Il Mantova gioca meglio di tutti

Può una squadra retrocessa in Serie D essere prima nel suo girone di Serie C? Sì, se ti chiami Mantova.

Sembra assurdo ma la capolista del gruppo A con i suoi 38 punti in 16 partite in realtà non avrebbe dovuto partecipare al campionato. L’arrivo in corsa di Andrea Mandorlini, ex tecnico tra le tante dell’Hellas Verona in Serie A, non aveva cambiato l’andazzo della passata stagione che ha visto i biancorossi cadere ai playout contro l’Albinoleffe. Scendere di categoria significa non appartenere più al professionismo e in automatico ritrovarsi senza giocatori sotto contratto. Si riparte da zero.

Purtroppo o per fortuna, siamo in Italia e i piani del club sono immediatamente cambiati. Infatti, per via della mancata iscrizione del Pordenone, i virgiliani sono stati riammessi alla C. Una notizia arrivata il 24 luglio, con il nuovo allenatore scelto il 16 giugno, e l’inizio del campionato fissato al 4 settembre. Una rosa totalmente nuova, con soltanto tre giocatori richiamati a Mantova nonostante la retrocessione: le punte Monachello e Mensah e l’esterno Panizzi. Inutile dire che le aspettative non fossero molto alte tra i tifosi mantovani, soprattutto a causa delle ultime stagioni in cui la squadra, diventata una sorta di succursale dell’Hellas Verona (il presidente era Maurizio Setti), ha sempre navigato lontana dalla zona promozione.

L’annata in corso, però, ha visto un cambio alla guida della società di viale Te con l’arrivo di un nuovo presidente, Filippo Piccoli, già socio di Setti e di un nuovo direttore sportivo, Christian Botturi. Quest’ultimo ha deciso di affidare la panchina ad un semi esordiente, Davide Possanzini. Da lì è iniziata la magia.

 

Possanzini: da De Zerbi al miracolo Mantova

Davide Possanzini ha trascorso ben sei anni nello staff di De Zerbi come suo vice e inevitabilmente ne ha appreso il pensiero calcistico. Le avventure dei due si sono separate, con il passaggio del maestro al Brighton in Premier League e del suo allievo sulla panchina della Primavera del Brescia. Un percorso, come piace dire sia all’ex tecnico del Sassuolo che al suo amico Lele Adani, iniziato nel 2016 a Foggia, proprio da quella Serie C che adesso vede il Mantova di Possanzini guardare tutti dall’alto verso il basso.

Tatticamente è impossibile non imbattersi negli stessi principi. I virgiliani tendono a disporsi con un 4-2-3-1 di partenza, o 4-3-3, che ricalcano soprattutto l’atteggiamento della squadra in fase di non possesso. Con il pallone invece li possiamo vedere disporsi con un 3-2-4-1, proprio come i Seagulls del suo mentore. In questo modo si opta per una costruzione 3+2 per andare poi a occupare i cinque corridoi offensivi con la punta e i quattro calciatori che operano alle sue spalle. Sì potrebbe pensare che tutto ciò sia standardizzato e ripetitivo ma non è così. Infatti, pur partendo da posizioni fisse tipiche del gioco di posizione, l’occupazione di questi spazi tende sempre a cambiare.

Più frequentemente vediamo i due centrali e il terzino sinistro coinvolti nella prima linea, con i due centrocampisti davanti a loro per la prima impostazione. Molto poco usuale invece vedere coinvolto anche il portiere, a differenza di ciò che siamo abituati dalle squadre di De Zerbi. Il trentunenne Marco Festa, infatti, non è molto abile con i piedi, ma comunque Possanzini sta cercando di svilupparlo anche su questo fondamentale che ora è richiesto agli estremi difensori. Al ragazzo, tornato questa estate nel club che lo ha lanciato, è richiesta una distribuzione semplice assieme ai centrali, di modo da guadagnare un uomo in costruzione.

Davanti invece possiamo notare come l’ampiezza venga fissata principalmente dal terzino destro che sale e dall’ala sinistra sul fronte opposto per sfruttare gli uno contro uno. Nei mezzi spazi agiscono invece l’ala destra e il trequartista. Anche qui l’occupazione degli spazi è variabile, e le soluzioni per farlo sono differenti e molto fluide, evitando di dare punti di riferimento. L’importante è che poi si formi una delantera di quattro uomini che lavorano assieme alla punta per far male agli avversari.

