Marcel Cerdan, il simbolo delle colonie amato da Edith Piaf

Marcel Cerdan ha catalizzato l'attenzione del pubblico fino alla fine.

La boxe è tra gli sport più idonei a descrivere l’umanità. La vita di Marcel Cerdan ne è l’esempio perfetto, perché si tratta di un racconto capace di racchiuderne tanti. Una storia che unisce i successi sportivi al riscatto sociale e alla solidarietà. Ma soprattutto che parla di un amore clandestino e impossibile, che ha infuocato i rotocalchi dell’immediato dopoguerra. Intenso nel pieno del suo ardore e struggente nella tragica fine, proprio come in una canzone d’amore. Una di quelle cantate da Edith Piaf, la famosa amante di Cerdan.

Crescere tra mille culture

Rappelle-toi tes amours / Rappelle-toi puisque c’est ton tour / Y a pas de raison que tu ne pleures pas / Avec tes souvenirs sur les bras.

(Ricorda i tuoi amori / Ricorda perché è il tuo turno / Non c’è motivo per cui non puoi piangere / Con i tuoi ricordi sulle braccia.)

                                                                                                                                Edith Piaf, Padam Padam

Marcel Cerdan è il prodotto di una globalizzazione ancora ben lontana dall’essere sdoganata, un pot pourri di culture in un’epoca in cui stanno prendendo piede totalitarismi che metteranno alla gogna ciò che è diverso. Nasce infatti nel bel mezzo della Prima guerra mondiale, il 22 luglio 1916, nel quartiere soprannominato “Piccola Parigi” della città algerina di Sidi Bel Abbès. Come detto, nelle sue vene scorre sangue misto: il padre è spagnolo, un lavoratore di fatica senza fisso salario, principalmente nel campo dell’agricoltura. La madre invece è una pied-noir, appellativo dispregiativo utilizzato per identificare i cittadini nati in Algeria e nelle altre colonie ma aventi origini europee, in questo caso spagnole. Siamo in un’epoca in cui sui paesi nordafricani si allunga l’ombra della longa manus della Francia, che nel corso del conflitto attinge a piene mani dall’esercito algerino per perorare la propria causa.

Al termine della guerra, in Algeria iniziano a spirare con una forza sempre maggiore venti di indipendenza che turbano il sonno dei cittadini algerini, già precedentemente mal visti dal governo centrale francese. Per questo il padre di Marcel, Antonio Cerdán – all’epoca scritto ancora con l’accento sulla lettera “a”, retaggio della propria provenienza iberica – decide di portare la propria famiglia a Casablanca, nel più tranquillo Marocco, storicamente più accogliente nei confronti degli spagnoli. Oltre alle vicissitudini economiche, l’infanzia di Marcellin, questo il suo nome all’anagrafe, è gravata dal fatto che il padre non sia esattamente un modello educativo. La forza che lo ha spinto a intraprendere la strada del lavoro di fatica si è anche trasformata in una carriera dilettantistica nella boxe. Ma soprattutto in atteggiamenti violenti nei confronti della moglie e dei suoi quattro figli.

Su pressioni del padre e forse anche per imparare a difendersi da esso, i tre fratelli maggiori di Marcel prendono la strada del pugilato, limitandosi al dilettantismo. Marcel preferisce il calcio, inizia a praticarlo con buone prospettive ma mai in maniera esclusiva: la pressione del padre è decisiva per proseguire la tradizione di casa, che lo porta sul ring in maniera precoce, a soli 8 anni. Sarà la strada giusta, perché fin da subito si dimostra estremamente promettente: è un ragazzo buono di cuore ma quei ricordi di infanzia sulle sue braccia, come canta Edith Piaf, diventeranno un’arma quasi irresistibile, fino all’inevitabile esordio nel professionismo. Che sarà a dir poco deflagrante.

Il più grande pugile francese di sempre

Emportés par la foule qui nous traîne / Nous entraîne / Nous éloigne l’un de l’autre / Je lutte et je me débats.

(Portati dalla folla che ci trascina / Ci porta via / Ci allontana l’uno dall’altro / Combatto e lotto.)

