Asamoah Gyan, il re immaginario

Un vecchio spot degli anni ’90 interpretato da Ronaldo ha portato un motto memorabile nelle nostre case, un insegnamento che va oltre il calcio: la potenza è nulla senza il controllo.

Lo sport ci ha spesso messo di fronte alla profonda verità di questo assunto: talenti sconfinati con chance di carriere stratosferiche rovinati da una sregolatezza quantomeno pari al genio che li governava.

Ma la storia di Asamoah Gyan ne batte molte, se non tutte. Perché, pur non avendo vizi lesivi per la sua salute, la sua incostanza e il suo enorme ego hanno dato vita a una creatura quasi mostruosa.

Quella di un calciatore con un grande potenziale, per lo più inespresso, in cui la mancanza di controllo è stata molto più incisiva della potenza a disposizione.

Voleva essere un re per il popolo ghanese ma, oltre a non raggiungere i picchi di carriera di molti suoi connazionali, ha fatto di tutto per rendersi detestabile.

 

African next big thing

Nato ad Accra nel 1985, le premesse che accompagnano l’inizio della carriera di Asamoah sono di quelle che fanno rumore.

Sebbene il suo nome inizi a comparire sui taccuini delle squadre europee relativamente tardi rispetto ad altre giovani promesse del calcio africano, gli esordi in patria con il Liberty Professionals FC sono estremamente promettenti.

Più che lo score di 10 gol in 16 partite, sono le qualità che si intravedono a far pensare ad un futuro campione: il ragazzo è veloce e potente, tanto da guadagnarsi il soprannome Baby Jet. Ha anche piedi buoni ed è capace di coprire più ruoli dell’attacco. Potenzialmente non ha difetti.

A 17 anni arriva la prima convocazione in nazionale, a discapito di attaccanti più quotati e già da anni in Europa. All’esordio contro la Somalia entra a meno di un quarto d’ora dalla fine e segna subito il suo primo gol.

Asamoah sembra un predestinato ed iniziano a farsi vive le prime squadre europee. A spuntarla è l’Udinese, che se lo accaparra già nell’estate del 2003 per fargli intraprendere un periodo di apprendistato nelle giovanili.

Aggregato alla Primavera, esordisce in A in un match di fine campionato 2003-04 contro il Parma quindi, pur con un’unica presenza, trova posto anche nella selezione olimpica ghanese per i Giochi di Atene 2004.

Sempre nell’estate del 2004, il sapiente progetto di crescita della società friulana prevede un passaggio dalla Serie B. Gioca due anni a Modena e tra i cadetti, pur non segnando a raffica, dimostra la bontà delle previsioni: Asamoah può diventare un calciatore di primissimo livello.

Asamoah in azione con la casacca del Modena

 

Scricchiolii ed ego a Udine

Nell’estate del 2006, Asamoah rientra a Udine ma non prima di aver scritto la storia delle Black Stars.

Il Ghana, infatti, partecipa ai mondiali per la prima volta nella sua storia e, dopo aver perso 2-0 contro l’Italia nel match di esordio, la selezione africana trova due vittorie che valgono una storica qualificazione agli ottavi.

Nel secondo match del girone, contro la Repubblica Ceca, l’attaccante segna il gol del vantaggio dopo due minuti, entrando nella storia del suo Paese: è il primo calciatore ghanese a gonfiare la rete in un mondiale.

Al rientro in Friuli, però, le cose non sono così semplici: le zebrette vantano una coppia d’attacco di primo livello, composta da Antonio Di Natale e Vincenzo Iaquinta, fresco campione del mondo.

Asamoah si ritaglia uno spazio, chiudendo la stagione con 8 gol in 25 apparizioni, un buon numero per un ventunenne al primo vero anno in massima serie, peraltro senza essere titolare.

Eppure il ragazzo non è contento e comincia a sentire stretto il ruolo di riserva. Tutto quel vociare sull’essere una futura stella ha finito per fargli montare la testa: vuole essere acclamato come un re in Ghana. E un sovrano non può fare panchina a Udine.

Rimane un altro anno ma le cose non cambiano. Anzi, peggiorano. Nel 2008 va in Coppa d’Africa, la chiude con un terzo posto ma soprattutto con un infortunio che ne limita definitivamente lo spazio tra i bianconeri.

A fine stagione decide che è tempo di alzare la voce e di mettere l’Udinese di fronte alla realtà della sua grandezza.

Gyan sovrasta Brocchi in un match a San Siro

 

Il re è arrivato

L’Udinese, pur intravedendo delle potenzialità, ha altre priorità e fa una scelta: monetizzare la cessione di Gyan, che nell’estate del 2008 va al Rennes per otto milioni di euro, una bella plusvalenza per i friulani.

