Perché i film sul calcio sono brutti

Una premessa: l’assunto del titolo non è necessariamente vero.  Ci sono film sul calcio, o comunque ambientati in quel mondo lì, che sono molto belli. Ma lo sono in quanto film, ossia racconti per immagini con un intreccio che coinvolge protagonisti a cui succedono delle cose. È proprio il calcio nei film a essere brutto. Il gioco in sé è brutto da vedere: sarà che siamo abituati a vederne migliaia di ore all’anno, ma ogni volta che il calcio viene messo in scena, nella stragrande maggioranza dei casi il risultato è mediocre. Brutto da vedere, appunto. Il che, in un dispositivo di comunicazione che si basa sullo sguardo, diventa un bel problema.

Prendiamo quell’affascinante operazione situazionista che è la trilogia Goal!. È la storia di Santiago Munez, da perfetto ma talentuoso sconosciuto a stella del Real Madrid dei Galacticos e successivamente ai Mondiali. Praticamente, una modalità Carriera di un videogioco trasposta su grande schermo.

Un artigianale collage delle tre locandine, per farvi un’idea

 

Ecco, in ciascuno dei tre film il gioco è parte integrante e fondamentale, in quanto motore narrativo delle vicende. Eppure non si scappa: praticamente ogni azione che vediamo ci fa rizzare i capelli. Sembra sempre tutto finto. I dribbling, i tiri in porta, i tuffi dei portieri – madre mia, come si tuffano male i portieri! – sembrano messi in pratica da gente che non ha mai visto una partita di pallone vera, neanche al campo di calcetto il giovedì sera.

Intermezzo.

Nella mia personale classifica, il tuffo di portiere peggiore della storia del calcio cinematografico appartiene però a un altro film: Sognando Beckham, anno 2002, dove tra l’altro fa la sua comparsa una praticamente esordiente Keira Knightley.

Nella scena finale, c’è un calcio di punizione che dovrebbe essere per l’appunto “alla Beckham” e invece è una roba deprimente. Il portiere, anzi la portiera giacchè siamo dentro una partita di calcio femminile, si piazza sul palo coperto dalla barriera, poi si tuffa alla sua sinistra e sullo slancio supera il pallone che si insacca esattamente al centro della porta, sfarfallando con le mani e aggiungendo uno sguardo sgranato che neanche Wile E. Coyote con il candelotto di dinamite in mano. Il fatto poi che tutto questo sia ripreso dalla soggettiva del pallone non fa che aumentare il livello di cringe, per dirla con la Gen Z.

Fine intermezzo.

Dall’alto della mia profonda esperienza tanto nel gioco del pallone quanto nel mondo del cinema (tradotto: tesserato per squadra di calcio amatoriale, galoppino per sala cinematografica spesso deserta), ogni volta che mi è capitato di approcciarmi a delle immagini in movimento che ricostruiscono azioni di gioco, ho sempre avuto uno spettro di reazioni che andava dal sospiro rassegnato al telecomando contro il muro.

Dopo attenta riflessione, ho individuato una serie di elementi che a mio modesto parere sono il motivo per cui il calcio al cinema è brutto da vedere. Senza addentrarsi in analisi da secondo anno di corso al DAMS, ecco quindi l’inesaustivo elenco delle cinque cose che rendono insopportabile il calcio filmato da chi i film li fa di mestiere.

 

1. Il ralenti

La tecnologia applicata all’audiovisivo, e in particolare all’audiovisivo che racconta il gioco del calcio, è come l’universo (cit.): una costante espansione che oggi ci permette di contare i peli del naso del guardalinee o scomporre frame-by-frame l’intervento a martello del terzino per capire in quale esatto punto ha fratturato la tibia dell’avversario.