 

I principi dezerbiani

Se questo è l’abito scelto da Possanzini, allora ciò che conta maggiormente è certamente il modo di vestirlo. E anche qui i punti di contatto con De Zerbi sono evidenti. L’obiettivo principale dei biancorossi è infatti quello di sfruttare la pressione avversaria a proprio vantaggio. Ad inizio stagione i tifosi virgiliani mugugnavano guardando i difensori rimanere fermi con il pallone sotto alla suola ad attendere che gli attaccanti avversari venissero ad aggredirli. Questo è un trademark che il tecnico di Loreto ha fatto suo negli anni, che ritroviamo anche nel Nizza di Farioli che sta combattendo con il PSG per il primato in Ligue 1, ma anche in un calciatore come Colwill che, pur cambiando club, porta con sé gli insegnamenti appresi da De Zerbi al Brighton.

Dalle parti dello stadio Martelli adesso non ci si lamenta più della pazienza nella prima costruzione, proprio perché se ne vedono i benefici. Infatti, uno dei must del gioco di posizione è proprio quello di saltare linee di pressione per far progredire la manovra. Attirando la pressione con questo stratagemma si può quindi cercare di relazionarsi con i compagni per far avanzare il pallone alle spalle della prima linea di pressione. A quel punto, nel modo più verticale possibile, si cerca di far arrivare la palla davanti per andare in porta. Lo sa bene la Pergolettese, che a Mantova ha rimediato quattro gol, vedendo la sua strategia aggressiva rispedita al mittente dalla squadra di Possanzini.

Quando invece ci si trova di fronte avversari più attendisti e rinunciatari a dei tentativi di pressione alta, allora lo sviluppo è affidato alle catene laterali. Sfruttando la salita di quelli che in possesso diventano a tutti gli effetti dei braccetti, per citare il CT della Nazionale Spalletti, si vanno a formare delle connessioni sull’esterno con l’ala e l’uomo nel mezzo spazio che servono ad attaccare blocchi più chiusi. Un po’ come quelli che di partita in partita è costretto a fronteggiare il Mantova, che si vede lasciare spesso la palla e il predominio nel possesso. Al momento il club biancorosso ha il miglior attacco del girone A di Serie C, con 31 reti segnate in 16 partite. Un bottino incrementato ancor di più grazie vittoria di ieri per 4-1 con il Renate al Martelli.

 

La fase di non possesso

Senza palla invece la prima regola è la riconquista immediata. Un precetto chiave che anche qui ritroviamo come costanti nel Brighton e ancor di più nel Nizza, ovvero la miglior difesa in Europa. La base di partenza è sempre la gestione del possesso. Guardiola insegna che, se si vuole recuperare il pallone immediatamente una volta perso, non si possono fare meno di 15 passaggi. Questo per un motivo abbastanza intuitivo, che risiede nel dare tempo e modo ai calciatori di avvicinarsi tra loro, preparare le marcature preventive, ed essere così pronti alla riaggressione immediata una volta persa palla, senza rischiare transizioni offensive dagli avversari.

A una pressione a uomo sul rinvio del portiere, si alternano un 4-2-3-1 o un 4-5-1 per le fasi di difesa posizionale, che comunque capitano raramente a una squadra abituata ad avere il dominio del gioco. Tutto ciò ha portato a subire soltanto 12 gol, di cui 4 nella debacle con la Triestina alla sesta giornata, ovvero la terza miglior difesa del gruppo A.

 

Mantova: dove gli allievi diventano maestri

L’ultimo allenatore che ha fatto fortuna a Mantova è anche lui allievo di un grande maestro: Ivan Juric. L’esperienza virgiliana per il croato fu la prima lontano dal totem Gasperini. Chissà se l’aria della città lombarda porterà bene anche a Possanzini. Certamente lui ce la sta mettendo tutta per sfruttare al meglio questo trampolino di lancio per una carriera in panchina che è appena cominciata. Sulle orme di De Zerbi, certo, ma con la voglia di portare il proprio nome il più lontano possibile.

Mantova è una piazza affamata di grande calcio e i tifosi, che rendono il Martelli uno degli stadi più caldi della C, sognano di tornare ai fasti dell’era Fabrizio Lori, il presidente che nel 2006 sfiorò la Serie A. Una promozione persa al termine di una doppia finale playoff con il Torino in cui l’arbitraggio del match di ritorno del compianto arbitro Farina accese polemiche ancora oggi non sopite nella terra dei Gonzaga.

 


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catenaccio

Di Alessandro Briglia

Definitemi voi se ci riuscite. Gli indizi per capirmi sono nei miei pezzi. Scrivo ciò che sono, e sono ciò che scrivo.