Il primo anno in Ligue 1, purtroppo, è minato da un altro grave infortunio che ne compromette il rendimento e lo costringe ad un campionato da appena un gol in sedici apparizioni.

In estate Asamoah si guarda allo specchio ed il futuro re ghanese che alberga nel suo animo parla chiaro al calciatore che si palesa esteriormente: la stagione 2009-10 è uno snodo cruciale, perché oltre al Rennes c’è la nazionale.

Ed il 2010 non è un anno banale: oltre alla Coppa d’Africa in Angola a gennaio, in estate si gioca il primo mondiale ospitato da un paese del continente nero, il Sudafrica. Quale occasione migliore per guadagnarsi l’immortalità con la sua gente?

L’Asamoah calciatore risponde presente, l’immaginario re che sogna l’acclamazione gongola, il suo trono sembra prendere forma con la miglior stagione della ancora giovane carriera dell’attaccante.

Chiude con un bottino di 13 gol in 29 presenze, niente male considerando il mese in Coppa d’Africa.

Al Rennes è arrivata la miglior stagione della sua carriera europea

 

Nemo propheta in Africa

Già, la Coppa d’Africa. Prima golosa occasione di gloria in cui Asamoah guida l’attacco delle Black Stars a caccia dell’alloro continentale a distanza di ventotto anni dall’ultima affermazione.

La competizione parte segnata da una notizia di cronaca nera: il pullman della nazionale del Togo, squadra del girone del Ghana, viene assalito con molti colpi di mitra, con la morte dell’autista e nove feriti, uno dei quali, il portiere Obilalé, costretto al ritiro dal calcio.

Il Togo non partecipa e le Black Stars hanno una partita in meno da giocare. La squadra è più pratica che spettacolare: arriva seconda nel girone segnando due gol in due partite, ai quarti ed in semifinale supera con un 1-0 prima l’Angola e poi la Nigeria. È finale.

A Luanda l’avversaria è l’Egitto che veste i panni dell’outsider nonostante abbia vinto le due edizioni precedenti.

Sebbene il Ghana segni poco, Asamoah è in piena corsa per il titolo di capocannoniere, avendo realizzato tre dei quattro centri delle Black Stars. Davanti a lui c’è solo un calciatore, l’egiziano Gedo, a quota quattro.

Occasione incredibile per un giocatore valido e soprattutto presuntuoso: segnare potrebbe portare ad una vittoria storica per il suo popolo e ad un primato nella classifica dai cannonieri proprio di fronte al suo rivale.

Le cose però vanno diversamente. Anche la finale finisce 1-0,  ma per l’Egitto. E a decidere è un gol a cinque minuti dalla fine proprio di Gedo.

Asamoah è amareggiato ma non scoraggiato, lo attende il primo mondiale africano. Vuole scrivere la Storia.

I pochi highlights di una finale non certo spettacolare

 

Voglia di riscatto

Ai nastri di partenza dei mondiali del 2010 il Ghana ha un obiettivo piuttosto ambizioso: migliorare il piazzamento ottenuto quattro anni prima ed arrivare ai quarti di finale, autentiche “Colonne d’Ercole” per il calcio africano.

Nessuna nazionale infatti si è mai spinta oltre questo traguardo, raggiunto solo dal Camerun nel 1990 e dal Senegal nel 2002.

La tendenza al pragmatismo mostrata in Coppa d’Africa non cambia nella competizione iridata, sconfessando il soprannome “Brasile d’Africa” che le Black Stars vantano da anni.

Anche nel girone dei mondiali la nazionale allenata da Rajevac si conferma solida difensivamente e poco produttiva in attacco. Nel match d’esordio i ghanesi piegano la Serbia a cinque minuti dal termine grazie ad un calcio di rigore.

A realizzarlo è Gyan, che scrive un’altra pagina della storia della sua nazionale in qualità di primo calciatore a segnare in due diverse edizioni dei mondiali.

Nel secondo incontro il Ghana pareggia 1-1 contro l’Australia e il gol lo realizza ancora Asamoah su rigore, mentre nell’ultimo turno una sconfitta per 1-0 con la Germania torna buona per la differenza reti: il secondo posto è in cassaforte.

Agli ottavi l’abbinamento è fortunato, ci sono gli USA. Il match è equilibrato e termina 1-1, trascinandosi ai supplementari. Dove l’eroe è, manco a dirlo, Asamoah Gyan che al minuto 93 sigla il gol decisivo.