In qualunque film sul calcio – o almeno in qualunque film sul calcio che ho visto io – arriva il tragico momento in cui il tempo deve fermarsi, al nobile scopo di creare suspence. Ma poiché il cinema è per sua definizione immagine in movimento, risulterebbe assai controproducente affidarsi al fermoimmagine. Ecco allora che ci viene in soccorso la magia del rallentatore.

L’esempio più famoso di ralenti applicato al cinema a tema sportivo è la scena dell’allenamento in Momenti di gloria (1981) di Hugh Hudson. Gran merito va alla memorabile colonna sonora del compositore greco Vangelis, autore tra l’altro anche delle musiche originali di Blade Runner l’anno successivo.

 

Se ci pensiamo, il ralenti nel cinema applicato al calcio viene usato con una dinamica esattamente opposta al suo utilizzo nel mondo reale. Qui entra in gioco per permettere di rivedere un’azione particolarmente bella o particolarmente controversa (per tacere del mostro finale di tutti i ralenti, il VAR), là serve fondamentalmente ad aumentare l’incertezza, ritardando il momento decisivo, quello in cui sarà chiaro l’esito della giocata, della partita, della storia.

Anni e anni di esposizione a qualsiasi tipo di immagine hanno però reso lo spettatore più furbo del dispositivo. Ciò significa che ormai è come nei film horror: se vediamo una porta chiusa, sappiamo che lì dietro ci sarà qualcosa o qualcuno il cui unico scopo è farci prendere uno spavento. Allo stesso modo, se durante un’azione di gioco parte il ralenti, sappiamo che per i successivi trenta secondi non succederà niente, perchè gran parte di quello screentime sarà occupato dal punto numero due di questa lista.

 

2. I piani di reazione del pubblico

Credo di poter dire che una delle cose più emozionanti dell’esperienza di vedere il calcio su uno schermo (fermiamoci a quello visto su schermo, ché quello visto dal vivo è – per fare una battuta infelice – proprio un altro sport) sia la sua fluidità. Quando Maradona salta mezza Inghilterra e segna il gol del secolo, gran parte della sua bellezza emotiva sta proprio nel fatto che accada tutto d’un fiato, come un piano inclinato che accelera i movimenti dei giocatori e il battito cardiaco di chi sta assistendo. Non è solo una questione di seguire l’azione in diretta: il gol di Maradona io non l’ho potuto vedere mentre stava accadendo, eppure mi entusiasma allo stesso modo. Si tratta proprio di vivere un particolare momento, anzi una sequenza di momenti dall’inizio alla fine senza interruzioni.

Ora, il cinema ha le sue regole, che sono tendenzialmente codificate da un centinaio di anni e funzionano ancora alla grande. In particolare, c’è questa faccenda abbastanza decisiva del montaggio: detta in soldoni, è grazie al montaggio che due immagini poste una accanto all’altra acquistano un senso per chi le guarda. Un senso narrativo, temporale, geografico, emotivo.

Ebbene, in praticamente ogni azione da gol messa in scena al cinema, tale azione dura il triplo di quanto dovrebbe. Questo perchè ogni maledetto regista sente il bisogno di batterci sulla spalla e dirci: “Oh, sta succedendo qualcosa di grosso!” E quindi ad ogni dribbling, ad ogni metro percorso dal pallone, ad ogni passo allungato da un calciatore, ecco un stacco di montaggio per mostrarci il faccione di – in ordine sparso:

– Allenatore
– Compagno di squadra
– Portiere avversario e/o della propria squadra
– Arbitro
– Partner e/o parente e/o conoscente in tribuna e/o a bordocampo
– Partner e/o parente e/o conoscente che guarda la partita in TV, il più delle volte dentro un bar ma anche sul divano di casa e, nei casi più amibiziosi, sul posto di lavoro
– Cronista (tra l’altro se ci pensate in quasi tutte le partite di calcio nei film c’è un cronista che le racconta, siano esse le finali di Champions League o le amichevoli dei minipulcini alla scuola elementare)
– (nei peggiori dei casi) Animale domestico del protagonista
Tutti indistintamente impegnati a sgranare gli occhi o spalancare la bocca per tramettere pathos, stupore, tensione! (Nel caso dell’animale domestico, spesso piega la testa di lato).

