nella capitale ci fosse arrivato solo a 19 anni dalla provincia di Cremona.

E infatti la morte di Losi ha unito il popolo giallorosso. Quando domenica 4 febbraio è arrivata la notizia della sua morte, la tifoseria si è sentita di celebrare una bandiera che in molti neanche hanno vissuto, ma che è entrata nel cuore della gente come solo nel calcio può succedere.

L’organizzazione del funerale per il 6 febbraio probabilmente è dettata da motivi che col pallone non c’entrano, ma in ogni caso diventa un assist per la Roma, che il 5 è attesa da un impegno di campionato contro il Cagliari.

Minuto di silenzio, lutto al braccio, video celebrativi nel prepartita, striscioni della Curva Sud per ricordare uno dei più storici capitani giallorossi.

Il giorno dopo, però, succede qualcosa. O meglio: non succede. Se il nocciolo duro del tifo giallorosso risponde presente alle esequie del suo capitano, la Roma, intesa come società, non fa altrettanto: nessun membro della dirigenza o dello staff né alcun calciatore presenzia all’evento, ad eccezione di una delegazione dalla formazione Under 18 e del responsabile dell’archivio storico.

Lo stendardo giallorosso ed una corona di fiori non possono bastare: è una figuraccia storica che non rende giustizia a ciò che Losi ha rappresentato per la Roma.

 

Giacomino, piccolo ma tosto

Già dalla sua infanzia tutti lo chiamano Giacomino, non solo come vezzeggiativo affettuoso ma anche per la sua stazza.

Nato a Soncino nel 1935, Losi è un bambino piuttosto piccolo per la sua età. Anche da adulto la sua statura sarà tutt’altro che imponente – 168 centimentri – ma questo non rappresenterà mai un problema. A compensarla ci penserà quella che i romani chiamano tigna, una grinta e applicazione che gli faranno buttare sempre il cuore oltre l’ostacolo, facendosi rispettare anche nel gioco aereo e contro avversari più strutturati di lui.

D’altronde non poteva che essere così. Figlio di umili lavoratori antifascisti, la Seconda guerra mondiale lo investe già da bambino. Senza scalfirlo, anzi. Il padre è stato deportato per due anni in un lager in Cecoslovacchia e lui vuole rendersi utile.

E così, a neanche dieci anni, oltre a lavorare nella bottega di un sarto, diventa un valido aiuto per la Resistenza, un piccolo corriere incaricato di portare armi e rifornimenti ai partigiani impegnati nella Rocca di Soncino, cosa che gli ha fatto guadagnare il “titolo” di calciatore-partigiano.

Terminata la guerra, quella tigna e voglia di aiutare la sua Soncino trova applicazione su un campo da calcio. Anche se molto giovane, ad appena 14 anni Losi è un calciatore sopra la media nella Soncinese. Gioca da mezzala, un piccoletto che non si ferma mai e che gli avversari non riescono a prendere.

Ma a 14 anni non si può giocare in prima squadra. Poco male, Giacomino si presenta con il cognome Bugli, finge di avere 15 anni e viene mandato in campo, fino a tornare Losi l’anno seguente. La Cremonese lo nota e nel 1951, a 16 anni, lo acquista per 500.000 lire.

 

Bodini, l’uomo della svolta

Ercole Bodini è un’istituzione per il calcio cremonese. Nato a Cremona nel 1904, con i grigiorossi ha esordito nel grande calcio, raggiungendo quello che è il massimo risultato della storia della Cremo, il secondo posto del Girone B della Lega Nord di Prima Divisione 1925-26 alle spalle della Juventus, che si sarebbe laureata campionessa d’Italia. E alla Cremonese è tornato per chiudere la carriera nel momento più difficile, dieci anni dopo, contribuendo a risalire dalla Serie C alla Serie B.

Dopo gli inizi della carriera post-agonistica come allenatore del Fanfulla, nel 1951 Bodini va a sedersi sulla panchina della “sua” Cremonese, nel frattempo retrocessa in C. È lui a volere Losi in squadra e a cambiargli ruolo, trasformandolo in terzino.