Il Ghana ha fatto la storia e Baby Jet ne è l’eroe, quell’immaginaria corona inizia a splendere. Ma perché non provare a renderla ancora più lucente?

Asamoah elimina gli USA, il gol sembra consegnarlo alla storia

 

A undici metri dal destino

Ai quarti di finale c’è l’Uruguay, anche stavolta il Ghana va in vantaggio e viene raggiunto: 1-1 e supplementari.

Minuto 120, l’ultimo prima della lotteria dei rigori. Stavolta il destino sembra avere altri piani e, soprattutto, un nuovo eroe. È il milanista Dominic Adiyiah, zero presenze in rossonero, riserva in nazionale.

Da una punizione dalla destra arriva una mischia furibonda, Stephen Appiah spara a botta sicura e, a portiere battuto, Suarez salva sulla linea. La respinta finisce sulla testa proprio di Adiyiah, che colpisce al meglio delle sue possibilità, già pronto ad esultare.

La palla ancora non entra, salvata nuovamente da Suarez. Stavolta con la mano. L’arbitro dell’incontro, il portoghese Benquerença, non può far altro che fischiare un calcio di rigore ed espellere l’attaccante della Celeste.

L’ego di Asamoah torna ad alimentarsi. Il re sa che è opera di una forza superiore, una rivisitazione della “Mano de Dios”. Stavolta non solo per la vittoria di un popolo, ma anche per garantirgli il giusto eroe da celebrare.

Tocca a lui calciare. È uno di quei momenti interminabili per chi li vive, a prescindere dal fatto che si trovi sul divano, sugli spalti, in panchina, in campo.

Il destro di Baby Jet è potente, assieme al pallone roteano i sogni di una nazione e di un intero continente. Ma quei sogni volano via, deviati dalla traversa verso il cielo di Johannesburg. Niente da fare, si va ai rigori.

Da buon leader popolare, Asamoah Gyan non si tira indietro, si presenta dal dischetto come primo rigorista e segna. Ma non basta. Sbagliano John Mensah e proprio Adiyiah: quella scorrettezza di Suarez si è rivelata vincente.

Il male batte la genuinità. Il Ghana è fuori. Il re è in ginocchio.

Il folle finale contro l’Uruguay

 

Potere al denaro

Finiti i mondiali, Asamoah è pronto al grande salto. L’epilogo è stato amaro ma il mondiale ha rappresentato una grande vetrina, tanto da garantirgli addirittura una nomination tra i ventitré candidati al Pallone d’Oro.

Lo chiama la Premier ma il salto non è grande come quello che immaginava e credeva di meritare. L’offerta migliore sul tavolo arriva dal Sunderland, che investe 13 milioni di sterline per acquistarlo, cifra record nella storia del club.

L’attaccante ghanese fa benino ma non benissimo, si ferma a dieci gol. Il Sunderland non è un grande club, il suo rendimento non è trascinante, il canto di sirene più attraenti a livello sportivo non si sente.

Un senso di impotenza travolge Asamoah, è in un limbo. Il treno per la gloria eterna attraverso il rettangolo verde sembra scivolare via.

Di nuovo davanti a quello specchio interiore, il re parla al calciatore e lo mette di fronte ad una realtà incontestabile: essere un re non è solo gloria ed acclamazione. È anche ricchezza.

E con la ricchezza si può essere re ovunque, un trono si può anche comprare e con esso anche il favore dei propri sudditi.

Nell’estate del 2011, quindi, l’Asamoah calciatore fa la sua scelta: ad una modesta carriera in un piccolo club inglese preferisce i petroldollari provenienti dagli Emirati Arabi, trasferendosi all’Al-Ain, prima in prestito e poi a titolo definitivo.

Nove milioni di euro l’anno valgono bene un regno. L’ex Udinese saprà ripagare il super ingaggio sul campo ma ad un caro prezzo: la completa perdita di controllo sulla sua vita e sul suo ego. 

Nonostante il fare guascone, in Premier Asamoah non ha reso secondo le aspettative

 

Re tra gli arabi, destituito in patria

Trasferirsi negli Emirati Arabi non è un problema per Asamoah, tutt’altro. È un’occasione di gloria e di sfoggio di ricchezza e magnificenza.

Nelle interviste, il ragazzo è entusiasta ma troppo megalomane, dicendo che i suoi fan hanno maggiori occasioni di seguirlo negli Emirati e che non teme di compromettere la propria crescita come calciatore perché, essendo più ricco, è anche più felice.

