L’avvio del campionato di Serie A 2025-26 ha evidenziato i problemi offensivi della Juventus di Igor Tudor, mettendola di fronte a una difficoltà che in estate sembrava impensabile: un attacco sterile nonostante la presenza di giocatori di primissimo livello. Il trio formato da Dušan Vlahović, Loïs Openda e Jonathan David rappresenta sulla carta un arsenale tra i più completi del campionato. Eppure, in questo avvio di stagione, il potenziale si è trasformato in confusione: sovrapposizioni tattiche, rotazioni continue e gerarchie ancora incerte.
Il risultato è un avvio stentato, più opaco delle attese. E un tecnico alle prese con un rompicapo di gestione che rischia di condizionare l’intera annata.
Vlahović, Openda e David: l’abbondanza che crea disequilibrio
L’estate bianconera è stata chiara nei segnali di mercato: la Juventus voleva cambiare passo. Dopo anni in cui le sorti realizzative erano quasi interamente sulle spalle di Vlahović, il cui contratto è in scadenza nel giugno 2026 e che non è ancora stato rinnovato, la dirigenza ha deciso di affiancargli due profili diversi ma complementari. Jonathan David, proveniente dal Lille, rappresenta l’attaccante moderno per eccellenza: rapido, intelligente tatticamente, abile nel legare il gioco. Loïs Openda, reduce da ottimi campionati al Lipsia, invece è il prototipo del contropiedista puro, capace di attaccare la profondità con ferocia e di capitalizzare ogni pallone lanciato oltre la linea difensiva.
Ai due nuovi arrivi si unisce appunto Vlahović, l’uomo simbolo del reparto avanzato della società torinese nelle ultime stagioni: potenza, presenza fisica e quel fiuto da bomber che, quando è in fiducia, lo rende uno dei migliori in Europa. Il nodo nasce proprio dall’abbondanza: Tudor si ritrova con tre punte centrali, ognuna convinta di meritare la titolarità, ma con caratteristiche che non si incastrano facilmente tra loro. Il 3-4-2-1 dell’allenatore croato, infatti, prevede un solo centravanti puro, supportato da due trequartisti o seconde punte. Inserire più di un “numero nove” rischia di rompere gli equilibri offensivi e difensivi.
Di conseguenza, l’allenatore è costretto a scegliere: Vlahović o Openda? David da solo, o in coppia con uno degli altri due? Le risposte, almeno finora, non hanno prodotto risultati convincenti.
Il dilemma Tudor: rotazione o gerarchia?
La gestione di Vlahović, Openda e David è diventata il tema caldo delle ultime settimane. Il tecnico si è presentato ai nastri di partenza alternando il serbo e il canadese, con Openda in organico solo a fine mercato. Poi, dopo le prime difficoltà, ha tentato la coesistenza tra David e Openda, con Vlahović a riposo. Risultato: la squadra è apparsa più mobile, ma meno presente in area e meno incisiva nei duelli aerei.
Il vero guaio è che nessuno dei tre sembra in fiducia. Openda non ha ancora trovato la via del gol, mentre David alterna buone prestazioni a partite incolori ed errori marchiani. Vlahović, pur restando il capocannoniere, dà spesso la sensazione di essere isolato o frustrato dal poco supporto. Le statistiche delle prime sei giornate sono impietose: la Juventus non ha migliorato lo score registrato, a parità di partite, nel campionato 2024-25 (anzi, ha segnato un rete in meno), pur avendo un reparto avanzato sulla carta superiore. Un paradosso che riflette bene la difficoltà di Tudor nel definire le gerarchie.
2025-26: un avvio pieno di ostacoli (e poche certezze)
Partiamo con un dato oggettivo: il calendario non ha aiutato. Nelle prime sei giornate, i bianconeri hanno affrontato Inter, Atalanta e Milan, tre delle candidate ai primissimi posti della classifica, da cui è uscita comunque con 5 punti. Il bilancio, ad oggi, parla di due vittorie, due pareggi e due sconfitte, con uno score modesto: appena nove gol realizzati – quattro dei quali nella rocambolesca sfida contro l’Inter – e cinque subiti.
Una media adeguata a chi punta all’Europa, non allo scudetto. Eppure, al di là dei numeri, ciò che preoccupa maggiormente è la mancanza di identità offensiva. La formazione bianconera alterna momenti di pressing alto e riaggressione a fasi in cui, in fase di possesso, sembra non sapere come sviluppare l’azione. Gli avanti si muovono spesso in modo disordinato: mentre Openda attacca la profondità quando il pallone non arriva, David si abbassa per costruire ma lascia vuoto il centro dell’area per centrocampisti che non si inseriscono. Vlahović, se isolato, finisce per ricevere palloni sporchi o giocare spalle alla porta, finendo per uscire dalla partita. Un problema annoso e già evidente in passato.
