Villaplane, il capitano della Francia diventato aguzzino nazista

Villaplane - Puntero

Guardatela bene, questa foto. È stata scattata pochi secondi prima del calcio d’inizio della partita inaugurale dei campionati mondiali di calcio del 1930, i primi della storia. Alle ore 15:00 del 13 luglio si affrontano all’Estadio Pocitos Francia e Messico, mentre in contemporanea si gioca Stati Uniti-Belgio al Gran Parque Central – sempre a Montevideo, perché tutto il primo Mondiale si giocherà nella stessa città. Altri tempi.

E che siano altri tempi lo si capisce anche solo tornando alla nostra foto: i giocatori, con le loro capigliature impomatate secondo la moda del tempo, indossano camicie azzurre sotto le divise bianche in flanella. È inverno in Uruguay, quel giorno addirittura nevica e se allargassimo il campo dell’inquadratura noteremmo tremila spettatori infreddoliti sugli spalti. Questi undici ragazzi francesi non sanno che stanno scrivendo una pagina indelebile di sport e che in qualche maniera passeranno alla storia. Tra tutti, più di tutti, nella storia ci entreranno in due: Lucien Laurent, autore del primo gol assoluto di questa manifestazione, e Alexandre Villaplane, capitano e leader indiscusso di quella squadra. Laurent morirà nel 2005 a novantasette anni, mentre Villaplane lo farà appena a quaranta nel 1944, non prima di assurgere agli annali una seconda volta per motivi lontani dal calcio.

 

Parte prima – Origini e ascesa

Le indicazioni biografiche su Villaplane sono frammentarie, a tratti anche contraddittorie. Ma grazie al monumentale lavoro del magistrato Luc Briand (che su Alexandre ha scritto un libro, Le Brassard) siamo riusciti a ristabilire una cronologia attendibile. Alexandre Villaplane nasce a Constantine, in Algeria, il 24 dicembre 1904. L’Algeria è ancora a tutti gli effetti un possedimento francese e, così come sul suolo della madrepatria, anche nelle colonie il calcio si sta diffondendo in maniera significativa. Nel 1916 la famiglia Villaplane si trasferisce ad Algeri ed è qui, a 12 anni, che Alexandre – per tutti Alex – comincia a tirare i primi calci a un pallone. I genitori lo iscrivono nel vivaio del Gallia Sports, squadra simbolo dell’occupazione francese (sarà infatti sciolta nel 1962, poco dopo la proclamazione dell’indipendenza algerina). Il ragazzino mostra subito l’indole del combattente: è piccolo di altezza ma ha tanta forza nelle gambe, dispone di una grande elevazione ed è un leader nato. Diventa naturale affidargli le chiavi del centrocampo, dove assume il nevralgico ruolo di mediano. A 14 anni gioca già con i grandi, a 17 lascia l’Algeria per stabilirsi a Sète, in Occitania, dagli zii paterni.

Entra subito nella squadra della città, che negli anni ’20 e ’30 è una delle migliori di Francia, e nel 1922-23 si divide tra le partite del club e quelle della rappresentativa militare, dal momento che deve assolvere gli obblighi di leva. A maggio del 1923 “gioca” la sua prima finale di Coppa di Francia e la perde: i biancoverdi nulla possono contro lo strapotere dei parigini del Red Star, che vincono 4-2. In realtà Villaplane guarda il match dalla panchina, pronto a esplodere nella stagione seguente dove è titolare e arriva nuovamente in finale, perdendo stavolta 3-1 contro l’Olympique Marsiglia. Alex è un atleta di grande personalità, grintoso ma non rude. Ha un’eccellente facilità di calcio che, abbinata ad una visione di gioco straordinaria, gli consente di sfornare assist in grande quantità. È alto solo 1,66 m per 73 kg di peso ma nonostante questa conformazione fisica eccelle nel gioco aereo (siamo in un’epoca in cui un fuoriclasse come Meazza evita dichiaratamente di colpire il pallone di testa per non spettinarsi).