Inizialmente il rapporto con la sua patria rimane buono, utilizzando il suo soprannome Baby Jet incide addirittura un pezzo hip hop con l’amico rapper Castro dal titolo African Girls, con cui trionfa ai Ghana Music Awards del 2011.

L’esperienza all’Al-Ain dura quattro anni ed è un trionfo: 83 presenze e 95 gol nel campionato emiratino, 124 presenze e 128 gol tra tutte le competizioni, tre titoli nazionali, due supercoppe, una Coppa degli Emirati. Nel 2014 è capocannoniere ed MVP della Champions League asiatica.

Tra gli arabi, Asamoah è il re che ha sempre sognato di essere. La gloria è arrivata assieme ai soldi, tutto dovrebbe procedere per il meglio. Ma in patria le cose cambiano.

Nella Coppa d’Africa 2012 il Ghana continua la linea iniziata due anni prima, tutt’altro che spettacolare. In semifinale c’è di fronte lo Zambia, avversario potenzialmente alla portata.

Dopo una manciata di minuti arriva un calcio di rigore per le Black Stars. Si presenta dal dischetto ancora Baby Jet, per riscattare l’onta di Johannesburg, stavolta scegliendo la precisione: rincorsa con mezzo saltello e palla alla sinistra del portiere avversario Mweene, che si distende e para.

Vince lo Zambia 1-0 e la reazione del popolo ghanese è diversa dal passato. Stavolta Asamoah li ha delusi, l’orgoglio non basta più. Il re lascia la nazionale, anche se solo per qualche mese.

Gli highlights della semifinale con lo Zambia

 

Manie di grandezza e cronaca nera

Se l’umiltà del ragazzo è da anni una causa persa, Asamoah non brilla neanche in oculatezza a livello patrimoniale.

Nato nella povertà, la ricchezza lo ha portato all’eccesso, specialmente in un luogo in cui la gente muore di fame.

Ad Accra non perde occasione di mostrarsi per quello che ritiene di essere: un re in mezzo ai sudditi, che ormai non lo acclamano più per quello che ha fatto sul campo e mal digeriscono la sua megalomania e presunzione.

Asamoah prende le distanze dal popolo di cui agognava l’adorazione e dalle sue radici, vestendo di tutto punto, spendendo senza ritegno, indossando gioielli costosi, circolando con auto di lusso di tutti i tipi, finanche una Rolls Royce dorata.

Ha addirittura aperto una compagnia aerea, la Baby Jet Airlines, che in due anni di esistenza – dal 2017 al 2019 – non effetturà mai un singolo volo.

Il momento più buio arriva nell’estate del 2014. Anche se la spedizione del Ghana ai mondiali è fallimentare, l’attaccante scrive nuovamente la storia, segnando due gol e divenendo il primo ghanese a segno in tre diverse edizioni del mondiale.

Dieci giorni dopo l’eliminazione va in vacanza con il fratello-agente, l’amico rapper Castro e la compagna. Il giorno dopo la partenza, utilizzando un acqua scooter, Castro e la donna scompaiono e di loro non si avranno più notizie, i corpi non verranno mai ritrovati.

In Ghana si fa largo un’ipotesi assurda e macabra: Castro e la compagna sarebbero stati uccisi da Asamoah che, assieme al fratello, avrebbe fatto sparire i corpi durante un rito di magia nera.

Il calciatore smentisce, un giornalista gli chiede lumi sulla questione e lui non risponde, organizzando, per tutta risposta, un pestaggio punitivo nei confronti dell’impenitente.

Non c’è nulla di vero se non il crollo della popolarità di Asamoah in patria.

 

Caduta dalla montagna d’oro

Nell’estate del 2015, Asamoah lascia gli Emirati Arabi e si trasferisce in Cina, dove lo Shangai SIPG lo ricopre d’oro: 16 milioni di euro l’anno ne fanno uno dei calciatori più pagati al mondo.

Noncurante della sua popolarità in crollo, Asamoah sfida i connazionali non solo sul piano economico ma anche su quello religioso, argomento cui i ghanesi sono molto sensibili.

L’attaccante è visto con diffidenza già da anni per una vita dissennata che mal si concilia con i doveri familiari: dal 2013, infatti, è sposato con Gifty, sua compagna dal 2002 ma assente in tutte le apparizioni mondane.

Non contento, il suo primo investimento dopo la firma del contratto d’oro in Cina è la costruzione di una enorme villa ad Accra, pagata tre milioni di euro.

La villa viene chiamata Basilica de Baby Jet, sia per la forma che ricorda quella di una basilica, sia per un beffardo tentativo di arrogarsi una forma di divinità in spregio ai cittadini della capitale.