Insomma, una squadra ancora sospesa tra le idee e una fisionomia di gioco che ne è ancora distante.
Il confronto con il 2024-25: due partenze, due mondi opposti
Per capire meglio la portata del problema, basta guardare indietro. Nelle prime sei giornate del campionato 2024-25, la Juventus (allora ancora sotto la gestione Motta prima del cambio tecnico a primavera) aveva ottenuto tre vittorie, tre pareggi e nessuna sconfitta, segnando dieci volte. Nonostante un calcio “nuovo” rispetto agli anni sotto la guida di Max Allegri, i risultati erano arrivati soprattutto grazie alla solidità e alla compattezza tattica oltre alla capacità di accompagnare con più uomini l’azione e rendere Vlahović il vero terminale.
Vlahović era l’unico riferimento, Nico González, Conceiçao e Yıldız si alternavano a Mbangula e perfino Cambiaso come esterni nel 4-2-3-1 del tecnico italo-brasiliano, garantendo ampiezza sulle corsie esterne. Nel ruolo di trequartista, Koopmeiners era il raccordo tattico tra il centrocampo e il reparto avanzato. La fase offensiva era forse più prevedibile, nonostante alcune intuizioni eccentriche del tecnico, ma proficua.
Oggi la Juventus sembra più ricca di talento, ma meno connessa. La manovra è forse meno fluida e mancano gli automatismi tanto cari a Motta. Le rotazioni di Tudor — pensate per coinvolgere tutti e tre i centravanti in rosa — hanno finito per togliere continuità a ciascun giocatore. Il paragone con il 2024-25 è quindi impietoso: più soluzioni, ma meno gol, il talento ha ceduto il passo alla carenza di efficacia. In sostanza, i bianconeri hanno più opzioni, ma meno certezze.
Dušan Vlahović: il peso dell’eredità
Per Dušan Vlahović, questa prima parte di stagione rappresenta un banco di prova psicologico. Abituato a essere il fulcro dell’attacco, oggi si trova a dover giustificare ogni prestazione per “meritarsi” i 12 milioni di ingaggio che incasserà in questo ultimo anno. È evidente che la situazione contrattuale influenzi, e non poco, sia le sue prestazioni sia la gestione da parte dell’allenatore. In particolare, il fatto di aver tentato di inserirlo in ogni trattativa possibile durante l’ultima sessione di mercato ha acuito ancora di più il senso di emarginazione nel serbo. Per l’allenatore la gestione di Vlahović è diventata un nodo difficile da sciogliere: da una parte il serbo ha delle caratteristiche tecniche uniche in rosa, ha segnato 45 gol in 110 gare sin qui in bianconero, è un centravanti importante e ancora giovane; dall’altra sembra che la società stia premendo in ogni modo per provare a monetizzare il più possibile da un suo ipotetico trasferimento entro gennaio, nel tentativo di non doverlo perdere a zero alla fine dell’anno.
Il serbo ha iniziato bene, andando a segno due volte nelle prime tre partite, ma poi si è progressivamente spento. Il suo linguaggio del corpo, spesso nervoso, racconta la difficoltà di adattarsi a un sistema che non lo vede più come unico protagonista e in cui deve sempre dimostrare qualcosa. Il suo rendimento dipende molto dalla capacità dei compagni di servirlo nei tempi giusti, cosa che — per ora — accade di rado. C’è chi sostiene che Tudor dovrebbe costruire il gioco attorno a lui, ma il tecnico preferisce una trama fluida, che prevalga sul singolo. Il rischio, tuttavia, è di perdere il miglior finalizzatore per cercare un equilibrio ancora lontano.
Jonathan David: il giocatore giusto nel momento sbagliato?
Jonathan David è forse la pedina più “ibrida” del tridente. Arrivato a parametro zero in estate, è stato da subito definito come il colpo principale del mercato. La quantità di reti che il canadese portava in dote dalla sua esperienza al Lille ha da subito fatto pensare a una svolta nella fase offensiva. David possiede qualità che lo rendono ideale per un calcio dinamico, fatto di scambi rapidi e inserimenti. Ma la Juventus, ancora in fase di costruzione, non ha la fluidità che esalterebbe le sue caratteristiche.