                                                                                                                                           Edith Piaf, La Foule

L’esordio da professionista arriva il 10 novembre 1934 a Meknès, all’età di 18 anni. Marcel Cerdan è un giovane peso leggero e di fronte a lui c’è il ben più esperto Marcel Bucchianeri, divenuto professionista dodici anni prima, proprio mentre il nativo algerino si trasferiva a Casablanca. Il match vede la netta affermazione di Cerdan in sei riprese, una vittoria che ha il sapore della liberazione e della rivincita. La vita, che già era dura, ha iniziato a voltare ulteriormente le spalle al ragazzo, ormai lontano dalla sua famiglia e senza contatti con il fratello Vincent da ben otto anni. E così quella rabbia, profondamente sopita nell’animo e nei comportamenti sempre pacifici di Cerdan, si trasforma in una forza irresistibile per gli avversari sul ring: passeranno gli anni e cambieranno le categorie, dai pesi leggeri ai welter fino ai medi, ma i suoi colpi mieteranno vittime in maniera continuativa. Cerdan vince i suoi primi 44 incontri.

Una striscia devastante, con diversi risultati prestigiosi: su tutte le quattro vittorie ottenute a discapito di Omar Kouidri, il miglior peso welter francese. Tutte vittorie ai punti, l’ultima delle quali, ironicamente, è proprio la numero 44 ed è la più importante perché ottenuta nella “sua” Casablanca e con in palio il titolo francese di categoria. Il primo alloro della carriera di Cerdan gli vale il soprannome di Le Bombardier Marocain, ossia il Bombardiere Marocchino, e rappresenta anche un ideale passaggio di consegne: Kouidri non è solo il campione in carica ma anche un punto di riferimento per il movimento pugilistico e sportivo dei nordafricani di Francia. D’altronde, come visto per atleti di altri sport come Alexandre Villaplane o Ahmed Boughéra El Ouafi, la vita dei pied-noirs è difficile anche per gli sportivi più famosi e spesso prevede delle decisioni delicate, con le quali si è costretti a scegliere se vivere da reietti o da carnefici. Cerdan vuole continuare a vincere per garantirsi un futuro degno sia economicamente che a livello di immagine, per evitare le brutte strade che contraddistingueranno i suoi due connazionali sopra citati.

Vuole lottare per non essere trascinato via dalla folla, in un verso o nell’altro, proprio come canta Edith Piaf. E dopo la prima sconfitta torna a macinare successi: il 3 giugno 1939 a Milano, dopo quindici riprese serrate, una vittoria ai punti sull’italiano Saverio Turello gli vale il titolo europeo dei pesi welter. Ma sulla carriera del Bombardiere aleggiano bombe di altro genere, vere, quelle della Seconda guerra mondiale Che lo costringono a fermare momentaneamente la propria attività agonistica, salvo poi tornare in pista con rinnovato ardore ma anche con la sua consueta bontà d’animo.

Il 26 aprile l’avversario da battere si chiama Gustave Humery. Un incontro che dura pochissimo, poco più di due minuti: un gancio mancino arriva a destinazione con una forza non preventivata, Humery va a terra privo di sensi. Entra in coma e vi rimane per tre giorni: in ospedale viene vegliato da Cerdan, che fa la spola tra il nosocomio e la vicina chiesa, dove accende ceri alla Madonna pregandola di risvegliare il suo avversario. Passa meno di un mese e di fronte a lui c’è Fernand Viez, un peso welter spagnolo non all’altezza del suo livello. Una circostanza che si traduce in un massacro: una serie di colpi travolge l’avversario già al primo round. Viez si rialza dopo il conteggio ma, avvicinandosi al suo avversario, è diverso. Memore di quanto accaduto poche settimane prima, ha paura per la sua stessa vita e supplica Cerdan di non fargli del male, perché è anziano (ha 36 anni) e ha tre figli che lo aspettano a casa. Il francese non lo colpisce più, accontentandosi di una vittoria ai punti al decimo round.