Una perfetta sintesi di tutto ciò ci giunge dal film When saturday comes (1996) di Maria Giese, inopinatamente tradotto in italiano in Sabato nel pallone, dove un giovane Sean Bean (per i distratti, l’Eddard Stark di Game of Thrones) indossa la maglia dello Sheffield in un match di coppa contro un Manchester United in improbabile divisa biancoblu.

Sean Bean subisce un fallo che al VAR sarebbe valso tre giornate di squalifica

 

Nella scena finale ho contato una quindicina di stacchi: sull’amata, sul padre al pub, sull’ex allenatore, sulla mamma o sorella non ricordo bene, sul pubblico. Il tutto nel giro di un minuto. Più che farmi trattenere il fiato, l’unico risultato è stato farmi sentire dentro una puntata di Holly e Benji in cui il pallone impiega l’equivalente di un girone di andata per andare dal punto A al punto B.

 

3. I dialoghi

Chi ha esperito il giuoco del football a qualsiasi livello sa bene che le parole che si usano in campo non sono propriamente delle terzine dantesche. Verosimilmente lo sanno anche gli sceneggiatori, che infatti evitano accuratamente di riproporre gli improperi di vari natura a genitori o divinità tipici delle conversazioni tra calciatori e affini. Ciononostante ci sono momenti in cui non si può fare a meno di inserire qualche battuta, perchè è pur vero che in un campo di calcio si parla e si parla tanto. Però sarebbe il caso di fare uno sforzo anche minimo di verosimiglianza quando si scrivono tali battute. Un esempio pratico tratto nuovamente dall’imprescindibile Goal!.

 

Siamo agli sgoccioli di Newcastle-Liverpool, partita decisiva per la qualificazione alla Champions League. Il protagonista Santiago Munez gioca in bianconero ed è entrato in campo da poco. Dopo aver triangolato con Alan Shearer (!), si esibisce in una serie improbabile di dribbling, e vabbè, ma il momento migliore è lo scambio di battute col compagno di squadra che ne sta accompagnando l’azione.

“Passala!” gli grida due volte in pochi secondi, accompagnando l’esortazione con ampio gesto a indicarsi i piedi (metti mai che ci si confonda e qualcuno si chieda perchè questi strani tizi con delle scarpette chiodate non si consegnino la palla a mano).

Il Munez, tutto intento a guardare fisso il pallone davanti a lui, alza la testa solo per lanciare un “Sì, adesso!” di risposta che francamente ottiene solo l’effetto di essere ridicolo, per poi tornare a mulinare le gambe ed effettuare altri due superflui trick prima di passare – finalmente – questo benedetto pallone. Quindi, a voler essere ancor più pignoli, ha pure mentito perchè tra quell’“Adesso!” e il passaggio trascorre almeno un’altra decina di secondi.

Tralasciando il fatto che nel novantanove per cento dei casi, al “Passala!” sarebbe seguito un rafforzativo che non avrebbe superato il visto censura, quel “Sì, adesso!” è onestamente troppo anche per me. Potrebbe essere colpa del famigerato doppiaggio italiano, che è l’unica lingua che ancora ritiene d’uso comune termini come “pollastrella” per indicare una bella ragazza e “piedipiatti” per identificare le forze dell’ordine, non lo escludo. Sta di fatto che “Sì, adesso!” me lo aspetto da un bambino che risponde alla madre quando viene chiamato perchè è pronta la cena, non da chi sta giocando l’ultimo minuto di una partita di Premier League.

 

4. Gli avversari

Il problema fondamentale delle scene di calcio nei film sul calcio è che è molto raro trovare attori bravi che siano anche bravi calciatori. E allo stesso tempo, i calciatori bravi difficilmente sono bravi attori.