Non senza critiche: un difensore così piccolino lascia perplessi e i primi passi paiono dare ragione all’opinione pubblica, tanto che i grigiorossi retrocedono addirittura in IV Serie.

Ma Losi prende dimestichezza col ruolo, diventa sempre più efficace, fortissimo anche nel gioco aereo grazie al suo grande senso dell’anticipo. E nel 1954, insieme, Bodini e Losi vincono il campionato e risalgono in C.

È proprio forte, questo ragazzo, il nuovo ruolo gli calza a pennello. L’idea di fare il salto verso altri lidi si fa sempre più concreta.

L’ultimo regalo di Ercole Bodini fa seguito alla promozione e gli cambierà la vita. Il tecnico ha un fratello minore, Renato, anch’egli ex giocatore di Serie A, che ha giocato nella Roma. In quel momento, proprio nella Capitale, è il vice dell’allenatore Jesse Carver.

Ercole segnala a Renato questo ragazzo e l’affare si fa: a 19 anni Losi passa alla Roma per 8 milioni di lire, cifra consistente per un giovane proveniente dalla IV Serie.

Un giovanissimo ed elegante Losi

 

Amore difficile con l’Azzurro

Con Roma e la Roma nascerà una lunga storia d’amore. Dopo una stagione da riserva diventa titolare della squadra giallorossa, di cui difenderà la casacca con orgoglio e profitto per ben quindici anni, nove dei quali da capitano.

A fargli meritare il soprannome di Core de Roma e garantirgli un posto nel gotha dei più amati dalla Curva Sud, però, non è stato solo il tempo trascorso con la lupa sul petto. È stata la dedizione, la passione, l’infaticabile voglia di esserci sempre, mettendo la Roma al primo posto. Il cuore, appunto.

L’amore della sua gente, rimasto intatto anche a carriera conclusa, lo ha ripagato di quei successi e di quegli onori che avrebbe meritato e che invece non è riuscito a raccogliere, in termini di trofei e, soprattutto, di Nazionale.

La sua storia azzurra avrebbe meritato più fortuna: 11 presenze in due anni, una delle quali addirittura da capitano, contro il Belgio – in una partita nota per aver segnato l’esordio di Gianni Rivera – , con l’aggiunta della convocazione al Mondiale del 1962.

Rimasto in panchina nella Battaglia di Santiago, rivelatasi decisiva per l’eliminazione azzurra, la sua avventura in Nazionale si conclude proprio in Cile. Il nuovo CT Edmondo Fabbri non lo vede e decide di non chiamarlo più.

Ma a Roma aveva già lasciato un segno e di lì agli anni successivi avrebbe fatto ancora di più, facendo della Capitale la sua Nazionale.

Losi (ultimo in basso) in maglia azzurra prima del match contro Israele, valido per le qualificazioni ai Mondiali del 1962

 

Capitano trionfale in Europa

Proprio con la nazionale si incrocia una delle storie che meglio descrivono la sua totale dedizione alla causa giallorossa.

Il 25 aprile 1961, a Bologna, Losi è titolare in nazionale nel match amichevole vinto contro l’Irlanda del Nord. Concluso il match, da capitano vero rientra di corsa a Roma per stare coi compagni. All’epoca, infatti, gli impegni delle nazionali intralciavano spesso i match di coppa delle squadre di club. E il giorno seguente, il 26 aprile, la Roma avrebbe disputato un match di assoluto rilievo. Dopo aver eliminato l’Union Saint-Gilloise in maniera perentoria ed il Colonia al replay match (all’epoca non erano previsti i supplementari), i giallorossi sono attesi dalla semifinale di ritorno di Coppa delle Fiere contro l’Hibernian. Nel match d’andata in Scozia è finita 2-2, tutto fa pensare ad un facile approdo in finale.

Quando arriva nell’albergo del ritiro, tuttavia, l’allenatore giallorosso Alfredo Foni lo spiazza: “Non sono tranquillo, te la senti di giocare?”. Losi non si tira indietro, figuriamoci. E il giorno dopo è di nuovo in campo, per una battaglia di 90’. Foni aveva ragione, la Roma va in vantaggio ma viene rimontata. Quindi contro-rimonta e 3-3 di Joe Baker all’81’.