In tutto questo le ostilità belliche proseguono. E quel conflitto diventerà la leva per raggiungere l’obiettivo che si era prefissato, ottenere l’amore del popolo francese. Una scintilla che scocca definitivamente il 30 settembre 1942. Siamo in piena Seconda guerra mondiale e, a seguito del secondo armistizio di Compiègne del 1940, le due forze teoricamente contrapposte – da una parte i tedeschi che hanno occupato il Paese, dall’altra la Repubblica di Vichy – decidono di collaborare per organizzare un match che avrebbe assegnato il titolo europeo dei pesi welter. Una collaborazione che, si vedrà, è solo di facciata, a partire dalla scelta della location: l’incontro viene organizzato al Velodromo d’Inverno, dove due mesi prima si è consumata la più grande deportazione di massa di ebrei su suolo francese: 8.160 persone circa furono trasferite nel Velodromo, mentre altri 5.000 finirono al campo di prigionia di Drancy, prima di essere deportate e sterminate ad Auschwitz.

Difficile immaginare una colomba di pace in un luogo che poco tempo prima è stato teatro del primo atto di tale orrore. Figuriamoci, poi, se l’avversario di Cerdan viene individuato in José Ferrer. Il pugile spagnolo arriva sul ring accompagnato da uomini dell’esercito spagnolo di Francisco Franco e sul suo accappatoio compare in bella vista una svastica. È la speranza dell’Asse, anche perché nell’ultimo match disputato il detentore della cintura di categoria ha conosciuto la seconda sconfitta in carriera. I guantoni di Cerdan contengono la rabbia e la voglia di rivalsa di un’intera nazione. Per poco, in realtà, appena un minuto e 23 secondi. Il tempo che ci vuole perché Le Bombardier Marocain mandi al tappeto ben cinque volte lo spagnolo, costringendo il suo angolo a gettare la spugna. In una manciata di secondi Marcel Cerdan si prende l’amore della nazione, che in quel teatro degli orrori trova una piccola rivincita sportiva e intona a gran voce la Marsigliese, vietata dagli occupanti tedeschi.

Anche in seguito il pugile, pur senza mai prendere posizione a livello politico, si arruola e combatte. Sulle strade imbracciando un fucile ma anche sul ring, dove continua la propria attività: mette insieme altre 38 vittorie consecutive, aggiungendo l’alloro di campione interalleato durante il conflitto. Terminato l’inferno bellico, la fame del Bombardiere non viene meno: Marcel cambia categoria e diventa un peso medio che continua a distruggere gli avversari. Come il malcapitato Jean Despaux, altra vittima della furia di Cerdan: costretto al ricovero, viene ricompensato dal vincitore con il proprio ingaggio, donato al malcapitato per pagarsi le cure ospedaliere. In breve tempo il pied-noir scala le gerarchie e lo fa disputando incontri mediamente molto brevi per manifesta superiorità, anche quando c’è la cintura in palio: vince il titolo nazionale dei pesi medi sconfiggendo in tre round Assane Douf, abbatte Ferrer nella rivincita del match del Velodromo d’Inverno, quindi si prende il titolo europeo mandando al tappeto Leon Foquet alla prima ripresa. Una progressione travolgente che spaventa i rivali continentali.

Difende la cintura due volte, sconfiggendo Giovanni Manca in due round e Jean Walzack in quattro, quindi intraprende una breve faida con il belga Cyrille Delannoit: è lui a interrompere la striscia vincente iniziata con Ferrer ben sei anni prima, prendendosi anche il titolo continentale. Lo conserverà per meno di due mesi: a Bruxelles, il 10 luglio 1948, Cerdan sconfigge ai punti il rivale, riprendendosi immediatamente l’alloro. Il cammino perentorio, anche e forse proprio a fronte della caduta da cui ha saputo immediatamente rialzarsi, attira su di lui i riflettori della boxe mondiale: un record sin lì di 107 vittorie e 3 sconfitte, l’inizio di una carriera oltreoceano e i sei anni di imbattibilità attraversando le categorie di peso sono sufficienti a garantirgli una chance da sfidante per il titolo mondiale.

Il titolo iridato e la conquista dell’America

But I miss you most of all / My darling, when autumn leaves start to fall.

(Ma tu mi manchi più di tutto / Mio caro, quando iniziano a cadere le foglie autunnali.)

