Perché il caso Maignan è la svolta nella lotta al razzismo

Forse ci siamo. Forse il mondo del calcio è pronto a una rivoluzione vera. Nessun cambio di regolamento, niente nuova norma sul fuorigioco o sul fallo da ultimo uomo. Il tema sul tavolo della Fifa è il razzismo e in particolare le conseguenze che i club dovranno affrontare in caso di cori o ululati nei confronti dei calciatori neri. Le dichiarazioni del numero uno del governo mondiale del pallone, Gianni Infantino, sembrano andare in una direzione chiara: annullamento della partita in caso di reiterati insulti a sfondo razziale ma soprattutto – e qui sta la novità di portata storica – sconfitta a tavolino per la società che ha la disgrazia di essere sostenuta da esseri umani incapaci di processare i propri istinti più bassi.

 

La bordata di Infantino

Quanto successo sabato 20 gennaio a Udine è di pubblico dominio e chi segue il calcio potrebbe derubricarlo ad ennesimo caso di razzismo da stadio, uno dei tanti che ogni settimana capitano in giro per il mondo: il milanista Mike Maignan sente distintamente gli ululati di alcune persone che vogliono ferirlo paragonandolo a una scimmia e richiama l’attenzione dell’arbitro che, come da regolamento, sospende il match per cinque minuti. Poi si riparte, la partita prosegue come se nulla fosse. Il giorno seguente però arriva la dura presa di posizione di Infantino, che in una nota parla apertamente della necessità di introdurre come deterrente la sconfitta a tavolino.

“Oltre alla procedura a tre fasi (sospensione della partita, seconda interruzione della partita, partita annullata), va comminata la sconfitta a tavolino per le squadre i cui tifosi si siano resi protagonisti di atti di natura razzista – provocando così l’annullamento della partita – così come vanno attuati divieti di accesso agli stadi di tutto il mondo e portate avanti accuse penali nei confronti di chi compie atti razzisti. La FIFA e il mondo del calcio mostrano piena solidarietà alle vittime di razzismo e di ogni altra forma di discriminazione. Una volta per tutte: no al razzismo e no a ogni forma di discriminazione”.

 

Il peso delle parole

Infantino è un politico e di conseguenza le sue parole vanno sempre pesate in maniera scrupolosa, utilizzando, senza vergognarsene, il filtro che chi viene governato impara col tempo ad applicare alle dichiarazione ufficiali di chi comanda. In questo senso la prima considerazione da fare è che una presa di posizione tanto forte rappresenta un messaggio inequivocabile non solo e non tanto ai tifosi, quanto all’intero mondo del calcio, inteso soprattutto come settore economico in grado di spostare enormi capitali: il presidente della FIFA, che come ogni buon politico basa la propria credibilità sull’attuazione di ciò che promette, in una domenica mattina d’inverno ha gridato al mondo intero che il razzismo danneggia il dio pallone. E non è fondamentale sapere se e quanto tale convinzione nasca dai valori che animano l’Infantino-uomo; agli appassionati basti sapere che con tutta probabilità la FIFA, e il complesso sistema di poteri che rappresenta, ha annunciato il pugno duro per chi offende i giocatori per il loro colore della pelle o la loro etnia di origine. La svolta è stata annunciata in maniera troppo plateale e netta per pensare che non si passi dalle parole ai fatti in un lasso di tempo relativamente breve.

 

Certo, vanno cambiate le regole e poi uniformate nei vari angoli di mondo, ma la linea è tracciata. Se la promessa di Infantino dovesse essere disattesa, a rimetterci sarà soprattutto lui in prima persona e si tratta di un’eventualità che stona con le capacità di un manager/politico che è riuscito nell’impresa di stravolgere il calcio affidando un campionato del mondo al Qatar in nome della crescita economica che mai deve arrestarsi del pallone. Oggi, evidentemente, il razzismo è diventato un ostacolo allo sviluppo finanziario del calcio e quindi va eliminato. Per farlo si penalizzeranno direttamente le squadre e si sa, meno punti in campionato possono significare qualche sponsor in meno o magari una retrocessione. Insomma meno denaro. Ma meglio fare perdere euro a qualche club qua e là che fornire all’opinione pubblica una brutta immagine dell’intera fabbrica del calcio, sempre alla spasmodica ricerca di nuove collaborazioni commerciali con aziende che da anni rifiutano di associarsi a contesti che potenzialmente possono essere messi sotto accusa per tematiche scottanti come il razzismo.

In definitiva, se la FIFA terrà fede all’impegno preso, è assolutamente possibile che nel giro di poche stagioni il razzismo dagli stadi si ridurrà in maniera sensibile. Altro discorso è dire che il miglioramento sarà frutto esclusivamente della volontà di affermare valori di fratellanza universale. Ma la storia ci insegna che spesso per vedere cambiare il mondo servono compromessi enormi: in questo caso agli amanti del calcio dovranno fingere di credere che la FIFA sta lottando per un ideale e non per mantenere una facciata che produce dividendi. E che sarà mai, abbiamo visto di peggio, no?

 


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Di Vincenzo Corrado

Giornalista professionista, scrittore e altre cose che andavano di moda prima dell'intelligenza artificiale. Nato al mare e cresciuto tra la nebbia: avrei preferito il contrario.