E proprio Baker, futuro torinista, ha la palla del match: il suo tiro supera Cudicini ma Losi si lancia e salva sulla linea. Il 3-3 è salvo, si va ancora al replay. Finirà 6-0 con qualificazione alla doppia finale, da disputarsi tra settembre e ottobre 1961 contro il Birmingham.

2-2 in trasferta, 2-0 all’Olimpico. È l’11 ottobre 1961, il presidente della FIFA Stanley Ford Rous scende in campo per la premiazione e porge il trofeo tra le mani di Giacomo Losi, primo capitano giallorosso ad alzare una coppa al di fuori dai confini nazionali.

Coppa al cielo, la Roma ha vinto la Coppa delle Fiere

 

Core de Roma

Alzerà un altro trofeo da capitano, Giacomino. Per la precisione la prima Coppa Italia della storia giallorossa, nel 1964.

Nel suo ultimo anno a Roma, ormai divenuto un libero, vince la seconda Coppa Italia ma senza essere il capitano. Nel 1969 in panchina arriva Helenio Herrera che destituisce Losi, relegandolo a panchinaro e cedendo i gradoni del capitano allo spagnolo Peirò.

Sarà l’ultimo atto per Losi, che rimane in città per giocare nella Tevere Roma, di cui sarà anche allenatore. Perché non vuole lasciare la città né tradire la sua squadra. Non l’avrebbe mai fatto e ne aveva avuto l’opportunità quando, nel 1962, il presidente dell’Inter Allodi gli disse: “non mi interessa quanto prendi, ti do tre volte più se vieni all’Inter, dimmi tu la cifra.”. Offerta respinta, non si è Core de Roma per caso.

Ed anche sul campo non si tira mai indietro. L’8 gennaio 1961 si infortuna durante il match dell’Olimpico contro la Sampdoria, uno stiramento. Non ci sono le sostituzioni, può a malapena camminare ma non lascia i compagni da soli. Si sposta sull’ala per non creare problemi in difesa.

Al 75’ la Sampdoria è avanti 2-1 ma due minuti dopo pareggia Piedone Manfredini. Altri tre giri di lancette, minuto 80, un pallone spiove dalla destra. Non importa il dolore, non conta la fatica ma solo la Roma: si fa trovare pronto in mezzo all’area, stacca di testa e fa gol, il primo in Serie A.

Ne farà solo un altro: due gol in quindici anni, Losi è uno che si vede sul campo e non sui tabellini. E neanche sui referti arbitrali. Solo un cartellino giallo in carriera, all’ultima partita, quasi a tradire il nervosismo di un addio così straziante.

Un documentario su Core de Roma

 

Armi, musica e Fausto Coppi

Losi non è stato solo un calciatore ma un ragazzo serio e di cuore, diventato troppo presto un uomo. Non solo per la guerra o per il precoce avviamento al mondo del lavoro, necessari per aiutare una famiglia umile soprattutto nel biennio in cui il padre era a scavare in un campo di concentramento. Anche una tragedia lo ha segnato nel profondo.

Finita la guerra, vicino a Soncino sono rimasti dei residuati bellici, bombe che talvolta alcuni soldati hanno utilizzato per pescare. Un giorno, assieme ad alcuni amici, ne vede una in una piccola insenatura. Si tuffa, la porta a riva e un amico prova a trafficarci: la bomba esplode, l’amico muore, Giacomino dice basta con le armi. Si dedica alla musica, una passione ma anche un’esigenza: adora la tromba ma, quando entra nella banda di Soncino, gli viene assegnato il clarinetto. I giovani innamorati lo chiamano per suonare alle serenate: lui, che ha 14 anni, si fa pagare con un panino o un piatto caldo. Utile e dilettevole, a quei tempi si ragiona così, in casa Losi.

La passione per il ciclismo, invece, è figlia di una vera e propria venerazione per Fausto Coppi. In omaggio al campione piemontese ha organizzato il suo viaggio di nozze, rigorosamente in macchina, con meta finale la Francia, per la precisione Alpe d’Huez e Col du Galibier.