                                                                                                              Edith Piaf, Autumn Leaves

Il 21 settembre 1948, a due giorni dall’equinozio d’autunno, Jersey City ospita l’evento dell’anno per la categoria dei pesi medi. Il detentore e padrone di casa Tony Zale mette in palio la cintura contro Marcel Cerdan. È un grande match, Zale – di origine polacca, vero nome Antoni Florian Zaleski – è un pugile esperto ma Cerdan è la solita furia, il suo stile aggressivo sembra fare presa sull’avversario, che presto, pur difendendosi con ordine, è alla mercè del nativo algerino. Non è facile come per le altre cinture, stiamo pur sempre parlando di un campione del mondo. I due contendenti sono estremamente carichi e combattivi, tanto che l’arbitro Paul Cavalier fatica a sedarne le energie, che mandano in visibilio i quasi ventimila spettatori del Roosevelt Stadium. Il numero dei colpi andati a segno da parte di Zale, in realtà, è maggiore rispetto a quelli contati a Cerdan, che però ha una potenza difficile da contenere, tanto che all’undicesima ripresa, un gancio mancino riduce l’avversario in ginocchio. Zale arriva a fatica all’angolo e, dopo aver conferito con l’arbitro, è costretto a cedere: Cerdan conquista l’America e si assicura il titolo iridato. Lui che era già stato un simbolo in due diversi continenti, trova la definitiva gloria in America, nella patria della boxe. In Francia è notte ma la gente scende per strada a festeggiare un pied-noir che ha unito un popolo e si è guadagnato la prima pagina dei quotidiani nazionali.

Quel giorno è l’alba di un nuovo inizio, perché Marcel ritrova parte della sua famiglia. Nel pubblico c’è un volto conosciuto, ancorché segnato dal tempo rispetto all’ultima volta che lo sguardo del neo-campione l’aveva incrociato. È quello di Vincent, uno dei suoi fratelli. Non si vedono da 22 anni, da quando Marcel aveva solo 10 anni. Ora il bambino ha lasciato spazio all’uomo, che ha conquistato grandi traguardi, ha conosciuto l’amore, è padre di tre figli. Già, l’amore: un tema fondamentale nella storia di Cerdan, su cui dovremo necessariamente tornare. Ma ora è il momento della gioia e della festa.

Le Bombardier Marocain è campione del mondo e resterà tale per quasi un anno, fin quando il 16 giugno 1949 incontra Jake LaMotta, il Toro del Bronx, un fenomeno generazionale che Scorsese e De Niro racconteranno sul grande schermo nel film Toro Scatenato. Poco male, c’è sempre una rivincita. Ma in quel giorno di settembre del 1948, quando la gloria è arrivata all’apice, la vita di Cerdan viene scombussolata come non mai: gli impegni pugilistici diventano costanti e con loro anche la presenza intercontinentale. Che non ha solo ragioni sportive, è legata a quell’amore che travolge Cerdan e mette a dura prova la sua famiglia. Perché, come canta Edith Piaf, è proprio quando iniziano a cadere le foglie autunnali che si sente la mancanza del proprio amato.

Gli highlights del match che ha portato Marcel Cerdan sul tetto del mondo

Edith Piaf, l’amore impossibile di Marcel Cerdan

C’est lui pour moi. Moi pour lui / Dans la vie / Il me l’a dit, l’a jure pour la vie.

(Lui per me, ed io per lui/ Nella vita / Me l’ha detto, me l’ha giurato per la vita.)

                                                                                                  Edith Piaf, La Vie en Rose

Marcel Cerdan ha tanti pregi ma, decisamente, non è un uomo perfetto. Ha una moglie e tre figli, che vivono a Casablanca dove Marinette, la sua consorte, gestisce una brasserie. Ma non ha problemi a portare avanti una relazione clandestina. Non è il classico campione donnaiolo che salta da un letto all’altro: la sua è una sola relazione extraconiugale. Per amore, ma di un’altra donna. Si dà il caso, però, che quella relazione sia alla mercé di stampa scandalistica e paparazzi, perché la donna in questione è Edith Piaf, la più famosa cantante francese.