Queste doti gli valgono la prima convocazione in Nazionale, l’11 aprile del 1926. La Francia vince 4-3 contro il Belgio e Villaplane è orgogliosamente il primo nativo nordafricano a vestire la maglia dei Bleus. Resterà a Sète ancora un anno, prima di venire conteso da tutti i principali club francesi. Nell’estate del 1927 se lo aggiudicano i rivali storici dello Stade Nimois, probabilmente dietro pagamento di una cospicua somma sottobanco. All’epoca il calcio in Francia è ancora uno sport dilettantistico e i compensi non sono ammessi, per cui generalmente i proprietari dei club offrono ai calciatori dei lavori (spesso di facciata) attraverso i quali retribuire anche la loro attività sportiva: è quello che Oltralpe chiamano, con un termine parecchio colorito, amateurisme marron. A Nîmes Villaplane trascorre due stagioni, disputando anche le Olimpiadi del 1928, prima del grande salto nella capitale: nell’estate del 1929 si trasferisce infatti al Racing Club de France, squadra destinata a dominare il calcio francese negli anni Trenta. Pur di aggiudicarselo l’RC mette sul piatto un ingaggio esorbitante e il “caso Villaplane” sarà uno degli episodi fondamentali che porteranno all’introduzione del professionismo nel 1932.

Villaplane - Puntero

Villaplane (ultimo in alto a destra) ai tempi del Nîmes

 

Parte seconda – 1929/30, la stagione d’oro

L’approdo in biancoceleste certifica definitivamente la notorietà di Villaplane, data la grande visibilità del club. L’impatto con la Ville Lumière però risulta devastante per Alex. Da anni spende più o meno tutto quello che guadagna in scommesse sui cavalli, mentre a Parigi dà sfogo anche ad altre passioni mondane: automobili, champagne, gioco d’azzardo e, come da copione, non mancano neppure le frequentazioni con il gentil sesso. Bella vita, bische, bordelli sono le “tre B” che caratterizzano l’epopea parigina di Villaplane e ne determineranno poi un precoce declino.

Comunque sul campo, almeno in una fase iniziale, le cose vanno alla grande ed è così che l’algerino si guadagna la fascia di capitano (indossata per la prima volta il 23 febbraio 1930 nell’amichevole contro il Portogallo) e il diritto di guidare la spedizione transalpina ai Mondiali. Vale la pena ricordare il clima pioneristico di quella competizione, raccontando un dettaglio che oggi sa inevitabilmente di antico. La Nazionale francese, entourage incluso, parte da Villefranche-sur-Mer il 21 giugno a bordo del transatlantico Conte Verde. Al porto si presentano anche le altre tre nazionali europee partecipanti (Jugoslavia, Belgio e Romania) allo scopo di condividere le spese di viaggio e a Rio de Janeiro il gruppo raccoglie anche la Nazionale brasiliana, che preferisce affrontare in nave la relativamente breve trasferta in Uruguay. La comitiva arriva a Montevideo il 4 luglio, poco più di una settimana prima del calcio d’inizio e la Francia, come raccontavamo in apertura, ha l’onore di aprire la kermesse iridata.

Stavamo affrontando il Messico e nevicava, dato che nell’emisfero meridionale era inverno. Uno dei miei compagni crossò il pallone e io ne seguii con attenzione il movimento, colpendolo al volo di destro. Fummo tutti contenti, ma non esultammo, nessuno comprese che eravamo passati alla storia. Una veloce stretta di mano e proseguimmo l’incontro. (L. Laurent)

Questo il racconto della mezzala del Sochaux sulla sua marcatura, avvenuta al minuto 19. Poco dopo, al 26’, il portiere Thépot si infortuna e la Francia rimane in dieci, dato che le sostituzioni all’epoca non erano consentite; tuttavia i transalpini passano ancora con Langiller e Maschinot in chiusura di primo tempo. Nella seconda frazione i messicani assediano l’area dei galletti e accorciano al 70’ con Carreño ma la Francia tiene e nel finale Maschinot raddoppia il suo bottino personale chiudendo l’incontro sul 4-1. Villaplane in campo è protagonista con due assist e a fine partita, esausto, confida ai giornalisti che quel pomeriggio è il più bello della sua vita: è qui che, idealmente, fissa l’apice della carriera.