A questo si aggiunga che la veste tattica adottata non premia completamente le caratteristiche del canadese. David tende ad abbassarsi molto per ricevere palla, garantendo l’apertura di spazi per gli inserimenti dei centrocampisti. Thuram e Locatelli potrebbero beneficiare di questo aspetto, tuttavia mettendo a repentaglio gli equilibri, vista la frequente inferiorità numerica in mezzo al campo, anche a causa delle non sempre puntuali coperture dei due trequartisti (Yıldız e Conçeiçao in particolare) o le ritardate scalate in avanti dei braccetti difensivi. Quando viene schierato accanto a Vlahović, i loro movimenti finiscono per sovrapporsi, mentre assieme a Openda, la squadra diventa troppo leggera fisicamente.
Eppure, a livello di movimenti senza palla e capacità di lettura, David è tra i più intelligenti in rosa. Forse Tudor dovrebbe pensare a modificare il modulo, passando a un 3-4-1-2 con il canadese sulla trequarti o in posizione di seconda punta a fianco di Vlahović, o a un 4-3-1-2 più classico, che lo valorizzi come raccordo con la mediana. Per ora, però, le prove non hanno dato frutti concreti.
Loïs Openda: la scommessa che ancora non esplode
Arrivato con l’etichetta di “arma segreta”, Openda è il giocatore che più ha deluso le aspettative, almeno per il momento. Le sue qualità sono evidenti — velocità, aggressività, senso del gol — ma il suo inserimento è stato più complicato del previsto. Nella sua esperienza in Germania, al Lipsia, il belga è andato a segno 33 volte in 69 partite, finalizzando in gran parte grazie alla sua capacità di saltare in velocità l’avversario in campo aperto.
In un sistema che non sfrutta appieno la profondità, il belga appare spesso isolato o fuori posizione. Le sue qualità, basate sugli spazi aperti e sulla transizione rapida, si scontrano con la lentezza del possesso. Non è un caso che quando ha trovato spazio dall’inizio, la squadra abbia faticato a mantenere equilibrio tra le linee. Openda sembra un profilo “da ripartenza”, ma la Juventus vuole controllare il possesso. Al momento, tra i tre, è quello che può essere sfruttato meglio a gara in corso, con spazi aperti e contro formazioni più stanche, dove con la sua velocità può essere in grado di essere più incisivo. Al di là dei sofismi tattici, anche Openda, finché il collettivo non troverà un’identità, resterà una risorsa non sfruttata appieno.
Il nodo tattico: coesistenza o alternanza?
In poche parole, la Juventus può permettersi di far coesistere tre interpreti di questo calibro? O è costretta a sceglierne uno e sacrificare gli altri due, almeno a turno? Tudor fino ad oggi ha provato tre strade: il 3-4-2-1 con Vlahović o David punta unica, connotato da stabilità ma con poca imprevedibilità; il 3-5-2 con David accanto a Vlahović, con maggior dinamismo ma una mediana congestionata; il 4-3-3 con Openda esterno, dove aumenta la velocità ma la scarsa compattezza espone maggiormente la difesa.
Nessuna delle tre opzioni ha dato i risultati sperati. L’impressione è che il croato non voglia rinunciare a nessuno, ma la realtà del campo lo costringe a farlo. E quando un allenatore non riesce a scegliere, spesso è il collettivo a pagarne il prezzo.
Le cause profonde dei problemi offensivi della Juventus
Dietro le difficoltà descritte si nascondono ragioni tecniche, psicologiche e tattiche. Limitandoci all’analisi del reparto avanzato, si nota una mancanza di sincronizzazione tra gli interpreti: gli automatismi non sono ancora rodati e i loro movimenti appaiono indipendenti e non coordinati a quelli dei compagni. A ciò si aggiunga la carenza di fiducia, visto che tutti e tre, consapevoli di non avere il posto assicurato, giocano con la tensione costante del giudizio: ogni errore pesa il doppio, perché rischia di estrometterli dalla formazione nella partita successiva.
A tale proposito, le scelte di Tudor hanno promosso una certa instabilità. Se è vero che il valore assoluto dei tre attaccanti è indiscutibile, non aver fatto una scelta netta ha contribuito a creare confusione. Senza dimenticare che, nelle prime sei partite di campionato, il tecnico croato ha cambiato sistema quattro volte, una circostanza che rende complessa la memorizzazione di quegli automatismi che favorirebbero il lavoro delle punte.