I due hanno qualcosa in comune, sebbene con intenti diversi: entrambi sono diventati simboli della Resistenza durante il conflitto mondiale. Se Cerdan lo ha fatto semplicemente facendo il proprio lavoro, senza mai prendere realmente posizione ma solo sconfiggendo Ferrer in un duello propagandistico, Edith Piaf lo ha fatto con convinzione, cercando di aiutare attivamente i propri connazionali. Durante la Seconda guerra mondiale, infatti, ha continuato a cantare ma con un secondo fine: fingendosi dalla parte dei nazisti, si faceva immortalare con i suoi fan connazionali con foto che riutilizzava per produrre documenti falsi e facilitarne la fuga dai campi di concentramento.

Edith e Marcel sono un po’ come il giorno e la notte e al tempo stesso, se è vero che gli opposti si attraggono, un connubio perfetto. La raffinata cantante ha avuto molti amori, tutti legati al mondo della musica, mentre il pugile, sicuramente meno elegante nei modi e negli ambienti frequentati sin dalla nascita, si è legato a una sola partner per la vita. Eppure nel 1947 scoppia la passione. Sono diversi ma iniziano a frequentare ambienti simili in quanto entrambi al top nel loro settore. Si sono incontrati diverse volte ma una sera, a New York, si ritrovano nello stesso locale: Edith ha appena terminato un concerto, Marcel un match al Madison Square Garden. Decidono di mangiare assieme ma la Piaf chiede a Cerdan di spostarsi in un altro ristorante, più lussuoso e adeguato al suo stile di vita. Risolutezza e seduzione fanno cadere ai suoi piedi Le Bombardier Marocain.

Il tempo passa, i due si frequentano sempre più spesso e in Francia si inizia a diffondere la notizia, sempre rimbalzata dai due protagonisti come “una forte amicizia”, come ribadito dalla cantautrice durante una conferenza stampa tenuta nella sua abitazione per mettere in scena la smentita e spegnere le fiamme del gossip. In realtà ogni occasione concessa dai numerosi impegni è buona per vedersi: Cerdan è una presenza fissa ai concerti della Piaf, che per tutta risposta assiste assiduamente alle sfide sul ring del pugile. Nel 1948 vengono immortalati mentre escono insieme da un aereo sulla tratta New York-Parigi, circostanza che rende praticamente ufficiale la loro relazione.

Come detto, Cerdan non è un uomo perfetto. Anzi, in questo caso rappresenta il classico cliché dell’uomo fedifrago: quando vede le foto, la moglie minaccia di lasciarlo ma lui la rassicura, dicendo che mai abbandonerebbe lei e i figli. Al tempo stesso, tuttavia, giura amore per la vita a Edith Piaf. È una relazione impossibile, proprio per la presenza della famiglia di lui: la cantante lo sa, è molto più realista del suo amato, non crede alle promesse di amore eterno. Ma accetta di vivere questa relazione finché dura, tra la luce dei riflettori e l’ombra del segreto, addirittura condividendo gli alloggi durante i viaggi negli Stati Uniti.

Come in quella sera del 21 settembre, quando accoglie Marcel Cerdan nella strada tra l’ascensore e la porta del loro appartamento con un tappeto di rose, simbolo legato alla cantante, ormai celebre per La Vie en Rose: la sera prima aveva percepito nell’aria l’odore di questo fiore e, da devota a Santa Teresa, aveva interpretato il segno come un suo presagio della vittoria di Cerdan su Zale.

La relazione tra i due prosegue tra gli impegni professionali e familiari. La carriera della Piaf, ormai decollata definitivamente negli Stati Uniti, spinge i due ad alternare la fitta corrispondenza durante i periodi di lontananza ai momenti di grande ardore in presenza. Appena può, Cerdan sale su un volo intercontinentale per raggiungere la cantante, accampando scuse legate alla carriera sportiva per non far insospettire la moglie. Un’altra grande occasione per stare insieme arriva dopo la sconfitta contro Jake LaMotta: il contratto prevede una chance di rivincita, che viene fissata per il 2 dicembre 1949. Preparare l’incontro diventa la scusa per volare negli Stati Uniti prima del tempo. E così il 27 ottobre, oltre un mese prima dello storico appuntamento, il Bombardiere decide di partire. Ancora non sa che quel volo sarà l’ultimo.