Asamoah gioca due mezze stagioni in Cina, quindi torna negli Emirati per indossare la maglia dell’Al Ahli, con molto meno successo rispetto alla prima esperienza. Nel 2017 torna in Europa con i turchi del Kayserispor ma ormai è caduto in disgrazia, non solo come calciatore.

Incredibilmente, all’inizio della seconda stagione turca dichiara alla stampa di essere in bancarotta: il club non lo paga e lui ha sperperato tutto, rimanendo con circa 700 euro in banca.

Anche il matrimonio è in rovina per una reazione extraconiugale con la ex di Stephen Appiah ed una richiesta di annullamento: la moglie Gifty gli impedirebbe di vedere i tre figli, che però il ghanese non sta mantenendo.

È la triste fine del re, cui fa seguito quella del calciatore.

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Uno scorcio della Basilica de Baby Jet

 

Luci dei riflettori ormai lontane

Nel 2018 il Ghana non si qualifica ai mondiali, pregiudicandogli la quarta partecipazione al mondiale.

Come se ciò non bastasse, a maggio 2019 il CT ghanese Kwesi Appiah decide di togliergli la fascia di capitano per consegnarla ad André Ayew.

L’attaccante non prende bene questo ennesimo smacco ad una carriera sempre più in declino e decide di lasciare la nazionale, salvo cambiare idea e tornare sui suoi passi appena due giorni dopo.

Chiusa la stagione 2018-19 con il Kayserispor dopo le polemiche sull’ingaggio, ad ormai 34 anni decide di intraprendere un’avventura esotica, trasferendosi in India, nel NorthEast United.

Ci resta appena quattro mesi, quindi rescinde il contratto e dopo sei mesi senza squadra decide di tornare a giocare in patria per provare una riconciliazione con la propria gente.

Ad accoglierlo è il Legon Cities, club della città di Wa. Una scelta non casuale trattandosi della città più lontana da Accra tra quelle del campionato ghanese.

La spavalderia di un tempo è un ricordo lontano, il calciatore ha preso il sopravvento sul re ed inizia a valutare oggettivamente il rischio di vedere la propria vita quotidiana ridotta ad una continua contestazione.

A ottobre 2021 Asamoah lascia il club ed è svincolato ma ad aprile 2022 arriva il sorteggio del mondiale qatariota: il Ghana è nel girone dell’Uruguay e il nostro fiuta la vendetta dopo quel rigore di dodici anni prima.

Supplica pubblicamente qualcuno di concedergli una chance per giocare il mondiale ma il suo appello cade nel vuoto: rimane svincolato e salta anche questa edizione.

È l’ultimo atto da calciatore: il 20 giugno 2023 organizza un evento ad Accra per annunciare il ritiro dal calcio giocato e dichiarare che sarebbe rimasto in questo mondo come commentatore.

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Asamoah esulta per uno dei suoi pochi gol in India

 

Divorzio doloroso

C’è ancora tempo per cadere più in basso, anche una volta abbandonata la carriera da calciatore.

Il 15 novembre 2023, il suo matrimonio si è ufficialmente concluso, con l’accoglimento da parte di un tribunale ghanese dell’istanza di annullamento da lui stesso avanzata. Nelle more del giudizio, però, Asamoah ha forzato la mano, come spesso gli è capitato nel corso della carriera.

Visto che sua moglie Gifty ha contestato il mancato mantenimento dei figli, lui ha provato a ribaltare la situazione, chiedendo il test del DNA per verificare la sua effettiva paternità, lamentando asserite infedeltà della coniuge.

L’annullamento è arrivato, sebbene in maniera poco tempestiva, ma Asamoah è uscito distrutto dal resto della pronuncia: il test del DNA ha confermato la paternità del calciatore che quindi è tenuto al mantenimento.

Un conto salatissimo, a distanza di anni dall’ultimo pagamento: oltre ai 2.000 euro al mese da pagare dalla pronuncia in poi, gli arretrati sono stati recuperati lasciando a Gifty una casa in Gran Bretagna, una ad Accra, due auto e addirittura un distributore di benzina.

Una grande quantità di beni che testimoniano anche la scarsa sincerità dell’Asamoah del 2018, quando piangeva miseria per il mancato pagamento dello stipendio in Turchia e per il conto in banca quasi vuoto.

L’ennesima umiliazione per un re immaginario che, nonostante i molti record in nazionale, compreso il titolo di capocannoniere di tutti i tempi delle Black Stars con 51 reti, non ha lasciato buoni ricordi.

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Un ricordo di quando il sogno di una corona era ancora vivo

 


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catenaccio

Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.