A tal proposito, probabilmente anche a fronte di scelte poco nette, un altro dei nodi tattici è la carenza di rifornimenti. In particolare, la manovra è spesso lenta e prevedibile nella zona centrale, mentre gli esterni non stanno garantendo qualità nei rifornimenti dalle fasce per ragioni tecniche e fisiche differenti: Cambiaso non è ancora in forma, Kalulu garantisce copertura ma non ha le qualità tecniche adatte a fare il quinto a tutta fascia, João Mário non è ancora in piena sintonia con i compagni anche a causa dei continui cambi dell’allenatore. Il risultato è un collettivo che produce molto ma fatica a trasformare, perdendo fiducia a ogni occasione sprecata.
Effetto domino: come può uscirne Tudor
Nella Juventus, dove la solidità difensiva è sempre stata il punto di forza, una fase realizzativa sterile rischia di spostare gli equilibri dell’intera struttura. La sterilità attuale richiede un maggior accompagnamento nella manovra difensiva, quindi i difensori devono alzarsi di più, i centrocampisti devono correre il doppio e la pressione psicologica sui singoli aumenta. Tudor, per filosofia, vuole pressare alto e tenere il pallone ma, se le punte non riescono a finalizzare, l’intero sistema perde senso. A differenza della stagione scorsa, in cui talvolta bastava un guizzo di Vlahović o un colpo di testa in inserimento su palla inattiva, oggi serve coralità. E la coralità finora è mancata.
Le possibili vie d’uscita esistono, ma richiedono coraggio e coerenza. In primo luogo, l’ex tecnico della Lazio dovrebbe stabilire una gerarchia chiara: per caratteristiche fisiche e tecniche, Vlahović dovrebbe rimanere il riferimento principale, con David e Openda pronti ad accettare rotazioni programmate. D’altronde la chiarezza aiuta la fiducia e la fiducia porta i gol. Aiuterebbe anche fissare un unico modulo, meglio se “semplificato”: meglio una squadra compatta e lineare di un mosaico di tentativi. Una buona base potrebbe essere un 3-5-2, con movimenti codificati e un solo trequartista, pur comprendendo che le numerose alternative – esterni compresi – rappresentino un notevole ostacolo.
Un altro aspetto che darebbe nuova linfa alla manovra è un maggior coinvolgimento degli esterni a tutta fascia. Cambiaso a sinistra e Kalulu o João Mário devono essere protagonisti, dare velocità e ritrovare ampiezza, per liberare spazio centralmente ed evitare che l’attacco rimanga ingolfato. Anche in fase di non possesso, lavorare su riaggressione e transizione offensiva permetterebbe, ad esempio, di valorizzare le doti di Openda: pressing, recupero e verticalizzazione immediata diventerebbero un’arma di difficile gestione per le avversarie.
Infine, trattandosi di un gruppo molto numeroso, anche gli aspetti psicologici e comunicativi assumono una certa rilevanza. Il tecnico dovrà essere bravo a far capire che le rotazioni sono funzionali al successo collettivo e non punizioni personali, magari insistendo su una scelta anche dopo errori o prestazioni insufficienti, per non demoralizzare i suoi alfieri.
Il simbolismo dell’attacco: la Juventus e la sua identità perduta
Forse, al di là della tattica e dei numeri, le difficoltà offensive della Juventus raccontano qualcosa di più profondo, ossia una squadra in cerca di identità. Dopo gli anni del pragmatismo allegriano e il tentativo di cambiamento di mentalità solo abbozzato da Motta, il club ha provato a costruire un modello tattico moderno, europeo, propositivo. Ma ogni rivoluzione richiede tempo, e la coesistenza tra ambizione e risultati immediati è sempre fragile.
L’attacco, con i suoi tre “numeri nove” in lotta per lo spazio, è l’immagine perfetta di uno staff e una società che vogliono cambiare ma non hanno ancora trovato la formula giusta per farlo. Le prossime settimane diranno se il tecnico riuscirà a compiere il passo decisivo: scegliere, rischiando ma al tempo stesso semplificando. Perché il calcio non premia chi ha più soluzioni, ma chi sa usarle nel momento giusto. Dopo sei giornate di Serie A, i bianconeri appaiono come un cantiere aperto. Non si può parlare di crisi, ma di un percorso ancora incompiuto. Il talento c’è, la qualità pure, ma manca una direzione chiara. La sfida per Tudor è trovare un’armonia tra innovazione e pragmatismo, tra una costruzione moderna e il bisogno di risultati immediati.
In fondo, il destino della stagione passa proprio dal reparto avanzato: se Vlahović, David e Openda troveranno una loro alchimia, la Juventus potrà tornare a competere davvero per lo scudetto. Se invece continueranno le rotazioni, l’enigma resterà il simbolo di un progetto ambizioso ma incompiuto.
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