La tragica fine

Si un jour, la vie t’arrache à moi / Si tu meurs, que tu sois loin de moi / Peu m′importe si tu m′aimes / Car moi je mourrais aussi.

(Se un giorno, la vita ti porta via da me / Se muori, mentre sei lontano da me / Poco importa se tu mi ami / Perché anche io morirei.)

                                                                                                                           Edith Piaf, Hymne à l’Amour

Una sfida come quella contro Jake LaMotta richiede particolare concentrazione, non solo per il valore dell’avversario. Quell’incontro in cui ha perso la cintura proprio non va giù a Cerdan: in primo luogo, uno strappo alla spalla rimediato già alla prima ripresa ne ha limitato i movimenti, impedendogli di mettere in mostra la sua boxe. Ma è soprattutto la vigilia ad averlo agitato: Jake LaMotta si ritrova a incarnare gli stereotipi ben noti sugli italo-americani dell’epoca, dal momento che ha delle frequentazioni – forse è più corretto dire amicizie – con esponenti della mafia locale appartenenti al clan di Frankie Carbo. Il giorno prima dell’incontro, due uomini del clan avvicinano Cerdan offrendogli 400.000 dollari per finire giù senza troppi patemi. Una cifra spropositata per l’epoca. Roba di scommesse ma contro i principi sportivi di Cerdan che rifiuta, combattendo lealmente ma andando al tappeto per i già menzionati problemi fisici. C’è voglia di rivincita per battere un grande avversario ma anche i suoi poco raccomandabili sodali.

Tuttavia quella partenza anticipata viene messa in discussione dal manager del pugile, Joe Longman, che gli chiede perché mai muoversi con tale anticipo. “Lo faccio per lei” risponde Cerdan, ovviamente riferendosi a Edith Piaf. Quando l’aereo decolla dall’aeroporto di Orly, l’artista è pronta a salire sul palco per uno dei suoi numerosi concerti americani. Cerdan è in compagnia di poche ma selezionate persone, tra cui alcuni artisti e il direttore commerciale della Disney: in tutto 48 passeggeri e undici membri dell’equipaggio che partono in direzione New York, con uno scalo previsto all’Aeroporto Vila do Porto sulle Isole Azzorre. Nessuno di loro arriverà mai in America.

Quando l’aereo è già in fase di atterraggio, in condizioni di volo a vista, il comandante Jean de La Noüe riferisce alla torre di controllo le proprie coordinate, asserendo di aver identificato l’aeroporto. Non è così: quando si rende conto di aver sbagliato, il pilota tenta un atterraggio di emergenza che non riesce. L’aereo Constellation di Air France, lo stesso immortalato assieme agli amanti nella foto che ha destato scandalo e ufficializzato la loro relazione, si schianta su un fianco del Pico Redondo. Nessun superstite.

Quando la notizia arriva a Edith Piaf, lei è già sul palco in quel di New York. Travolta dal dolore, decide di continuare tra le lacrime per rispetto dei paganti, chiudendo il concerto con una canzone dedicata a Marcel Cerdan, Hymne à l’Amour. ”Se un giorno, la vita ti porta via da me / Se muori, mentre sei lontano da me / Poco importa se tu mi ami / Perché anche io morirei”, un triste presagio e anche una mezza verità. Perché la vita di Edith Piaf continuerà ma non sarà più la stessa. Si sposerà, è vero, addirittura tre volte. Ma una forte depressione la colpisce in occasione della morte dell’amato, portandola ad uno smodato uso di medicinali che ne comprometteranno il fegato fino a causarne la scomparsa nel 1963, a soli 48 anni.

Di Cerdan rimangono uno score di 111 vittorie e 4 sconfitte, i successi e il ricordo, dipinto proprio da Jake LaMotta come un grande atleta e un grande uomo. E soprattutto la figura del simbolo capace di unire la Francia e le colonie, di dare un motivo d’orgoglio a tutti i pied-noirs e di rappresentare un fuoriclasse senza uguali nel mondo del pugilato.

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