Due giorni dopo la Francia è nuovamente in campo contro i favoriti dell’Argentina, che invece sono all’esordio: è un incontro agonisticamente durissimo e Laurent, dopo un fallaccio di Luis Monti (che poi si trasferirà alla Juventus, verrà naturalizzato e sarà campione con l’Italia nel 1934) resta in campo zoppo per tutto il resto della partita. Proprio Monti, dopo la spada, sfodera il fioretto e decide la partita all’81′ con uno splendido calcio di punizione dai 25 metri. La partita nel finale è caratterizzata da un episodio controverso: l’arbitro brasiliano Almeida Rêgo fischia la fine con sei minuti di anticipo, proprio mentre Langiller è solo davanti alla porta. Solamente un’invasione di campo e le vibranti proteste di pubblico neutrale e dirigenti francesi convincono il direttore di gara a far giocare i sei minuti rimanenti, nei quali il punteggio resta comunque inchiodato sull’1-0 per i sudamericani. Col morale e il fisico a terra, i francesi si arrendono 1-0 anche al Cile, venendo così eliminati al primo turno. Per Villaplane è la venticinquesima partita coi Bleus, ma nessuno può immaginarsi che sarà anche l’ultima. Del resto il campione algerino ha solo 26 anni ed è nel pieno della sua carriera.

Villaplane - Puntero

Foto di gruppo della Nazionale francese sulla nave che li avrebbe portati al Mondiale

 

Parte terza – Tramonto e caduta

Dopo la sfortunata spedizione mondiale, Villaplane torna a Parigi, se possibile intensificando quella routine giornaliera che lo vede passare senza soluzione di continuità dagli ippodromi ai bistrot, dai club notturni ai bassifondi, dove finisce per entrare in contatto con elementi di spicco della malavita locale. Sul campo resta un giocatore di primo piano ma le voci sulla sua vita privata si rincorrono e finiscono per precludergli le porte della Nazionale (senza troppi complimenti, il capitano viene additato dai giornali come uno dei principali colpevoli della débâcle mondiale). Nel 1932, come anticipavamo, la Francia istituisce il professionismo e per l’occasione l’Antibes, piccolo e ambizioso club della Costa Azzurra, stanzia ingenti risorse economiche per assicurarsi le prestazioni di Villaplane, non curandosi della fama inquietante che iniziava ad accompagnarlo. Alex è sensibile al denaro e accetta l’offerta sicuramente per motivi di opportunità, forse anche con la speranza di trovare una certa serenità tornando al sud.

Il campionato è formato da 20 squadre suddivise in due gironi, le vincenti dei quali si incontreranno poi per la finalissima che assegnerà il titolo. L’Antibes nel suo girone lotta punto a punto contro il Cannes e il calendario propone lo scontro diretto tra le due contendenti proprio all’ultima giornata: sul campo gli azzurri guidati da Villaplane vincono 1-0 e si qualificano per la finale ma per Alex non c’è nemmeno il tempo di gioire. Viene infatti a galla, nei giorni seguenti alla partita, un tentativo di corruzione effettuato da tesserati dell’Antibes durante la stagione (nello specifico si tratta della gara contro il Fives di Lille). In finale così va il Cannes, mentre l’algerino deve lasciare precipitosamente la città con l’accusa di essere stato la mente della combine.