Avrebbe voluto essere al funerale. Non ci è riuscito ed ha deciso di onorare il suo idolo in maniera diversa, con un pellegrinaggio primaverile in bicicletta da Soncino al mausoleo di Castellania dedicato al ciclista. Quasi 150 km in bici per onorare un eroe. Ironico leggerlo qua, visto quanto detto in premessa.

 

Record e Hall of Fame

Chiusa la carriera da calciatore ha allenato molte squadre in Italia e anche l’ItalianAttori, la nazionale di attori e registi che disputa match di beneficienza.

La sua famiglia ed il suo cuore sono sempre rimasti legati alla Capitale e alla squadra cui ha dedicato la carriera ed anche parte del lavoro post-carriera, avendo gestito una scuola calcio affiliata ai giallorossi. Anche a livello istituzionale, in ogni evento societario Losi ha risposto presente, troppo legato a quei colori ed alla gente che lo ha amato incondizionatamente fino all’ultimo giorno.

Per la Roma Losi è stato un grande simbolo, tanto da essere l’uomo scelto per andare a casa della famiglia di Giuliano Taccola per comunicare che lui non c’era più, ucciso da un arresto cardiaco in campo a Cagliari.

È stato uno dei pochi non romani a guadagnarsi uno dei volti della famosa coreografia dedicata a “Figli di Roma, Capitani e Bandiere” esibita dalla Curva Sud prima di un derby di gennaio 2015.

Parte della famosa coreografia del derby del 2015

 

E non può essere altrimenti per un calciatore che, prima dell’avvento di Totti, ha detenuto svariati record: con 455 presenze è terzo per numero di presenze in giallorosso, alle spalle dei soli Totti e De Rossi. In oltre 300 occasioni ha indossato la fascia di capitano, per un totale di nove stagioni con la fascia al braccio, striscia battuta solo da Totti ed eguagliata da Giuseppe Giannini.

Nel 2012, per la celebrazione degli 85 anni del club, viene istituita una Hall of Fame con gli undici calciatori ritirati, uno per ruolo, scelti dai tifosi in un ipotetico 4-3-3. Losi, ovviamente, c’è, amato e mai dimenticato dalla sua gente.

Eppure, nonostante tutto questo, la Roma è stata assente ingiustificata al funerale.

Video per l’introduzione nella Hall of Fame

 

Brutto scivolone

Come detto, il popolo giallorosso non ha mancato l’appuntamento, mostrando come sempre passione e sostegno alla causa romanista e a chi ha lottato per la maglia.

Non solo con lo striscione in Curva Sud durante il match con il Cagliari (“Nascondevi i dolori pur di giocare, 455 presenze da Core de Roma. Addio Giacomino, capitano per sempre”) ma anche durante il funerale, con striscioni, cori e quell’immagine di Losi che, dopo essere stata parte della coreografia del derby del 2015, lo ha accompagnato in quest’ultimo viaggio.

L’assenza della società ha fatto discutere e ha deluso i tifosi. E la toppa della giustificazione è sembrata peggiore del buco, con l’asserita motivazione del grande carico di lavoro in un momento di passaggio.

Successivamente sono arrivate le scuse da parte di De Rossi. Come rivelato dal figlio Roberto, l’attuale allenatore giallorosso, gli ha scritto in privato rivelando un deficit di comunicazione con la società e dichiarandosi imbarazzato, anche alla luce del rapporto di stima e affetto tra i due storici capitani. Il figlio di Losi ha mostrato grande signorilità, affermando:

Quanto al resto io non faccio nessuna polemica, è venuto chi poteva e chi se lo sentiva. E come avete scritto voi, papà avrebbe scrollato le spalle e si sarebbe fatto una risata. Per me la questione è chiusa e finisce qui.

Anche successivamente alla polemica, Roberto Losi ha glissato, pur non nascondendo un velo di amarezza.

Resta, tuttavia, una bruttissima figura da parte della società giallorossa, in un momento di rapporti tesi con i propri tifosi dopo l’allontanamento di Mourinho. Un’occasione persa per abbracciare il sentimento ed i valori che imperniano il tifo giallorosso.

 


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catenaccio

Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.