(Eccezione meritevole: Eric Cantona, che infatti è co-protagonista di uno dei migliori film che parlano di calcio, ossia Il mio amico Eric di Ken Loach. Lì però Cantona recita e basta.)

Ok, ci sono le controfigure che fanno gran parte del lavoro sporco – dove per lavoro sporco si intende riuscire a compiere gesti tecnici basilari tipo correre senza sembrare un partecipante della partita Scapoli-Ammogliati in Fantozzi. La vera difficoltà però non è tanto nel riuscire a fare un dribbling, un contrasto, un doppio passo o un colpo di tacco, quanto subirli. La storia del calcio nei film è piena di eroi tragici senza nome chiamati a interpretare avversari che vengono superati, sforzandosi di renderlo verosimile e quasi mai riuscendoci.

Tre esempi di quanto si devono impegnare gli avversari per farsi superare nelle scene di calcio:

 

Il difensore in maglia numero 3 in Mean Machine

 

Mean Machine è un dimenticabilissimo film inglese del 2001 diretto da tal Barry Skolnick. Si presenta come remake di Quella sporca ultima meta con il calcio al posto del football americano (non lo dico io, lo dicono Wikipedia e l’Internet Movie Database).

È uno dei tasselli della carriera cinematografica di Vinnie Jones, che probabilmente ricorderete per essere stato l’anello di congiunzione tra il mestiere di calciatore e quello di stragista nella Premier League degli anni ’80 e ’90. Altro caso di calciatore-attore, i cui punti più alti dei rispettivi percorsi artistici sono il cartellino giallo rimediato dopo 3 secondi in una partita con il Wimbledon e la doppietta Lock & Stock – Snatch firmati da Guy Ritchie nel ruolo di coprotagonista.

Torniamo a noi. Classico finalone epico di partita di calcio (detenuti vs. guardie), classica ultima azione, classico lancio lungo tipicamente britannico. Sul filo di un fuorigioco altissimo, il Vinnie stoppa la palla à la Cassano in Bari–Inter e salta con eleganza il diretto avversario. Sarebbe tutto impeccabile, non fosse che il presumo terzino in questione (giacchè indossa la maglia numero 3), si pianta sul terreno e alza le mani in un gesto che mi ricorda quello dell’impiegato di banca davanti alla pistola del rapinatore. Tra l’altro quando il pallone è già sfilato e Vinnie Jones è già bello che lanciato verso il portiere.

Ma non è finita: nei successivi due stacchi di montaggio vediamo prima il difensore proseguire la corsa mani in alto come se si stesse preparando a un triplo salto mortale sulla pedana del corpo libero, e subito dopo lo ritroviamo incespicante alla rincorsa del Vinnie.

Tra comparsa e montatore, la sfida a chi ha fatto peggio dev’essere finita allo spareggio con la monetina.

 

La serpentina di Pelè in Fuga per la vittoria

 

Prima che chiamiate i carabinieri, chiariamo: Fuga per la vittoria è un bel film. Anzi, pure le scene di campo sono girate bene. Aiuta il fatto che le comparse erano in larga parte giocatori professionisti e che insomma se a inizio anni ’80 hai Pelè come protagonista di un film sul calcio, diciamo che hai fatto metà del lavoro.

L’azione del gol in rovesciata segnato da O’ Rei è abbastanza nota. Segnàlo peraltro una citazione secondo me tutt’altro che involontaria da parte del maestro John Huston, che con quella ripetizione del gesto tecnico fatta tre volte in dissolvenza incrociata omaggia Leni Riefenstahl, grandissima regista tedesca, già autrice del fondamentale documentario Olympia sui giochi di Berlino 1936, pietra miliare del linguaggio cinematografico. Unico piccolissimo neo: era nazista fin dove pestava.