Villaplane si sposta così a Nizza, dove trova ancora un’ottima offerta economica da parte dell’OGC. Il calcio però comincia a scalare in fondo alle priorità di Alex, che ha soprattutto bisogno di soldi per poter mantenere il dispendioso stile di vita a cui si era abituato negli anni parigini: è così che il rendimento in  campo cala vistosamente, mentre aumentano le brutte compagnie di cui il calciatore si circonda nel privato. Dopo due anni anonimi a Nizza, ecco la mano tesa del suo ex allenatore Victor Gibson, che lo aveva scoperto e lanciato ai tempi di Sète. Il tecnico scozzese ha appena assunto la guida dell’Hispano-Bastidienne di Bordeaux, formazione di serie B con ambizioni di promozione, e vuole mettere al centro della squadra il suo vecchio pupillo. Ma Villaplane a trent’anni è già un ex calciatore: salta sistematicamente gli allenamenti, si trascina lentamente in campo la domenica e trascorre tutte le sere all’ippodromo, nel vano tentativo di rincorrere la fortuna. È qui che lo arrestano nel novembre del 1934, in seguito alla scoperta di un giro di corse truccate delle quali è l’organizzatore. Contratto rescisso, processo immediato, a febbraio 1935 per Villaplane si aprono le porte del carcere per sei mesi. Non sarà l’ultima volta, la carriera sportiva è ormai un ricordo lontano.

Villaplane - Puntero

Una delle tante foto segnaletiche che immortaleranno l’ex capitano della Nazionale transalpina

 

Parte quarta – Discesa agli inferi

Dopo essersi di fatto ritirato dall’attività sportiva e aver scontato la propria pena, Alex fa ritorno a Parigi, dove si unisce gradualmente alla criminalità organizzata con la quale aveva già stretto rapporti ai tempi del Racing. Truffa, banditismo, ricettazione, contrabbando sono i capi d’accusa che lo portano a soggiornare più volte nelle anguste stanze della Maison d’arrêt de la Santé, il carcere di Montparnasse.

Nel frattempo è iniziata la guerra e Parigi è il teatro ideale per le scorribande di malviventi e sciacalli di vario genere, foraggiati dai tedeschi ormai alle porte della città. A inizio 1940 Villaplane è ancora dietro le sbarre per ricettazione ed è qui che incontra Henry Chamberlin (noto come Lafont) e Pierre Bonny. Non sono due delinquenti qualunque: Lafont è un ladro e truffatore reinventatosi concessionario d’auto ma soprattutto uno dei primi collaborazionisti al soldo dei tedeschi, mentre Bonny è un brillante ex ispettore di polizia finito dentro per corruzione. I tre stringono amicizia ed è qui che nasce la famigerata banda della Carlingue, guidata proprio da Lafont e Bonny. Lafont ha da mesi solidi contatti con i nazisti, che durante l’occupazione della Francia necessitavano del supporto della criminalità per assicurarsi le risorse provenienti dal mercato nero. Spinto forse più dall’avidità che da questioni ideologiche, Lafont propone sé e la neonata organizzazione anche per attività di delazione e squadrismo, profumatamente remunerate dai tedeschi. Bonny, forte della propria esperienza nella polizia, è la mente organizzativa del gruppo mentre Villaplane è uno dei membri più in vista insieme a criminali esperti come Pierrot Le Fou, al secolo Pierre Loutrel.

Proprio nei giorni in cui Villaplane aderisce alla Carlingue, per un curioso gioco del destino, l’ex compagno di Nazionale Lucien Laurent viene catturato al fronte dai tedeschi e deportato in Sassonia, dove trascorrerà tre anni e mezzo in un campo di lavoro prima di essere rilasciato per motivi medici. Il primo marcatore dei Mondiali e il suo vecchio capitano occupano i lati opposti della barricata, in una Francia dilaniata dal conflitto. Nel frattempo il punto di ritrovo della Carlingue, al numero 93 di rue de Lauriston, diviene tristemente noto per la ferocia delle torture che prendono luogo nell’edificio. Sono tante, perché alla Carlingue aderiscono circa 30.000 persone tra le quali anche personaggi inquietanti come il medico e serial killer Marcel Petiot, delle cui nefandezze preferiamo non parlare in questa sede (numerose testimonianze sono comunque facilmente reperibili ancora oggi).

In questi anni Villaplane continua a entrare e uscire dal carcere per furto, venendo rilasciato senza difficoltà per intercessione di Lafont, che nel frattempo ha assunto la guida della Gestapo francese. Sempre Lafont nel 1944 crea la LNA (Légion Nord-Africaine), un’organizzazione paramilitare a supporto dell’esercito nazista, insieme al nazionalista algerino Mohamed el-Maadi. La legione comprende 300 membri, organizzati in cinque sezioni dirette da altrettanti sottotenenti. Uno di loro è proprio Alexandre Villaplane, che viene ribattezzato “SS Mohamed” e che continua a comportarsi come faceva in campo: non si limita a dare ordini, è il primo a dare il “buon esempio. A Mussidan, l’11 giugno del 1944, guida un’azione di rappresaglia nei confronti della popolazione locale e uccide personalmente i primi undici partigiani (a fine serata saranno 47, tra loro anche donne e bambini, che si aggiungono al conto di oltre 115 deportati). È l’ultima operazione paramilitare della quale abbiamo traccia, anche perché di lì a poco Villaplane intuisce che le sorti della guerra stanno per sorridere al nemico. Così tenta una giocata disperata: convertire la sua Brigade alla protezione di ebrei e partigiani, per cercare di ripulire una reputazione ormai nerissima e salvarsi da un destino segnato. Le vittime però hanno buona memoria e non aiuta il fatto che Villaplane offra protezione in cambio di ingenti somme di denaro: ad agosto arriva, inevitabile, l’arresto da parte degli alleati e il processo si tiene a Parigi nei primi giorni di dicembre del 1944.

“Saccheggiavano, stupravano, rubavano, uccidevano ed erano in combutta con i tedeschi, con i quali compivano oltraggi ancora peggiori ed esecuzioni tra le più crudeli.
Hanno lasciato fuoco e rovine sulla propria scia.
Un testimone ci ha raccontato di come abbia visto con i suoi occhi questi mercenari prendere gioielli dai corpi delle loro vittime, coperte di sangue e che ancora si contorcevano.
Villaplane era nel mezzo di tutto ciò, calmo e sorridente. Gioioso, quasi rinvigorito dall’azione”
(dichiarazione della pubblica accusa durante il processo)

Villaplane si proclama innocente per i reati di omicidio e dichiara di aver salvato decine di ebrei nel 1944, una volta pentitosi della collaborazione con i tedeschi. Credergli è impossibile, così il verdetto è fulmineo come si addice di norma a un tribunale di guerra: l’esecuzione viene celebrata la notte di Santo Stefano, per lui come per Lafont, Bonny e tutti gli alti gradi organizzativi della Carlingue. Alex muore sotto una selva di proiettili di piombo, trovando la definitiva chiusura di una spirale che lo aveva portato a percorrere sentieri ben più tetri del semplice vizio, dilapidando vita, carriera e talento sull’altare dei soldi facili.

Il suo vecchio amico Lucien, dopo la prigionia, tornò invece al lavoro di operaio in Peugeot e anche al calcio giocato, diventando allenatore-giocatore del Besançon e appendendo definitivamente gli scarpini al chiodo nel 1946, a trentanove anni. Gli abitanti della città raccontano che abbia giocato una partita ogni settimana fino addirittura al 1993, calcandone ottantaseienne i campetti insieme ad ex professionisti e giovani promesse locali. Due compagni di squadra, due destini incrociati, scelte e destini ben diversi. Per noi uomini non è sempre scontato distinguere bene e male, giusto e sbagliato, ma la Storia alla fine ci vede sempre benissimo.

“È una storia da dimenticareÈ una storia da non raccontareÈ una storia un po’ complicataÈ una storia sbagliataCominciò con la luna sul postoE finì con un fiume di inchiostroÈ una storia un poco scontataÈ una storia sbagliata”

     (F. De Andrè, “Una storia sbagliata”)

Villaplane - Puntero

Tra Lafont e Bonny, Villaplane si mette le mani tra i capelli per la  disperazione al momento del verdetto di condanna a morte

 


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catenaccio

Di Roberto Murgia

Volevo essere un artista, sono finito a fare il direttore del personale in azienda. Vivo in città e sogno il mare, mi consolo esportando sardità sul Continente. Sanguino nerazzurro ma conosco molte altre pratiche sportive autolesionistiche.