Ciò detto, tutta la sequenza è di ottima fattura. Però eravamo partiti maluccio. Quei venti secondi di dribbling e controdribbling tra Pelè e l’avversario, con nessun altro giocatore che cerca di intervenire, sono un po’ stucchevoli. Voglio dire, siamo andati bene fino ad ora – vabbè, a parte quando si vede Sylvester Stallone che sta in porta, ma non voglio essere troppo fiscale – e ci ritroviamo con un balletto che sembra un po’ quando giochi a palla col tuo labrador: ad ogni finta, uno zompo all’indietro o di lato per poi tornare in posizione, pronti per la prossima. Anche il tunnel poi è proprio finto: voglio dire, quello sta a gambe divaricate per mezz’ora…

 

Il tunnel di Fimpen in Fimpen il goleador

 

Non so niente di questo film. So solo che sono capitato su questo trailer, peraltro in tedesco, per poi scoprire che è un film svedese in cui un bambino è talmente forte a calcio che invece di ricevere un’educazione e chessò, imparare le tabelline a scuola, viene tesserato come giocatore professionista e gioca contro gli adulti. O almeno, così ho ricostruito.

A parte che pensavo che la progressista Svezia facesse molto di più per contrastare il lavoro minorile, già nel trailer del film è chiaro che tutto questo sia una pessima idea. Il tunnel che viene mostrato qui è emblematico. Dopo una scritta in sovrimpressione che – traduco dal tedesco – recita “Il miglior film sul calcio di tutti i tempi” (sic), c’è un esserino di un metro scarso la cui testa è grande come la palla che fa passare la palla tra le gambe dell’avversario. In pratica è l’avversario che schiva il pallone e subito dopo si butta a terra come uno stuntman che ha dovuto incassare un pugno in faccia. Per una frazione di secondo ho pensato che lo stesso Fimpen sarebbe passato sotto le gambe assieme al pallone: lo spazio c’era, e avrebbe pure guadagnato un tempo di gioco.

 

5. Gli effetti sonori

Sappiamo benissimo che il sonoro ha un ruolo fondamentale nel racconto visivo del calcio. Le urla del pubblico e dei giocatori, i richiami degli allenatori, il rumore dei pali e del pallone eccetera eccetera.

È chiaro che tutto questo funziona bene perchè in una diretta TV ci sono centomila microfoni direzionali piazzati sul campo, e che questa cosa non si può fare quando si tratta di ricostruire delle scene di gioco. Il guaio è che nove volte su dieci tutti gli effetti sonori in questi casi vengono inseriti in post-produzione: immagino che il motivo sia ancora una volta enfatizzare i momenti topici e sottolinearne l’importanza emotiva, però ogni volta che accade a me sembra di essere nel mezzo di una puntata del telefilm di Batman anni ’60, quello con i SOCK! e i POW! in sovraimpressione.

Batman precursore sui generis dell’esultanza a forma di cuore

Palloni colpiti di collo che si trasformano in razzi della NASA, pali che rimbombano più di una campana tibetana, colpi proibiti al volto che ricordano gli sganassoni di Bud Spencer e Terence Hill… ragazzi, un po’ meno!

 

Bonus track

Film sul calcio belli, che comunque qualcuno c’è

Per chiudere con un afflato di speranza, alcuni film tra quelli che ho visto io e a cui ho voluto bene.

(già citato) Il mio amico Eric, Ken Loach (2009)
Il maledetto United, Tom Hooper (2009)
Febbre a 90, David Evans (1997)
L’uomo in più, Paolo Sorrentino (2001)
L’arbitro, Paolo Zucca (2013)
Un giorno all’improvviso, Ciro d’Emilio (2018)

I documentari ve li dico un’altra volta.

 


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Di Paolo Cenzato

Autore e sceneggiatore quando posso, esercente cinematografico quando riesco, ho scritto per il cinema e per la televisione. Calciatore amatoriale, sono alto un metro e novanta e non so colpire di testa, ma ritengo che i corner corti andrebbero vietati per legge.